“L’Iran oltre l’Iran. Realtà e miti di un paese visto da dentro” di Alberto Zanconato

Dott. Alberto Zanconato, Lei è autore del libro L’Iran oltre l’Iran. Realtà e miti di un paese visto da dentro edito da Castelvecchi: la cultura persiana affonda le sue radici nel passato preislamico, come evidenzia il nome stesso del paese, Iran.
L'Iran oltre l’Iran. Realtà e miti di un paese visto da dentro Alberto ZanconatoIran, infatti, è un’altra forma della parola ‘ariano’ e questo è il nome che gli iraniani hanno usato per i loro territori fin dall’antichità, quando i loro imperi dominavano questa parte del mondo, molti secoli prima dell’arrivo dell’Islam. Altra denominazione usata in passato era quella di Iran zamin, cioè ‘Terra degli ariani’. Il nome di ‘Persia’ è di origine greca e deriva dalla regione di Fars, o Pars, dove sorgeva Persepoli. Ma è stato sempre usato solo dagli occidentali e fin dal 1935 l’allora Shah Reza Pahlavi lo vietò anche nella corrispondenza scritta con i governi stranieri. Estranei alle persecuzioni secolari degli ebrei che hanno macchiato la storia europea, gli iraniani continuano ad usare ancora oggi senza imbarazzo la parola ‘ariani’ – anziché il sinonimo ‘indoeuropei’ – per definire se stessi, considerando il proprio Paese la culla di questa stirpe, scesa dal Caucaso e poi diffusasi ad est verso l’India e ad ovest verso l’Europa. Un’origine di cui sono estremamente orgogliosi e che li distingue dai semiti: gli ebrei certo, ma soprattutto gli arabi, i veri grandi rivali nella regione. Fu l’invasione araba, nel VII secolo dopo Cristo, ad abbattere l’impero iraniano dei Sasanidi, portando l’Islam. Non c’è dubbio, dunque, che l’ambivalenza sia il sentimento predominante per ogni iraniano rispetto alle circostanze che portarono alla diffusione della religione di Maometto in questa terra. Un sentimento che sopravvive fino ai giorni nostri, nelle tradizioni che si perpetuano. Basti pensare che la festa più importante per ogni iraniano rimane il Norouz, l’antichissimo capodanno di origini pagane e zoroastriane festeggiato all’equinozio di primavera qui e in altri territori che facevano parte dell’impero, come l’Afghanistan, il Tagikistan e il Kurdistan. Così come di origini zoroastriane è il calendario ufficiale, solare, che si distingue da quello islamico, lunare.

Quali profonde differenze culturali vi sono tra l’Iran sciita e il mondo arabo sunnita?
Per capire queste differenze bisogna andare alle origini di queste potenze che ancora si contrappongono nel mondo di oggi. Da una parte un impero arabo nato da un credo religioso e dall’incrollabile certezza di dovere assoggettare alla nuova fede il mondo intero, che grazie a questa convinzione è riuscito a conquistare territori immensi nell’arco di pochi decenni, ma che poi si è scoperto privo di un’esperienza e di un apparato statuale capace di governare i popoli sottomessi. Dall’altro un impero iraniano già ricco di una tradizione amministrativa e culturale che è sopravvissuta e ha saputo penetrare e influenzare la mentalità degli invasori, fornendo all’impero islamico strumenti, anche burocratici, di cui era sprovvisto. La perpetuazione della cultura iraniana è testimoniata tra l’altro dalla sopravvivenza della lingua locale – sebbene con forti influssi arabi – a differenza di quanto avvenuto per altri popoli, come quello iracheno ed egiziano, che pure sono anch’essi eredi di antichi imperi. Grazie a questa forte identità gli iraniani hanno potuto mantenere una propria cultura e molto più tardi, con la dinastia sciita dei Safavidi, a partire dal XVI secolo, anche ricostruire un proprio impero. La conversione allo sciismo imposta dai Safavidi a tutti gli iraniani, fino ad allora in maggioranza sunniti, ha fornito a questa dinastia, a quelle che le sono succedute, e poi alla Repubblica islamica, anche lo strumento religioso per differenziarsi dagli arabi e dai turchi sunniti, senza per questo rinunciare all’Islam. La nuova fede sciita, che rimane minoritaria nella comunità islamica mondiale, si è dunque saldata con le esperienze imperiali preislamiche per dare all’Iran quelle caratteristiche di potenza centralizzata e coesa che ancora oggi si contrappone ad un mondo arabo sunnita diviso. Va ricordato che l’Iran, a differenza dei Paesi arabi, non è mai stata una colonia.

Quali vicende hanno portato alla nascita della Repubblica Islamica dopo la Rivoluzione del ’79?
La rivoluzione è stato il punto d’arrivo – almeno fino ad ora – di lunghe e tormentate vicende politiche che hanno sconvolto l’Iran fin dalla fine del XIX secolo. A partire almeno dall’uccisione nel 1896 dello Shah Nasseredin della dinastia Qajar, abbattuto a colpi di pistola dopo 48 anni di regno da un seguace del leader religioso anti-imperialista Jamal al Din Afghani. Da allora una parte del clero sciita, movimenti laici e in seguito marxisti sono stati insieme i protagonisti di movimenti politici che hanno cercato di porre un limite al potere della monarchia e alle interferenze delle potenze straniere: prima la Gran Bretagna e la Russia, e poi gli Usa. Ma le agende delle diverse fazioni che hanno preso parte a queste rivolte erano per molti versi inconciliabili, e inevitabili sono state le periodiche rese dei conti. Così è stato dopo la rivoluzione del 1979. Abbattuto il nemico comune, lo Shah, il clero e le fazioni secolari si ritrovarono su fronti opposti. E i religiosi guidati dall’ayatollah Rouhollah Khomeini, forti di una presa senza pari sulle classi popolari – in particolare le masse di contadini sradicati dalle loro terre e ammassati nelle periferie delle grandi città – riuscirono ad eliminare uno alla volta con metodi brutali i compagni di viaggio della rivoluzione, compreso il partito comunista Toudeh. Per non provocare la reazione dei gruppi rivoluzionari laici e di parte della popolazione, all’inizio l’imposizione delle regole islamiche, tra cui quella del velo per le donne, avvenne solo gradualmente. Ma un aiuto a Khomeini fu fornito anche dagli Usa. Documenti emersi solo negli ultimi anni dimostrano che già durante la rivoluzione, quando apparve evidente che lo Shah non sarebbe riuscito a difendere il trono, Washington cercò di avviare una collaborazione con l’ayatollah, giudicato come il più affidabile baluardo contro il pericolo che la caduta della monarchia portasse alla presa del potere dei comunisti e quindi all’entrata di un Paese strategico come l’Iran nella sfera sovietica. Infine, a consentire ai khomeinisti di rinsaldare la presa sul potere fu la guerra di otto anni con l’Iraq, che aggredì l’Iran solo un anno e mezzo dopo la rivoluzione, provocando una reazione nazionalista in cui risultò più facile eliminare le voci del dissenso.

Come si articola il sistema politico iraniano?
È un sistema basato su un paradosso, evidente già nel nome: la volontà popolare (Repubblica) insieme con l’obbedienza dovuta ai dettami della religione (islamica). Un compromesso resosi necessario quando, dopo l’eliminazione delle organizzazioni laiche e marxiste che avevano partecipato alla rivoluzione, continuarono a sopravvivere all’interno del sistema i sostenitori di diverse concezioni della natura e delle politiche del nuovo regime. Da un lato una sinistra radicale ispirata all’ideologia dell’egualitarismo e della ribellione contro l’ingiustizia che credeva fermamente nella partecipazione popolare al governo. Dall’altro un fronte conservatore convinto sostenitore dell’origine divina del potere. Forte del suo carisma, Khomeini riuscì a imporre una mediazione tra i diversi schieramenti, che si rifletté nell’architettura istituzionale del sistema. La Guida suprema – un tempo Khomeini e oggi l’ayatollah Ali Khamenei – esercita l’autorità di vali-ye faqih, cioè di tutore del popolo in attesa della riapparizione del dodicesimo Imam sciita, che si ritiene nascosto fin dal IX secolo. Il potere della Guida convive con quelli riconosciuti agli organi eletti, cioè il parlamento e il presidente della Repubblica, che è anche capo del governo. Il vali-ye faqih, la cui permanenza in carica non ha limiti di tempo, è scelto dall’Assemblea degli Esperti, organismo di cui fanno parte solo membri del clero eletti dal popolo ogni otto anni. La stessa Assemblea ha in teoria anche il potere di rimuovere la Guida, ma finora questa è solo un’ipotesi rimasta sulla carta. Le limitazioni agli aspetti democratici della Costituzione sono forti. Le candidature alle elezioni parlamentari, presidenziali e per l’Assemblea degli Esperti sono vagliate e selezionate dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, in cui sei dei dodici membri sono nominati dalla stessa Guida. Gli altri sei vengono scelti dal parlamento da una lista presentata dal capo dell’apparato giudiziario, anch’egli nominato dalla Guida. E quest’ultima può anche interferire nell’attività del parlamento e del governo, bloccando le loro decisioni nel nome del bene supremo dello Stato o dell’Islam. La Guida nomina anche i vertici delle forze armate, dei Guardiani della rivoluzione e della polizia, oltre al capo dell’apparato giudiziario e il responsabile della televisione di Stato. Ma la sua autorità si estende anche al settore economico, con il controllo sulle fondazioni parastatali costituite dopo la rivoluzione che gestiscono una fetta immensa dell’economia iraniana e che rappresentano uno strumento di primaria importanza per il mantenimento del consenso.

La società iraniana è dinamica e pragmatica, con un’età media inferiore ai trent’anni. Come convivono tradizione e modernità nel paese?
Anche questo è un paradosso che stupisce gli stranieri che visitano l’Iran, e non cessa mai di stupire quelli che ci vivono a lungo, come è capitato a me. Milioni di ragazzi e ragazze, istruiti e desiderosi di contatti con altre culture, che ballano insieme nelle feste proibite dalla legge, che accedono ai siti Internet vietati grazie ai sistemi anti-filtro e guardano le televisioni che tramettono dall’estero usando le antenne paraboliche anch’esse proibite, continuano a fare la loro vita in un sistema regolamentato dalla legge islamica – con l’applicazione della legge del Taglione, della pena di morte per gli omosessuali, delle amputazioni e delle lapidazioni – e controllato da poteri conservatori che considerano ogni moda o influenza occidentale come un tentativo di “penetrazione del nemico”. Le contraddizioni più forti sono quelle che riguardano le donne. Da un lato la sharia, che considera il loro valore la metà di quello degli uomini come eredi, testimoni in tribunale o vittime di incidenti. Dall’altro professioniste affermate e studentesse che riescono a passare il difficilissimo esame per l’ammissione all’università in numero superiore a quello dei colleghi maschi. E tante ragazze che, nelle grandi città, sfidano quotidianamente le ferree regole imposte sull’abbigliamento lasciando scoperti sempre più capelli e sempre più parti di gambe e braccia. Ma è in errore chi non tiene conto, accanto a questi atteggiamenti ribelli, di una forte adesione a un sistema di valori tradizionali che permane anche nella gioventù, e di cui l’Islam è solo un aspetto. In questo sistema giocano ancora ruoli fondamentali il senso dell’appartenenza al gruppo, al clan familiare, l’obbedienza all’autorità, l’importanza del matrimonio. E un marcato orgoglio nazionale che si accompagna a una certa diffidenza verso l’Occidente, spesso accusato, non a torto, di ipocrisia in materia di democrazia e diritti umani. Per questi giovani, insomma, opporsi a certi aspetti della tradizione e alla legge islamica non significa rinunciare ad essere iraniani per diventare ‘occidentalizzati’. E quello che la maggior parte sembra volere è un cambiamento che non passi attraverso una nuova rivoluzione, ma un percorso di graduali riforme.

L’Iran attuale vive una netta contrapposizione con l’Arabia Saudita oltreché con l’Occidente: quale futuro per l’Iran?
La retorica saudita nei confronti dell’Iran si è certamente fatta più aggressiva, prima con l’ascesa al trono del nuovo re Salman, nel gennaio del 2015, e, due anni dopo, con l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, che ha dato una decisa sterzata alla politica americana riconfermando la tradizionale alleanza con Riad dopo i tentativi di distensione con Teheran del suo predecessore Barack Obama. Per ora, tuttavia, le azioni dei governi statunitense e saudita sembrano limitate al tentativo di limitare l’espansione militare dell’Iran, attraverso i suoi Guardiani della rivoluzione e le milizie loro alleate, nei teatri di guerra della regione, in particolare in Iraq e Siria, oltre che in Afghanistan. Ma gli attacchi verbali di Washington potrebbero ridare vigore per reazione al fronte dei conservatori in Iran, penalizzando coloro che lavorano per le riforme e un’apertura del Paese al resto del mondo. E questo è quello che vuole la maggioranza del popolo iraniano. A dimostrarlo è il fatto che negli ultimi vent’anni una maggiore affluenza alle urne ha premiato sempre il campo riformista e moderato. A confermarlo è stata quest’anno la rielezione alla presidenza di Hassan Rouhani, nonostante i problemi che continuano ad affliggere l’economia del Paese e una repressione contro ogni forma di dissenso interno che non accenna a diminuire. Ma anche l’immensa partecipazione di folla ai funerali dell’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, un pragmatico colonna portante del regime che fin dagli Ottanta ha lavorato per cercare di chiudere il capitolo rivoluzionario della Repubblica islamica e fare diventare l’Iran un Paese ‘normale’, forte e orgoglioso della sua indipendenza, ma aperto al resto del mondo, compresi gli Stati Uniti, sulla base di un “reciproco rispetto”. La morte di Rafsanjani ha segnato l’avvio di un difficile periodo di transizione che porterà all’uscita di scena della prima generazione dei leader rivoluzionari. Un momento critico sarà la scomparsa di Khamenei, che ha 77 anni e non gode di ottima salute. Per ora sul futuro regna l’incertezza, mentre i giochi per la successione sono ormai aperti tra centri di potere ed interessi economici rivali, desiderosi o timorosi di questa normalizzazione, in attesa di un mediatore capace di traghettare il Paese verso una nuova era. Qualcuno pensa che potrà essere l’attuale presidente Hassan Rouhani, politico accorto e di lungo corso, da molti visto come la più riuscita ‘creatura’ di Rafsanjani. Ma è ancora troppo presto per dirlo.

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