“L’Oro del Duce” di Giuseppina Mellace

L'Oro del Duce, Giuseppina MellaceL’Oro del Duce. La vera storia dell’«Oro di Dongo» e degli altri tesori occultati dal regime fascista
di Giuseppina Mellace
Newton Compton

Il 27 aprile 1945, una colonna di fascisti in fuga, alla quale si era unita anche una squadra tedesca, composta da 38 automezzi, alcuni sidecar delle SS, una dozzina di vetture civili, un paio di autoambulanze delle ausiliarie della RSI e circa 200 soldati della contraerea Flak agli ordini del tenente Willy Flamminger, venne fermata, verso le sette del mattino, appena fuori Musso, sulla sponda occidentale del lago di Como, da Vi viaggiava Benito Mussolini e Claretta Petacci insieme a numerosi tra gerarchi e fascisti: il Segretario del Partito Fascista Repubblicano, Pavolini, Francesco Barracu, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Zerbino, ministro dell’Interno, Ruggero Romano, ministro dei Lavori Pubblici, e molti altri.

«Proprio in questo frangente iniziò anche il capitolo del tesoro, poiché la prima perquisizione i partigiani l’effettuarono nell’autoblindo, dove Giuseppe Colombini, il primo partigiano a salirvi, trovò diversi involucri e borse mentre cercava armi da requisire per evitare altre sparatorie. Questi prese diversi pacchi di banconote che consegnò ai partigiani presenti. […]

Un uomo delle forze dell’ordine, il brigadiere Manzi, recuperò cinque capienti valigie che aveva sequestrato a Rosario Boccadifuoco e Virgilio Pallottelli, i quali confessarono che tutti quei valori erano stati consegnati a loro direttamente dal ministro Zerbino, come riferì il giornalista Pellegrini: Da una di quelle capaci valigie, aperta di prepotenza nell’aula delle scuole, letteralmente lievitarono fuori, tanto erano compressi, pacchi di banconote da mille lire. Tutti quei valori facevano indubbiamente parte del “fondo riservato”, cioè del tesoro di Stato della Repubblica Sociale Italiana. […] questo fondo era composto da: 16.300.000 franchi francesi, 200.000 franchi svizzeri, 2150 sterline d’oro, oltre ad una quantità non precisata di sterline di carta, di dollari, di pesetas e di escudos, per un valore di centinaia di milioni di lire. Vi erano inoltre 45 pacchi di varia dimensione, confezionati con carta grossa da imballo e solidamente legati, i quali contenevano in totale 66 chili d’oro.

Il giornalista Pellegrini concluse quell’articolo affermando che la colonna era in possesso di alcuni miliardi. Era il patrimonio del governo e come tale doveva rimanere in custodia del governo stesso fino all’ultimo momento, per poi passare, come l’oro della Banca d’Italia, in possesso legittimo del governo di Roma.

Le famose valigie furono ricordate anche dall’attendente di Mussolini riferendo agli scrittori Alessandro Zanella e Luciano Garibaldi che fu proprio il brigadiere Manzi a effettuare il sequestro, sottolineando però che quell’oro non era il fondo, bensì i valori sottratti agli ebrei inviati nei campi di concentramento. Tuttavia il Duce aveva deciso di consegnare quell’oro agli Alleati nel momento della resa.

Oltre alle carte, molto denaro, oggetti e cibo per quei tempi preziosissimo, si persero in mille rivoli […] Nel gennaio del 1949 una rivista statunitense s’interessò alla vicenda ma più che altro a proposito della questione del tesoro e fu comunicato un nuovo resoconto ad opera di Edmund Palmeri, un italo-americano appartenente alla Commissione Alleata in Italia, e John Kobler, un giornalista e collaboratore dell’OSS. Erano arrivati alla conclusione che il “tesoro” ammontava a 66.259.590 dollari, l’equivalente di circa 8 miliardi di lire. Bisogna anche capire come e quando furono accumulati tutti questi beni. Per far ciò dobbiamo risalire ai giorni precedenti la caduta di Roma, nel maggio ’44, quando i vertici del fascismo disposero il trasferimento al Nord di ingenti ricchezze che furono depositate a Maderno, un piccolo centro in provincia di Brescia, situato sulla sponda occidentale del lago di Garda.

Approfittando della vicina Svizzera, molto dell’oro acquisito fu convertito in valuta pregiata e nel marzo ’45 lo stesso ministro delle Finanze Pellegrini ritirò il denaro, lo fece dividere in 5 o 6 valigie e consegnare a Mussolini.

Il ministero degli Interni, Raffaele La Greca, stimò che il tesoro ammontasse a «221.179 marenghi, 600 sterline d’oro, 20 mila sterline in carta, 3.398.000 franchi francesi, 525.928 franchi svizzeri», più altri fondi per le emergenze.

Lo stesso segretario del capo del fascismo, Luigi Gatti, parlò di un capitale ammontante a 66 kg. d’oro, confezionato in pacchi recanti indicazioni del peso e del titolo dell’oro; 2150 sterline d’oro; 147 mila franchi svizzeri; 16 milioni di franchi francesi; un milione di pesetas, oltre a una quantità imprecisata di dollari americani, escudos portoghesi e fiorini.

Sempre nel 1949 fu stilato un altro elenco da parte dell’agente chiamato X-2, il quale sostenne che ci fossero anche più di trenta chili di fedi nuziali, le solite valute straniere, ma anche preziosi sottratti agli ebrei. In quest’anno cruciale il giudice Giovanni Brichetti della Corte d’Appello di Milano accolse la lista redatta dallo stesso segretario di Mussolini, Luigi Gatti, aggiungendo tutto ciò che fu requisito ai fascisti durante gli arresti.

Passò molto tempo e negli anni ’80 apparve in una rivista un articolo, dove si parlava dell’esistenza di un memoriale del Duce comprendente la storia d’Italia dall’ascesa del fascismo fino alla caduta, redatto dallo stesso Mussolini e consegnato, al momento della cattura, al partigiano “Bill” e ad altri uomini della Resistenza, che dichiararono che era diviso in varie sezioni come “Processo di Verona”, “Umberto di Savoia” ecc., e si descriveva anche il “tesoro”.

A questo proposito lo storico Giorgio Cavalleri illustrò il contenuto di una borsa che fu depositata successivamente in banca, precisamente presso la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde di Domaso.

Questa sacca conteneva anche altre carte e valori e lì fu redatto un inventario del contenuto:
Una busta contenente tre assegni circolari della Banca Nazionale del Lavoro per un totale di Lire 1.550.000, sei assegni circolari della Banca Nazionale del Lavoro per un totale di Lire 150.000, un assegno circolare della Banca d’Italia per Lire 150.000;
Una busta contenente centosessanta sterline d’oro;
Una busta contrassegnata dal numero 1, contenente documenti per un peso di Kg.4,800;
Una busta contrassegnata dal numero 2, contenente documenti per un peso di Kg. 5,400.
[…]

A questo punto iniziava l’odissea dei documenti insieme a quella dell’“oro”, e il 2 maggio “Bill” e “Pedro” prelevavano i contenuti del deposito per cercare una collocazione più sicura, affidando le borse a don Franco Gusmeroli, parroco di Gera Lario […].

Proprio per quanto riguarda i valori, possiamo dire che una parte finì nelle tasche della gente del posto che approfittò della confusione di quei giorni; è il caso del sindaco di Musso che poté permettersi quasi immediatamente una villa e la moglie sfoggiare i preziosi del coniuge di un gerarca fascista; oppure come accadde a un generale tedesco che affidò ben 500 milioni di lire al suo padrone di casa, sempre nel comasco, e questi se li spartì con il CVL e gli Alleati che non disdegnarono il denaro; ancora, molti beni materiali servirono come salvacondotti per i gerarchi e per la gente al seguito del Duce che si comprarono una nuova verginità al di là o al di qua del confine, una volta scampato il pericolo dei partigiani.

Quantificare il bottino è pressoché impossibile poiché era frazionato in diverse valigie e bauli e poi perché troppe persone lo videro, ebbero modo di avvicinarsi, di toccarlo e anche d’alleggerirlo.

Dobbiamo considerare le casse della RSI al momento della fine, ciò che era stato prelevato dalle varie banche lombarde e capitalizzato per meglio poterlo portare oltre confine, i valori personali e di famiglia dei singoli gerarchi e persone che seguirono il Duce fino alla cattura, ciò che restava del famoso “oro della Patria” e quello che venne sequestrato agli ebrei, ma non trafugato in Germania. In totale doveva essere una somma ragguardevole. Indubbiamente il Duce poteva accedere al denaro e al deposito monetario della Repubblica.

Si dice che fosse costituito da un portafoglio di valute straniere di 2150 sterline oro, 2675 sterline carta, 278 mila franchi svizzeri, 149 mila dollari, 18 milioni di franchi francesi, 10 mila pesetas, 15 mila escudos portoghesi, lingotti d’oro e oggetti preziosi […] Ha inoltre 82 milioni in contanti incassati negli ultimi giorni dal ministro delle Finanze Domenico Pellegrini Giampietro dalla Banca d’Italia e 66 chilogrammi d’oro in braccialetti, anelli, fedi, ancora chiusi in tanti pacchettini col nome del proprietario, sequestrati a privati cittadini in Abruzzo e nelle Marche […] vi sono vari lingotti a basso titolo ottenuti con la fusione di altri oggetti del genere.

Quest’enorme ricchezza, racchiusa in pochi contenitori portati a Milano dallo stesso Duce il 23 aprile 1945, due giorni dopo venne caricata di nuovo, ma questa volta sulla colonna di auto che venne poi fermata con il noto arresto.

È risaputo che già durante l’inventario effettuato a Dongo una cifra intorno ai 400 milioni in denaro e preziosi fu sequestrata da Dante Gorreri mentre, pochi giorni dopo, i primi di maggio, Michele Moretti prelevò altri 30 milioni più 35 chili d’oro che doveva consegnare al CLN di Como e che invece ritenne più sicuro portare in un posto nel capoluogo lariano da dove furono successivamente trasferiti da un altro partigiano, detto “Tom”, e affidati direttamente al Partito comunista. Altre appropriazioni furono fatte con parte dell’“oro della Patria” che venne fuso e riutilizzato per poter costruire la nuova sede del PCI a Roma con altri immobili per i vari funzionari.»

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Non perderti le novità!
Mi iscrivo
Niente spam, promesso! Potrai comunque cancellarti in qualsiasi momento.
close-link