
Le peculiarità di questa nazione di cultura cinese ma fieramente contrapposta a Pechino, di uno stato non pienamente riconosciuto all’interno dell’ordine internazionale pur avendo rapporti con tutti gli attori statuali sono parte essenziale di questa anomalia. Si tratta di un’anomalia sia giuridica sia politica. Taiwan è una nazione che emette moneta, dispone di un proprio esercito, controlla il territorio e difende i propri confini. Ossia possiede tutti gli elementi che definiscono uno stato sovrano. I cittadini taiwanesi hanno un passaporto, di colore verde con la scritta Taiwan, che gli consente di entrare, senza bisogno di un visto, in oltre 150 paesi. Gli Uffici di Rappresentanza di Taiwan sono presenti in più di cento capitali nel mondo e svolgono le tipiche funzioni consolari e diplomatiche, dall’emissione di visti ai servizi per i cittadini taiwanesi all’estero. Quando cerchiamo la bandiera taiwanese, tra le emoticon disponibili nei programmi di scrittura del nostro cellulare, troviamo un vessillo su campo rosso con un rettangolo blu nell’angolo e a malapena riusciamo a distinguere un sole bianco con dodici raggi triangolari. Milioni di prodotti con impressa la scritta Made in Taiwan vengono acquistati ogni giorno in tutti gli angoli del globo. La compagnia di bandiera taiwanese vola in più di 31 paesi e in 100 aeroporti del mondo possiamo vedere gli aerei taiwanesi che mostrano la bandiera dal paese sulla fiancata. Gli atleti taiwanesi partecipano regolarmente alle Olimpiadi e in tutte le competizioni internazionali. Ognuno di questi elementi necessita, tuttavia, di ulteriori precisazioni e sono proprio queste a definire la peculiarità di Taiwan. Gli Uffici di Rappresentanza di Taiwan non sono, tuttavia, ambasciate o consolati. La bandiera di Taiwan la troviamo tra le emoticon sul nostro cellulare ma molto raramente possiamo vederla sventolare insieme alle altre nelle sedi delle organizzazioni internazionali. Nel passaporto verde insieme alla scritta Taiwan in inglese c’è anche la dicitura Republic of China, in mandarino. Il nome della linea aerea di bandiera taiwanese, China Airlines, crea talvolta confusione tra i passeggeri. I principali marchi taiwanesi, HTC, Acer, Asus e Giant tra gli altri, sembrano riluttanti a mostrare apertamente la scritta Made in Taiwan. Gli atleti di Taiwan gareggiano con la denominazione di “Taipei Cinese”, la bandiera raffigura il sole blu con i dodici raggi affiancata però tra i cerchi olimpici e con una disposizione diversa dalla bandiera nazionale. Quando gli atleti taiwanesi vincono una medaglia alle Olimpiadi gli altoparlanti non suonano l’inno nazionale ma una versione alternativa.
Che ruolo svolge Taiwan negli equilibri del mondo?
Un ruolo apparentemente minore, soprattutto alla luce della forte limitazione che il paese ha nella proiezione internazionale, dall’assenza nelle organizzazioni multilaterali alle complesse relazioni bilaterali. La posizione geografica dell’isola nel cosiddetto Mediterraneo asiatico, ai margini del Rimland nel mare interno dell’Asia Orientale, rappresenta il primo elemento che rende il paese cruciale per gli equilibri globali. Più di un terzo degli scambi globali di merci passa per Mar Cinese meridionale, il controllo del bacino è fondamentale sia a livello strategico sia a livello commerciale e la sua posizione nel Mar Cinese meridionale è sull’interfaccia di collegamento tra i due oceani che bagnano la regione Indo Pacifico. L’isola garantisce la libertà di navigazione nelle acque dello Stretto alla Marina statunitense e la conseguente egemonia di Washington nella regione, oltre a un importante elemento di bilanciamento nei confronti della Repubblica Popolare cinese per il Giappone e la Corea del Sud. Soprattutto l’industria taiwanese dei semiconduttori è vitale per il fabbisogno globale di chip e le fonderie dell’isola sono il vero e proprio motore dell’industria sia dell’Information Technology sia del settore strategico. Pi+ del sessanta per cento dei semiconduttori di alta fascia sono prodotti da aziende taiwanesi e i preziosi chip di silicio sono cruciali per l’egemonia globale.
Quali dimensioni influenzano le relazioni tra Taiwan e la Repubblica popolare cinese?
Per Pechino, Taiwan è l’ultimo tassello di un percorso verso una Cina che trascende le divisioni etniche riconoscendosi in una identità centrale, indissolubilmente legata al primato della politica. Ma anche l’occasione per portare a termine il riscatto dalle umiliazioni subite dalle potenze coloniali nei secoli scorsi. Taiwan è una questione esistenziale per il futuro pensato dal PCC per la Cina. Le relazioni tra Taiwan e la Repubblica Popolare cinese possono essere analizzate attraverso la continua revisione ideologica del concetto di nazione tra le due sponde dello Stretto, una dimensione che comprende numerosi aspetti culturali, politici, psicologici, commemorativi, economici e militari. Dimensioni che talvolta avvicinano la Cina e Taiwan, altre volte le tengono distanti. Una relazione che può essere definita come una dipendenza asimmetrica, dove Taiwan non è esclusivamente l’oggetto di una contesa ma una soglia che riflette le complessità, e le fragilità, della Repubblica Popolare cinese.
Quali dominazioni si sono avvicendate sull’isola nel corso della sua storia?
La dominazione coloniale olandese, il breve periodo degli spagnoli e la colonizzazione giapponese, ma anche il dominio della dinastia Qing nell’isola. L’impero cinese ha esteso il suo potere su Taiwan per poco più di duecento anni, senza mai avere il totale controllo dell’isola. La stragrande maggioranza era in mano agli aborigeni mentre ai funzionari Qing era tassativamente vietato prendere in sposa le donne locali. Taiwan restò una “isola popolata da selvaggi”, indegna di far parte del Celeste Impero. Solo negli ultimi due decenni i “colonizzatori riluttanti” compresero l’importanza geostrategica dell’isola ma la decadenza dell’Impero Qing e la sconfitta nella guerra sino giapponese determinarono l’arrivo dei giapponesi. Quando il Kuomintang (KMT), sconfitta nella guerra civile in Cina con i comunisti di Mao, arrivò nell’isola instaurò un altro dominio di tipo coloniale. Un governo autoritario basato su una netta divisione, solo ai coloro che erano arrivati a seguito del KMT – i mainlander – era concesso di ricoprire cariche pubbliche, di entrare nell’esercito e la popolazione nata nell’isola fu discriminata per decenni. I mainlander provenivano da tutte le regioni della Cina e portarono con loro tradizioni sconosciute nell’isola. Il governo del Kuomintang vedeva con sospetto gli abitanti di Taiwan, dopo cinquanta anni di occupazione giapponese la cultura nipponica aveva praticamente pervaso ogni aspetto della vita nell’isola. Si avviò un processo di sinizzazione, basato su un’idealizzazione della Cina e della cultura cinese. Ossia un ulteriore percorso coloniale.
Cosa rappresenta per Taiwan la figura di Chiang Kai-shek?
Chiang Kai-shek per i taiwanesi rappresenta un simbolo della lotta al comunismo in Asia, un dittatore che ha oppresso la popolazione taiwanese, l’uomo che ha guidato Taiwan verso i successi economici degli anni Settanta e Ottanta. Il responsabile dell’arresto di centinaia di migliaia di taiwanesi e dell’uccisione di decine di migliaia di studenti, oppositori politici e attivisti. Un colonizzatore che ha imposto una minoranza al potere per decenni. Lo statista che grazie all’appoggio statunitense ha difeso Taiwan dall’annessione forzata alla Repubblica popolare cinese. Ossia una parte del paese, che sta diventando sempre più minoritaria nel paese, riconosce a Chiang il merito di aver difeso la sovranità taiwanese dalla minaccia della Cina comunista e di aver fondato lo Stato che, nei successivi decenni, è diventato un modello di sviluppo economico e un esempio di democrazia nella regione. Un’altra, consistente, parte dell’opinione pubblica vede nella figura di Chiang Kai-shek il crudele dittatore che ha oppresso la popolazione taiwanese in uno stato autoritario per decenni.
In che modo il Kuomintang ha determinato la storia più recente dell’isola?
Il Kuomintang da strenuo oppositore del regime comunista si trasformò in maniera molto graduale a partire dalla fine degli anni Novanta nell’alleato cinese all’interno della politica taiwanese. La relazione con la Repubblica Popolare cinese, prima cristallizzata in una posizione di prossimità culturale e avversità ideologica, diventerà più complessa. In particolare, dal 2008 con la presidenza di Ma Ying-jeou le due sponde dello stretto sembrarono destinate a un riavvicinamento definitivo. I primi segnali di una possibile erosione dell’egemonia statunitense spingevano Taipei verso l’area d’influenza cinese. La crisi economica del 2008 aveva mostrato le debolezze, e le storture, del capitalismo finanziario anglo-americano. Mentre la prossimità culturale, economica e storica con la Repubblica Popolare cinese appariva a una parte consistente della società produttiva taiwanese come un’opportunità imperdibile. Il Kuomintang interpretò questi sentimenti: un pragmatismo confuciano declinato alla ricerca dei benefici economici nella vicinanza con Pechino. Un percorso che fu spazzato dai movimenti di base che riempirono le piazze delle città taiwanesi nel 2014 e crearono i presupposti per l’onda emotiva che determinò la vittoria di Tsai Ing-wen nel 2016 e la sconfitta del Kuomintang e della linea pro Pechino.
Quali delicati compromessi semantici regolano i rapporti tra Stati Uniti, Repubblica popolare cinese e Taiwan?
Nel 1979 il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter inaugura le relazioni diplomatiche tra Pechino e Washington. Le relazioni diplomatiche ufficiali tra Washington e Taipei vengono interrotte e i rapporti tra Taiwan e l’alleato statunitense vengono definiti da una serie di politiche, atti congressuali, leggi e dichiarazioni congiunte che negli ultimi quaranta anni si sono sovrapposte l’una con l’altra. Nella vasta bibliografia sulle relazioni tra gli Stati Uniti e Taiwan l’aggettivo kafkiano compare in maniera frequente. La struttura centrale delle relazioni tra Taipei e Washington è la One China Policy. La politica dell’Unica Cina era un prerequisito fondamentale posto da Pechino per aprire le relazioni con gli Stati Uniti. Washington riconosce sia l’esistenza di una sola Cina sia la Repubblica Popolare cinese come l’unico governo legale del territorio cinese e prende atto della sovranità di Pechino su Taiwan. Prende atto ma non concorda con questa posizione, come enunciano i tre comunicati congiunti tra Washington e Pechino del 1972, 1979 e 1982. Nell’interpretazione di Pechino, con l’accettazione della One China Policy Washington implicitamente riconosce alla RPC la sovranità su Taiwan, anche se non c’è menzione esplicita.
Un complesso espediente semantico usato da tutte le parti per superare un ostacolo. I rapporti tra Taiwan e gli Stati Uniti sono regolati da leggi e decreti, pochi mesi dopo la rottura delle relazioni Washington si impegnò con il Taiwan Relations Act (TRA) del 1979 a difendere la sovranità dell’isola fornendo “materiale per la difesa e servizi in quantità necessaria affinché Taiwan protegga sé stessa”.
L’atto del Congresso autorizza de facto, da leggere come praticamente ma non ufficialmente, le relazioni diplomatiche tra Taiwan e Stati Uniti e istituisce l’American Institute in Taiwan come la rappresentanza di Washington a Taipei. La legge prevede inoltre che Taiwan sia considerata, ai sensi delle leggi statunitensi, allo stesso modo di “paesi, nazioni, stati, governi o entità simili straniere”, ossia equipara Taiwan a uno stato sovrano. O meglio quasi sovrano. Il Trattato di mutua difesa tra gli Stati Uniti e la Repubblica di Cina fu abolito nel 1980, il trattato prevedeva che entrambe le parti dovevano fornire all’altra aiuto e sostegno militare in caso di attacco. Quindi Washington rimane il tutore dell’ordine nei rapporti sino taiwanesi, ma il TRA non enuncia un automatismo per un eventuale intervento militare a difesa di Taiwan. Ossia le conseguenze di una eventuale dichiarazione di indipendenza taiwanese non rientrano nella cornice del sostegno militare. Si tratta di una condizione che lega a doppio filo Washington e Taipei, una dinamica volta a mantenere il controllo sull’alleato taiwanese e la stabilità nella regione. Il “lasciamo tutto così” o lo status quo è sancito esplicitamente dal Taiwan Relations Act, l’atto stabilisce che gli Stati Uniti prenderanno “qualsiasi tentativo di determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, inclusi boicottaggi o embarghi, come una grave minaccia”. Lo sguardo non è esclusivamente rivolto all’altro lato dello Stretto, anche le spinte taiwanesi animate da velleità indipendentistiche sono esplicitamente proibite. I tre comunicati congiunti sino-statunitensi, tre dichiarazioni formali tra Washington e Pechino rilasciati rispettivamente nel 1972, 1979 e 1982, completano il quadro della One China Policy nell’interpretazione della Casa Bianca. Una cornice che è stata più volte analizzata e interpretata dalle singole parti, a causa della natura volutamente aperta e fluida del linguaggio usato.
Come si è evoluta l’identità nazionale taiwanese rispetto alla matrice culturale cinese?
Taiwan è una anomalia non solo giuridica, ma anche storica e culturale. Ossia una condizione inedita e pressoché unica che viene immancabilmente descritta attraverso le dinamiche di evoluzione dell’identità nazionale nell’isola. Negli anni Novanta la Repubblica Popolare cinese e Taiwan sembravano due percorsi paralleli con qualche significativa differenza. I due lati dello Stretto apparivano destinati a trovare una sintesi, colmando le differenze culturali, politiche e psicologiche prodotte dagli eventi storici. L’evoluzione dell’identità taiwanese e la relativa percezione tra gli abitanti dell’isola di Taiwan come di un’entità politica individuale, ha ovviamente giocato un ruolo fondamentale nella creazione di una distanza incolmabile tra i due lati dello Stretto. La relazione tra i due lati dello Stretto è stata interpretata nel passato come una tensione, nell’interpretazione della filosofia cinese di interazione tra dinamica principi opposti. Dove i due elementi sono inseparabili tra loro. Gli eventi degli ultimi decenni mostrano una nazione decisa a trovare una dimensione culturale, identitaria, psicologia e politica al di fuori della dicotomia con la Cina. Una scelta cosciente della necessità di una pragmatica accettazione dei vincoli geostrategici della proiezione internazionale di Taiwan e dei limiti imposti dalle vicende storiche. L’identità nazionale pluralistica dell’isola costituisce oggi un ostacolo insormontabile a un possibile processo di inclusione non forzato all’interno della Repubblica Popolare. La formazione di una coscienza collettiva fondata sulla rappresentatività politica nell’isola implica una naturale alterità rispetto alla Cina, una barriera difficilmente superabile.
Quali prospettive, a Suo avviso, per l’isola?
Le relazioni con la Repubblica Popolare cinese sono aumentate di complessità negli ultimi due decenni, l’interdipendenza economica è enorme, così come i sentimenti di vicinanza e fascinazione, disprezzo e gelosia, velleità belliche e crescente voglia di stabilire relazioni informali. La relazione tra Pechino e Taipei ha delle caratteristiche uniche: l’egemone non può esercitare in pieno il proprio potere. La causa principale è il sostegno di Washington ma, vista l’impossibilità per ragioni strategiche e logistiche di una vera e propria invasione nel medio termine, la necessità di Pechino di “conquistare i cuori e le menti” dei taiwanesi gioca un ruolo importante. Pechino vuole generare un potere di attrazione nei confronti dei taiwanesi mentre la popolazione ha sviluppato un percorso identitario che porta l’isola sempre più lontano dalla Cina e dalla cultura cinese. La Repubblica popolare cinese sta tentando di imporre una nuova normalità, che negli anni modificherà probabilmente lo status di alcune isole dell’arcipelago ma ipotizzare un percorso di avvicinamento tra le due sponde dello Stretto o un’azione nei confronti dell’isola di Taiwan è fortemente improbabile. Una lenta e graduale erosione di alcuni elementi dello status quo è l’ipotesi che la maggior parte degli esperti delineano per il futuro di Taiwan.
Stefano Pelaggi è uno storico, docente e ricercatore. Ha conseguito un dottorato in Storia dell’Europa presso Sapienza Università di Roma, dove insegna sin dal 2014. Ricercatore del Centro Studi Geopolitica.info, presso il Taiwan Center for International Strategic Studies. Si occupa della storia di Taiwan, dei processi di riconfigurazione dell’identità taiwanese e delle relazioni italo-taiwanesi. Ha vissuto a lungo a Taiwan dove ha condotto attività di ricerca in varie istituzioni e ha insegnato in vari corsi universitari. Il suo ultimo libro è L’Isola Sospesa. Taiwan e gli equilibri del Mondo per Luiss University Press.