“L’ordinamento criminale della deportazione” di Roberto Calvo

Prof. Roberto Calvo, Lei è autore del libro L’ordinamento criminale della deportazione, edito da Laterza: quali sono stati i fondamenti giuridici dell’Olocausto in Germania e in Italia?
L'ordinamento criminale della deportazione, Roberto CalvoPer prima cosa vorrei puntualizzare che i fondamenti giuridici si pongono a ridosso dei basamenti politici e filosofici, che condussero Hitler e i suoi seguaci verso la crociata contro una minoranza, la cui unica colpa era la discendenza etnica. L’odio viscerale nei riguardi degli ebrei, che in Germania aveva radici assai radicate e diffuse, fu eretto da Hitler – come egli, con spietata lucidità, ebbe a profetizzare nel “Mein Kampf” (La mia battaglia) scritto nel 1925 – a programma del “Partito nazionalsocialista dei lavorati” e della legislazione razzista varata allorché Hitler stesso prese legalmente il potere (siamo nel 1933). La trasformazione della Germania (che all’epoca era una democrazia organizzata su base federale, ancorata alla liberalissima Costituzione di Weimar) in regime “demoniaco-totalitario” avvenne – come appena accennato – nel rispetto della legalità, posto che l’art. 48 di tale Costituzione consentiva al Presidente del Reich di prendere le misure anche soppressive delle libertà individuali per la restaurazione della sicurezza pubblica, là dove essa fosse stata minacciata. La minaccia in discorso fu rappresentata dall’incendio doloso del Parlamento, verosimilmente pianificato dai nazionalsocialisti poco dopo la designazione di Hitler a Cancelliere. Di conseguenza, fu consentito al Governo di limitare ogni tipo di libertà personale, autorizzando la polizia a compiere perquisizioni e confische, contro la sacralità dell’habeas corpus. Da quell’istante lo “stato di eccezione” divenne la regola, una regola che, di fatto, cancellò i diritti fondamentali (e naturali) dell’uomo già solennemente declamati nella Dichiarazione del 1789. Di lì in avanti il Parlamento smarrì la propria funzione di organo di democrazia indiretta, inquantoché a Hitler furono riconosciti poteri illimitati, compreso quello di legiferare: il Parlamento, ove interpellato, si limitava a deliberare l’atto normativo elaborato dalla volontà insindacabile del Führer. Con le leggi di Norimberga (approvate per acclamazione nel 1935), l’appartenenza alla “razza” ariana divenne il presupposto per il riconoscimento della cittadinanza tedesca. Agli ebrei tedeschi fu quindi disconosciuto lo status di cittadino. Essi subirono una progressiva e drammatica sottrazione dei diritti fondamentali tanto politici quanto civili. L’essere umano fu dunque progressivamente trasformato in “cosa”. Una “cosa” suscettibile di sfruttamento e distruzione. Vennero così a crearsi, tramite la spirale dell’universo concentrazionario, le premesse per la soppressione fisica dell’«uomo-cosa». Siamo al cospetto di un genocidio che avrebbe portato a compimento la “soluzione finale” della questione ebraica. In Italia la situazione era molto diversa. Mussolini non era antisemita come il suo amico Hitler. D’altra parte, in Italia mai attecchì davvero il morbo patogeno dell’odio verso gli ebrei. Anzi, dopo la marcia su Roma una parte dei cittadini di fede ebraica vide di buon occhio l’autoritarismo fascista. È noto che ci furono degli ebrei in camicia nera. Sennonché, la situazione di punto in bianco mutò dopo l’Asse Roma-Berlino del 1936. L’intesa con la Germania nazista persuase il Duce a manifestare l’affidabilità dell’Italia agli occhi del Führer. Tale dimostrazione di lealtà presupponeva il varo della legislazione antiebraica. S’iniziò con il delirante “Manifesto della razza”, le cui linee-programmatiche diedero l’intonazione al censimento “razzista” del 1938 e alla concatenata normativa a difesa della “razza” italica, avallata da Vittorio Emanuele III. Si è trattato di una legislazione abominevole, attuata con scrupolo talvolta maniacale da parte degli uffici pubblici, la quale invero non sottendeva una conversione dell’establishment fascista a un razzismo biologico, essendo semmai il frutto – si torni a osservare – di una spietata scelta politica. Prova ne sia che il Ministro dell’interno, su parere del c.d. Tribunale della razza, poteva discrezionalmente concedere agli ebrei provvedimenti di “arianizzazione”. Dopodiché, con la fondazione della Repubblica di Salò, l’Italia amministrata da Mussolini (sotto lo scudo della potenza alleata) s’inserì a pieno titolo nell’apocalittico meccanismo dell’Olocausto. Tale Repubblica innalzò la legislazione antiebraica a vessillo, macchiando così di sangue indelebile le sue istituzioni e i suoi aderenti. La legislazione antiebraica di Salò prese le mosse dalla soppressione del diritto di esistere di un popolo. La caccia agli ebrei divenne il programma qualificante l’azione di uno Stato, che fece della legge uno strumento di oppressione e distruzione di una minoranza. Di qui l’atroce degenerazione del diritto in “antidiritto”, dello Stato in “antistato”.

In che modo il positivismo giuridico è servito alla legittimazione dei regimi giuridici illiberali italo-tedeschi e all’attuazione dei loro obiettivi totalitari?
Il positivismo giuridico antivaloriale di matrice nichilista afferma che il diritto è valido in quanto approvato secondo le norme disciplinanti l’iter di produzione della legislazione. Tramite questa concezione formalista del diritto (si tratta di una forma che prevarica sulla sostanza e sulla natura delle cose), viene riconosciuta all’autorità politica una potestà legislativa discrezionale e pressoché illimitata e illimitabile. In altre parole, il giusformalismo declama che il diritto sia valido in quanto deliberato dagli organi legislativi ad astrarre da ogni valutazione contenutistica. Il giurista, quindi, è tenuto ad applicare la legge senza sindacarne il contenuto. Da detto modo di ragionare si dischiusero le porte alla legislazione razziale, una legislazione che – come osservammo poco fa – pose la discendenza etnica a elemento che consentì di disconoscere i diritti naturali della persona a chi persona, secondo la legge amorale dello Stato-dispotico, non era siccome di sangue non ariano. Chiusa l’esperienza del Partito unico, grazie all’edificazione di un sistema democratico basato su di una Costituzione rigida e fortificato dal garantistico controllo di legalità demandato alla Corte costituzionale, il rischio del diritto antivaloriale nei termini sopra descritti è stato annientato. Sarebbe nondimeno illusorio ipotizzare che le pur essenziali guarentigie costituzionali possano di per sé bastare ad assicurare tanto la perenne primazia della ragione valutante e riflettente, quanto l’indisponibilità assoluta dei diritti universali dell’uomo. È appena il caso di osservare che è bastata una crisi pandemica per mettere in discussione la tenuta di alcuni diritti fondamentali. Serve allora rinnovare alla memoria, specie a quella dei giovani, che il potere politico non è emancipabile dalla sacralità dei diritti esistenziali dell’essere umano, indipendentemente da ogni rilievo di stampo entico, religioso, sessuale, ecc. Solo avendo chiara tale intoccabilità è realisticamente possibile evitare che il male, che s’insidia di soppiatto nel disordine e nell’allarme generato dagli accadimenti inattesi, ridiventi autorità eletta a norma generale e astratta.

Dove trasse, la legislazione nazifascista, razzista e antiebraica, la propria scaturigine ideale?
Sul fronte tedesco, il razzismo e l’antiebraismo trovarono terreno fertile nell’antimodernismo romantico, xenofobo e sedotto dai miti del medioevo cristiano-germanico. I pericoli legati da un lato alla giudaizzazione dell’economia e della cultura, dall’altro dallo spauracchio della congiura ebraica pianificata a livello mondiale – pericoli alimentati ad arte tramite la diffusione dei falsi Protocolli di Sion – facilitarono il radicamento dell’odio verso gli ebrei. L’irrazionale timore che la presa di potere da parte di una minoranza coesa e ben organizzata potesse condurre all’estinzione della stirpe ariana, fomentò l’anzidetta ostilità. Da tali pregiudizi grossolani si ramificò l’idea di reputare il cittadino giudeo quale mero ospite della nazione germanica, un ospite sgradito ai cittadini ariani, ai quali spettava il compito divino di cooperare fattivamente al fine di risolvere una volta per tutte la “questione ebraica”, in nome dell’asserita supremazia biologica e spirituale del sangue teutonico. Per quanto riguarda l’Italia, la deriva razzista ebbe formalmente inizio nel 1937, con l’approvazione della legge contro il c.d. madamato, la quale puniva con la reclusione il cittadino italiano che avesse intrattenuto relazioni d’indole coniugale con i nativi delle colonie africane. Fu per giunta negato lo status di cittadino al meticcio. Grazie a tale disciplina l’Italia era avviata a divenire nelle colonie la capofila di un sistema di segregazione razziale, che ebbe scarso successo per le ampie trasgressioni al medesimo e per la breve durata dell’impero. Non va però sottaciuto che furono gli eredi della Magna Charta a primeggiare nella tratta degli schiavi e uno Stato fondato su una Carta costituzionale democratica a perpetrare il genocidio delle tribù indigene. La legislazione italiana di matrice antiebraica, invece, ha un’origine – come si è detto – politica anziché filosofica o endemica: serviva infatti a dimostrare la lealtà dell’alleato italico verso il Führer dei tedeschi. Fu Salò che fece dell’antiebraismo la propria ragion d’essere. La distruzione della minoranza divenne pertanto una delle missioni dello Stato liberticida protetto dalle mitragliatrici del terzo Reich. In definitiva, come Salò divenne drammaticamente un tassello dell’universo concentrazionario nazista, così la compartecipazione al genocidio degli uomini fedeli a Mussolini fu piena, spietata, convinta e totale.

Roberto Calvo è professore ordinario di Diritto privato nell’Università della Valle d’Aosta. Fa parte del collegio scientifico dell’International School of Legal and Social Sciences dell’Università di Camerino. È stato anche professore nell’Università di Torino. Autore di svariati saggi e monografie, nonché di un Trattato di Diritto civile per l’editore Zanichelli, si è anche occupato di scienza ed etica della legislazione. In quest’ordine d’idee ha tradotto e commentato Domat, Portalis e Zachariae. Rientra in detto filone di ricerca il recente libro Scienza e valori della legislazione civile. Diritti della persona, positivismo giuridico e antiebraismo (Esi, Napoli, 2021).

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