
Tuttavia il digitale italiano oggi rappresenta ancora poco rispetto a quello che dovrebbe essere ed avrebbe potuto essere. Purtroppo come racconto nel libro l’Italia ha attraversato una fase di grande scetticismo e scarsa attenzione che è durata per ben una quindicina d’anni. Nel libro questo periodo di ‘purgatorio digitale’, ha frenato tantissimo lo sviluppo del settore in Italia, facendo accumulare un drammatico ritardo all’Italia. Questo ritardo purtroppo è un macigno di cui oggi vediamo gli effetti ed è fondamentale recuperare per rimetterci in linea con gli altri paesi occidentali.
Il COVID però ha cambiato lo scenario. Nell’ultimo anno siamo stati tutti attaccati al filo di Internet per qualunque cosa, i numeri in settori come la videocomunicazione, il commercio elettronico, il lavoro remoto sono letteralmente esplosi. C’è una domanda di digitale fortissima degli italiani in questo momento ed un livello di consapevolezza e conoscenza degli strumenti senza precedenti finora nel nostro paese. È un’occasione unica.
Lei è stato tra i fondatori di Vitaminic, piattaforma per la distribuzione di musica digitale, quando ancora non esistevano iTunes o Spotify: quali opportunità ha perso il nostro Paese?
Nel settore digitale purtroppo le occasioni che abbiamo perso sono state molte. L’Italia ha giocato un ruolo centrale nello sviluppo dell’informatica a livello globale, ma poi nel momento chiave ha perso la strada e Olivetti da leader mondiale della nascente industria digitale ha abbandonato il settore per rimanere sulle macchine da scrivere. Nel periodo della new economy l’Italia era al centro del panorama europeo sul fronte del digitale generando storie di successo come Tiscali, Fastweb, Yoox, Venere, e tante altre iniziative come Vitaminic che potrei citare, come ad esempio My-TV, uno Youtube ante-litteram tutto italiano inventato da Salvo Mizzi, oppure la webmail di Tiscali che anni dopo sarebbe stata poi imitata da Google Gmail. Ma anche qui, con lo scoppio della bolla finanziaria siamo usciti dal digitale proprio mentre stava nascendo la nuova generazione di grandi società tecnologiche basate sui social media che oggi dominano i mercati globali. Un’altra grande occasione persa. Nella telefonia mobile l’Italia ha creato il primo mercato consumer di successo al mondo con Omnitel ma alla fine anziché intraprendere un percorso per creare un operatore leader globale, Omnitel è stata acquisita da Vodafone trasformandosi da predatore in preda. Questi sono gli esempi più macroscopici di grandissimi treni perduti, occasioni che avrebbero potuto porre l’Italia al centro dei mercati tecnologici internazionali. Nel libro oltre che descriverli cerco di capirne le motivazioni.
Quale ruolo ha avuto l’Olivetti per lo sviluppo dell’informatica?
Olivetti ha avuto un ruolo centrale e dalle sue ceneri in effetti è poi nato tutto. In primis a livello globale le due aziende che nel mondo hanno creato i presupposti per l’industria informatica sono state Olivetti ed IBM, due aziende in concorrenza tra loro fin dall’inizio. È stato un testa a testa per cinquant’anni, quando la morte improvvisa di Adriano Olivetti e del capo dei laboratori informatici dell’azienda poche settimane dopo ha aperto una crisi aziendale gravissima. Tutto questo avveniva proprio nel momento cruciale in cui stava nascendo la moderna industria informatica, rispetto alla quale Olivetti giocava un ruolo da numero 1 o 2 al mondo. Da li è stato un continuo perdere terreno, fino a perdere l’intera battaglia.
Ma Olivetti ha lasciato sul campo un’eredità preziosa fatta di competenze e cultura imprenditoriale nel campo tecnologico, una grandissima parte delle cose che negli anni successivi sarebbero successe nell’industria digitale italiana sono comunque ricollegabili a Olivetti o ex olivettiani, esperienze così importanti lasciano sempre semi importanti che poi daranno frutto.
In che modo la bolla delle dot-com ha contribuito all’implosione del digitale italiano?
L’esplosione della bolla ha ucciso il digitale italiano proprio nel momento in cui stava cominciando a compiere i primi passi, molto promettenti. Abbiamo avuto una finestra temporale molto stretta che ha consentito a poche startup di emergere e non ha consentito all’ecosistema che si stava formando di reggere all’impatto. Abbiamo perso troppo tempo inizialmente nel prendere nella giusta considerazione l’avvento di Internet, per poi improvvisamente rendercene conto. Ma l’esplosione della bolla ha spento questo entusiasmo, improvvisamente Internet prima osannata come panacea di tutti i mali della società moderna era diventato una bestemmia, una parola vietata e per quindici anni questo ha condannato l’Italia a diventare marginale in questo settore. Quando lavoravo in Olivetti e poi in Lycos, l’Italia era la decima nazione al mondo su Internet, oggi credo fatichiamo a stare nella top 30 mondiale.
Il paradosso è che in tutto il mondo dopo lo scoppio della bolla gli investimenti nel settore Internet sono proseguiti e si sono intensificati. Ricordo solo che aziende come Youtube, Facebook, Twitter, Instagram, Whatsapp per fare qualche esempio sono tutte nate anni dopo il crollo del Nasdaq che ha innescato lo scoppio della bolla.
Quali eccellenze esprime il nostro Paese in ambito informatico?
In ambito informatico l’Italia non esprime oggi particolari eccellenze, non siamo ancora riusciti a generare grandi società tecnologiche che potessero fare da traino ad interi settori, ma sono molto fiducioso per il futuro. In questi anni hanno iniziato a nascere e crescere in modo costante e regolare startup che stanno cominciando ad avere dimensioni significative e posizioni leadership in specifici mercati digitali. Penso ad aziende come Arduino, Bending Spoons, Satispay per fare degli esempi.
Da dove ripartire, a Suo avviso, per recuperare il terreno perduto?
La strada tracciata è chiara. Da alcuni anni è nato e si è sviluppato un significativo movimento di startup tecnologiche e digitali in Italia. Questa resurrezione della Net economy non è successa per caso, bensì è avvenuta ricostruendo i propri pezzi dopo l’esplosione della bolla delle dot-com. Molti che come me hanno vissuto quella esperienza hanno deciso di rimettersi in gioco di nuovo per ripartire da dove il percorso si era improvvisamente interrotto. È un cammino ancora in corso ma l’ecosistema delle startup e venture italiane si sta man mano consolidando ed è ormai una realtà. Ci saranno ancora bolle finanziarie nel campo tecnologico, è sempre successo e succederà ancora, l’importante sarà tenere la barra dritta sui fondamentali e non ripetere gli errori del passato.
Gianluca Dettori, classe 1967, è fondatore e presidente di Primomiglio SGR, società di venture capital tecnologico con oltre 100 milioni in gestione. Operativo dal 2004 come investitore in startup italiane, ha supportato oltre venti aziende tecnologiche nel settore Internet/ICT e digitale tra cui Vivaticket, Iubenda, Banzai (ora Eprice), Kiver, Seolab. Nel 1999 ha co-fondato Vitaminic, piattaforma per la distribuzione di musica digitale su web e mobile, ricoprendone la carica di Chief Executive Officer e portandola alla quotazione sul Nuovo Mercato di Borsa Italiana nel 2000. Nel 2007 ha fondato dpixel, società di advisory e consulenza nel campo dell’innovazione, ricoprendone il ruolo di presidente fino al 2016. Laureato in Economia all’Università di Torino, ha fondato ed è stato il primo presidente dello IAB (Internet Advertising Bureau) in Italia. Ha co-fondato ed è presidente di VC HUB Italia, l’associazione che raduna gli operatori di venture capital e le principali startup Italiane. È inoltre advisor della Commissione Europea, nell’ambito del progetto Future Internet Accelerators, nonché Fellow della Kauffman Society e della Fondazione BMW Stiftung.