
Il Corano è composto da 114 Sure (capitoli) che iniziano con l’invocazione “Dio è clemente e misericordioso”; come ricordava il grande storico tunisino Muhammad Talbi, il buon Musulmano deve avere come modello la compassione e la misericordia di Dio. Si dovrebbe continuare così con altri mille esempi; anche se gli stereotipi sono duri a morire, è indispensabile continuare a dare informazioni corrette per non finire nel vortice di un nuovo antisemitismo; anche gli arabi sono semiti.
Troppo poco tempo è passato dal martirio di tanti ebrei accusati di crimini mai commessi, per poter giustificare un vergognoso genocidio. Non dobbiamo ricadere nella stessa trappola dell’informazione scorretta, perché nuoce alla nostra capacità di giudizio e ci porta a sospettare della stragrande maggioranza dei musulmani, ledendo ingiustamente la loro dignità.
Cos’è l’Islam oggi?
Spiegare cos’è la fede di oltre un miliardo e mezzo di cittadini che vivono in contesti culturali molto diversi è complicato. I principi che il musulmano deve osservare sono pochi e chiari, e sono chiamati i cinque pilastri dell’Islam: la professione di fede nel monoteismo, la preghiera (cinque volte al giorno), l’elemosina (in percentuale sul guadagno), il digiuno per il mese di ramadan (dall’alba al tramonto per un mese all’anno), e il pellegrinaggio alla Mecca (almeno una volta nella vita, se si ha la disponibilità economica).
Per capire l’Islam di oggi bisogna conoscere come si è sviluppato nel tempo e nelle diverse regioni in cui si è diffuso. L’Islam ha sempre assorbito usi e costumi dei diversi luoghi, dove si è radicato; per esempio in Pakistan si legge il Corano in arabo, ma per il suo approfondimento si usa l’urdu come nella vita di tutti i giorni; per quanto riguarda l’ordinamento politico il paese è una repubblica democratica, in cui si svolgono regolarmente le elezioni, anche se a causa della guerra in Afghanistan si sono infiltrati nel paese molti combattenti stranieri che ne hanno alterato le condizioni di vita. Si pensi ad esempio a Malala Yousafzai, la Nobel per la pace 2014, vittima di un attentato da parte dei talebani che volevano impedire a lei e ad altri ragazzi di andare a scuola. Diversa è la situazione in Marocco, dove la riforma costituzionale del 2011 ha concesso alla lingua Amazigh (parlata dai berberi) dignità pari all’Arabo che è la lingua nazionale. In Iran parlano persiano (una lingua indoeuropea scritta con i caratteri arabi) e in Turchia si parla turco (una lingua uralo-altaica agglutinante, scritta con i caratteri latini) e i due popoli sono etnicamente e culturalmente molto diversi. Per approfondire consiglierei di leggere il mio libro Islam, religione e politica edito dalla LUISS University Press.
Quali sono le tendenze nel pensiero politico, e quante e quali correnti religiose esistono nei paesi di fede islamica che si affacciano sul Mediterraneo?
Anche le tendenze politiche sono numerose, ed a seguito della presenza coloniale europea le istituzioni sono state definite seguendo il modello di quelle occidentali. La rinascita culturale islamica nel XIX secolo è stata ispirata dalle letture degli illuministi francesi, ed anche la riforma della scuola e dei sistemi educativi ha seguito i nostri modelli. In Egitto già all’inizio del XX secolo vi erano partiti politici liberali, nazionalisti e socialisti; in seguito Nasser ha abolito il pluripartitismo che è stato ripreso con molti limiti da Sadat. In Tunisia ci sono molte formazioni politiche e anche in Libano come pure in Marocco e Giordania. In altri paesi vige un controllo politico che limita la libertà di espressione. Le correnti religiose sono molto diverse e vanno da quelle più conservatrici, come i salafiti e i wahabiti, alle diverse correnti all’interno del movimento dei fratelli musulmani; queste oscillano da un atteggiamento rispettoso per le istituzioni democratiche – come il partito di Ghannushi in Tunisia – a quelle più totalitarie come il partito di Erdogan in Turchia. Anche tra gli shiiti ci sono realtà diverse che vanno dalla repubblica costituzionale islamica dell’Iran, che ha una concezione molto teocratica della democrazia, al partito libanese di Hezbollah che partecipa alla vita parlamentare. Vi sono poi altri gruppi religiosi, tra cui vale la pena di ricordare gli alawiti, minoranza al potere in Siria.
È possibile il dialogo tra cristiani, ebrei e musulmani?
L’Islam è diffuso in molti paesi, e sin dall’inizio la Carta di Medina, promulgata dal Profeta, ha garantito il culto e il rispetto del diritto privato degli ebrei e cristiani che abitavano nei territori a maggioranza islamica. L’Islam non è contrario al pluralismo; ad esempio nella costituzione dell’Indonesia, il paese con il più ampio numero di cittadini islamici, è garantito il pluralismo religioso. Va ricordato che per oltre mille secoli cristiani ed ebrei hanno vissuto nell’ambito del califfato, prima di Damasco e poi di Bagdad ed in seguito dei sultani ottomani. Non dimentichiamo che dopo la cacciata dalla Spagna, al tempo della reconquista, gli ebrei si sono rifugiati in Nord Africa in particolare in Tunisia, Marocco ed Egitto, ma anche a Istanbul, dove sono stati ben accolti ed integrati. Oggi la situazione è degenerata a seguito del dissesto politico del Medio Oriente a seguito degli interventi militari stranieri e delle dittature che hanno giocato sulla divisione delle diverse comunità religiose.
Quali sono gli effetti economici e sociali del fallimento delle primavere arabe?
Il fallimento delle rivoluzioni arabe del 2011 è stato drammatico per la vita delle popolazioni mediorientali perché nonostante i diversi governi abbiano cercato strade a volte nuove per rilanciare l’economia, hanno fatto fatica ad accedere ai mercati internazionali ed ai fondi della Banca Mondiale.
Inoltre la crisi in Medio Oriente ha anche ostacolato l’immigrazione interna. In Iraq come in Libia, ad esempio lavoravano molti egiziani, ma adesso è difficile lavorare e vivere in una situazione non più sotto controllo e in territori sovente in mano a bande armate, a volte governate da mercanti di uomini e armi. Emigrare in Europa è molto rischioso e negli altri continenti è più costoso e molto difficile. Il Presidente egiziano al-Sisi, per esempio, per dare lavoro agli egiziani ha raddoppiato il canale di Suez ma non ha risolto il problema della disoccupazione in modo strutturale. La crisi del terrorismo è noto che ha colpito prima e più di noi i paesi della sponda sud. Sia L’Egitto che la Tunisia grazie ai siti archeologici e alle spiagge davano da lavorare a migliaia di giovani. Oggi purtroppo dopo i numerosi attentati centinaia di alberghi sono vuoti.
Qual è la condizione femminile nell’Islam di oggi e come evolverà, a Suo avviso?
Dopo la liberazione dal dominio coloniale i diversi paesi arabi hanno varato costituzioni di stampo occidentale, ma sono invece rimasti legati alla tradizione islamica per quanto riguarda il diritto privato, ed in particolare le regole che informano i diritti delle donne, il matrimonio, il divorzio e l’eredità. Vanno sottolineate importanti eccezioni, ossia la Turchia che, abolito il califfato, ha vietato il velo e dato il voto alle donne subito dopo la fine della prima guerra mondiale, imponendo la laicità nel paese. Anche la Tunisia di Burghiba ha dato il voto alle donne, a cui ha concesso il divorzio e uguali diritti sul lavoro ed ha imposto la monogamia; ha inoltre sostenuto le numerose associazioni femminili che hanno aiutato a sviluppare l’economia e l’educazione nelle aree rurali. Vi sono tuttavia diversi paesi arabi dove le regole comportamentali per le donne sono discriminatorie. Inoltre negli ultimi decenni si sta diffondendo una concezione dell’Islam molto radicale che non facilita la diffusione dei diritti delle donne.
Per capire la condizione della donna nel mondo islamico è opportuno leggere il libro di Renata Pepicelli sul Femminismo islamico edito da Carocci.
Già nei primi decenni del XX secolo le donne frequentavano l’università, e quindi si sono formate molte professioniste. Nelle grandi città le donne della borghesia hanno studiato nelle scuole occidentalizzate, ma anche nelle Università Americane di Beirut come del Cairo; queste donne parlano le lingue straniere e conoscono la nostra cultura. Certo rappresentano nelle migliori delle ipotesi il 20% della forza lavorativa.
Nelle campagne la situazione è molto diversa e l’industria si è sviluppata troppo poco per poter assorbire la manodopera femminile. Inoltre c’è il problema dei vincoli imposti dalla shari’a; laddove il codice civile non lo prevede, la donna deve avere il permesso dal padre o dal marito per poter lavorare. Il padre, o chi ne fa le veci, firma il contratto matrimoniale. Per una donna non è facile divorziare, se il padre al momento della stipula del contratto matrimoniale non ha previsto per la figlia il diritto di chiedere il divorzio. Studi di sociologhe, come la libanese Fahmiyya Sharafeddin, dimostrano che la sottomissione delle donne è un problema legato alla cultura patriarcale piuttosto che alla religione, perché sia nelle comunità cristiane che in quelle musulmane le donne subiscono violenza e sono le prime a non essere mandate a scuola se la famiglia ha difficoltà economiche.
Quale futuro per i rapporti tra Islam e occidente?
I rapporti per essere sviluppati hanno bisogno dell’impegno di entrambe le parti, e serve la conoscenza reciproca per potere promuovere il dialogo. Se noi continuiamo a parlare dell’Islam solo in termini di terrorismo faremo fatica a trovare interlocutori. Allo stesso tempo se la nostra diffidenza non colma il vuoto di comunicazione in Occidente sarà sempre più difficile arginare la deriva di giovani emarginati facile preda di “cattivi maestri”. La propaganda dei terroristi propone ai giovani il paradiso in cambio del sacrificio della vita, e si fonda sulla malevola e reiterata proposizione di immagini che mostrano i tragici risultati causati dalle guerre mosse dall’Occidente in Medio Oriente. Bisogna ricordare che la situazione è molto più complessa, perché molti musulmani vivono in occidente e si sentono parte della nostra società. Occorre che in entrambe le parti si stabilisca un clima di conoscenza e di fiducia; solo con lo sforzo costante delle persone di buona volontà sarà possibile creare il dialogo e il rispetto reciproco. Per questo ho realizzato il libro “L’Islam non è terrorismo” con Luciano Violante; ho invitato 7 intellettuali italiani esperti di mondo arabo e cinque intellettuali arabi, un turco e una italo-somala, per esporre vari aspetti della cultura islamica: dalla politica all’economia, dal diritto alla filosofia e dalla storia delle donne alla mistica. In totale 14 articoli per avere informazioni di buon livello scientifico in un linguaggio semplice per chiunque voglia avvicinarsi alla cultura islamica e sfatare tanti ignobili pregiudizi. Oggi sostenere il dialogo è il miglior modo per difendere e salvaguardare i diritti umani.