
Che rapporto esiste fra evoluzione e memoria sociale?
Bisogna prima di tutto precisare che la memoria sociale non è la memoria delle coscienze individuali, bensì la memoria della comunicazione. Ciascuno di noi ha dei ricordi individuali che non necessariamente acquistano una visibilità sociale e ciascuno di noi può costruire delle memorie personali (per esempio, la storia della propria famiglia) che non necessariamente sono rilevanti per un potenziale pubblico di lettori. La memoria diventa propriamente sociale quando l’operazione che discrimina quello che si ricorda da quello che si dimentica è la comunicazione. Per questo dal punto di vista della sociologia l’evoluzione della memoria sociale dipende strettamente dall’evoluzione delle tecnologie comunicative. Molti studi hanno dimostrato che la scrittura prima e la stampa poi hanno profondamente trasformato il modo in cui nella società si ricorda e si dimentica. Recuperare un ricordo attraverso una narrazione orale è molto diverso che recuperare un ricordo attraverso la ricerca e la lettura di un testo scritto a mano oppure stampato. Oggi le memorie digitali mettono a disposizione un nuovo potenziale che ci obbliga a ristrutturare il nostro modo di richiamare alla memoria e di dimenticare. L’evoluzione, potremmo dire, fa essenzialmente questo: permette di dimenticare più di prima (nessuno imparerebbe a memoria il contenuto di un libro o il catalogo di una biblioteca) e proprio per questo permette di ricordare molto più di prima.
In che modo l’evoluzione favorisce la dimenticanza?
Una tesi molto nota della teoria evolutiva dice che l’evoluzione favorisce le funzioni. Sul piano biologico questo è piuttosto evidente: gli organismi si sono evoluti in direzione di una crescente specializzazione funzionale. La sociologia ha dimostrato da tempo che anche l’evoluzione dei sistemi sociali si muove verso una crescente differenziazione delle funzioni. Poiché la memoria serve principalmente a dimenticare, la tesi del libro è che l’evoluzione sociale favorisca la dimenticanza. Ciò solleva due questioni: come avviene questo favoreggiamento? E che cosa favorisce il favoreggiamento? Per ciò che riguarda la prima questione si può dire che le tecnologie della comunicazione consentono di escogitare degli espedienti che in momenti successivi possono essere riutilizzati (nella teoria dell’evoluzione si dice: cooptati) per svolgere nuove funzioni. Gli uomini colti tardo-medievali, per esempio, avevano già escogitato molte tecniche di indicizzazione assai ingegnose, ma è solo dopo l’avvio dell’industria tipografica che queste tecniche decollano davvero come soluzioni al problema del recupero selettivo di ciò che in un archivio esterno (a partire dallo stesso libro stampato) può essere informativo. Ciò presuppone un profondo mutamento dei modi di amministrare e riprodurre il sapere, a partire dal rapporto che il lettore intrattiene con il libro.
Quali vincoli e possibilità ulteriori offre l’automazione dei processi di indicizzazione resa possibile dai computer?
L’automazione dei processi di indicizzazione è cominciata già a metà del XX secolo ed ha ricevuto una spinta potente dallo sviluppo del computer. Si pensi per esempio alle prime sperimentazioni di Hans Peter Luhn nei laboratori dell’IBM. L’automazione come sempre solleva il personale umano da faticose e lunghe operazioni cognitive che richiedono l’elaborazione di molte informazioni. Se una macchina può fare dei calcoli lunghi e complessi senza commettere errori, tanto vale utilizzarla. Ma l’automazione ha anche un limite fondamentale: i computer non sanno dire quale sia il senso di ciò che fanno. Lo fanno e basta. Catalogare un libro non è semplice: una volta bisognava decidere quale posto assegnare a quel libro nella struttura solitamente gerarchica di un catalogo per soggetti. Il “soggettario” assomigliava quindi a una tassonomia, nel senso letterale del termine: c’è un posto per tutto e tutto ha un proprio posto (quello giusto). Il problema è solo trovarlo. I computer hanno cambiato profondamente questo modo di pensare. La semantica è stata sostituita dalla statistica e si è capito che si poteva migliorare il rapporto fra utente e archivio se si riusciva a costruire l’archivio in modo che quest’ultimo fosse in grado di adattarsi all’utente. In pratica si è capito che fra i due la vera scatola nera è l’utente, non l’archivio. Per questo si sono sviluppati sofisticatissimi sistemi di indicizzazione che oggi vanno sotto il termine “motori di ricerca”. Il problema è che il motore di ricerca perfetto non esiste perché l’utente resta intrasparente. Per questo la scienza dei motori di ricerca è una scienza la cui attività di ricerca non avrà mai fine.
A quale ripensamento del problema della dimenticanza conduce l’evoluzione della memoria sociale?
L’evoluzione, come si è detto prima, favorisce la dimenticanza. Ma dimenticare non vuol dire distruggere il ricordo. Quello che è stato dimenticato può essere richiamato alla memoria quando attraverso l’indice si mette in moto, per così dire, l’archivio. Tuttavia, con l’espansione degli archivi la quantità di sapere che può essere immagazzinato è destinato ad aumentare in modo illimitato, creando dei problemi molto complessi, se non proprio irrisolvibili, sul piano dell’indicizzazione. A metà del XVII secolo, per esempio, Leibniz si lamentava già del fatto che con la produzione industriale dei libri ci sono così tante pubblicazioni in circolazione che gli autori (migliori) finiscono per passare inosservati. Nessuno legge i loro libri perché ci sono troppi libri da leggere. Il fatto che un libro sia stampato non implica infatti che verrà anche letto, come sanno tutti gli autori di un libro. Così il paradosso è che con la stampa gli autori si salvano dall’oblio, ma cadono allo stesso tempo in un oblio che è generato dal fatto che in circolazione ci sono troppi libri, e il loro numero non può che aumentare. Per questo a mio avviso il problema della memoria sociale – ma si potrebbe anche dire: il problema degli archivi – non è tanto quello di conservare il passato, come spesso si dice, quanto piuttosto quello di confrontarsi con il futuro. Come facciamo oggi a strutturare le nostre memorie esterne in modo che un domani esse siano ancora utilizzabili? Come facciamo oggi a impostare dei sistemi di indicizzazione che ci permettano domani di recuperare quello che per degli utenti imprevedibili potrebbe essere non solo pertinente, ma anche interessante? Il problema del futuro sarà come dimenticare in modo efficiente senza rinunciare a richiamare alla memoria quello che potrebbe avere qualche valore di informazione.
Alberto Cevolini insegna Sociologia generale all’Università di Modena e Reggio Emilia