
Quali debolezze caratterizzano le argomentazioni addotte dai sostenitori delle posizioni miticiste?
A rispondere questa domanda Franco Tommasi ed io abbiamo dedicato diversi capitoli nel libro, Gesú resistente, Gesù inesistente. Due visioni a confronto, scritto per affrontare le tesi miticiste di Richard Carrier ed altri. Per “mitismo” o “miticismo” s’intende la teoria secondo la quale Gesù di Nazareth non è esistito come figura storica, ma come un’entità puramente fittizia. Anzitutto devo dire che, benché la posizione mitista sia solitamente scartata sdegnosamente dal mondo accademico, come abbiamo argomentato Tommasi ed io, tale rifiuto è inaccettabile senza una discussione ragionata. Di fatto, giacché il mitismo ha come punto di partenza i problemi oggettivi delle fonti su Gesù, anzitutto dei Vangeli canonizzati –le distorsioni, gli anacronismi e l’alta percentuale di materiale inverosimile –, esiste uno spazio di intersezione tra questo approccio e quello storico-critico, poiché entrambi condividono notevoli dosi di scetticismo.
Nel mio/nostro parere, però, ci sono diverse debolezze che ci impediscono di accettare le conclusioni del miticismo. Ad esempio, alla pretesa dei miticisti che non sia possibile stabilire procedimenti per discernere ciò che è presumibilmente storico da ciò che non lo è si è avanzata una serie di obiezioni. Un altro esempio è la trattazione del Testimonium Flavianum -il brano su Gesù scritto dallo storico ebreo Giuseppe Flavio- alla cui inautenticità i miticisti accordano grande importanza; ma questi autori non spiegano in che modo un testo che sarebbe stato ipoteticamente inventato nella sua totalità dai cristiani possa aver avuto una Vorlage (testo originale) nella quale si scorge un giudizio negativo su Gesù. Rispetto ai paralleli tra Gesù e gli eroi o “uomini divini” dell’Antichità, anche se esistono davvero e sono numerosi, quasi tutti sono spiegabili come risultato dell’aumentata mitizzazione sperimentata dalla figura di Gesù ad opera della tradizione cristiana.
Benché si debba ammettere che gli autori dei vangeli –o della tradizione sottostante – hanno creato buona parte della loro opera a partire dalla Bibbia ebraica e da altri modelli letterari a loro disposizione, tale correlazione non esaurisce la totalità del materiale, e sostenere il contrario costringe a elaborare ipotesi contorte che di per sé non sono plausibili. Facciamo soltanto due esempi. Gli eventi soprannaturali che si verificano durante il battesimo di Gesù ad opera di Giovanni sono leggendari, ma ciò non significa che il battesimo in sé sia necessariamente un’invenzione. Oppure pensiamo ai racconti della crocifissione: all’interno c’è molto materiale fittizio, ma il dato che Gesù (insieme ad altri uomini) sia stato crocifisso è estremamente probabile. In altre parole, desumere dalla presenza di grandi dosi di intertestualità nelle fonti l’assenza di un nucleo storico è un non sequitur.
Quanto a Paolo, anche se i dati della vita e gli insegnamenti di Gesù che cita sono scarsi, mostrano che considerava il galileo un essere reale: si è riferito a lui come a un “essere umano” (Rm 5,15) e “nato da donna, nato sotto la Legge” (Gal 4,4). Del resto, Paolo si riferisce a Giacomo come al “fratello” di Gesù; dato che non ci sono ragioni per dubitare di questa informazione, la deduzione più ovvia e semplice è che Gesù sia esistito – soprattutto tenendo conto che anche Flavio Giuseppe e altre fonti cristiane accennano ai suoi fratelli e ad altri parenti.
Benché il mitismo appaia un’ipotesi minimalistica, è vero che, data la sua necessità di sostenere che non una sola informazione indicativa dell’esistenza di Gesù è attendibile, finisce per scivolare nel massimalismo, poiché costringe i suoi difensori a mettere in campo una serie di ipotesi ausiliarie destinate a sostenere che ogni notizia dalla quale si evincerebbe l’esistenza di Gesù è fabbricata o ha un significato diverso da quello apparente. Ebbene, qui si ravvisa la fragilità epistemologica di questo approccio, poiché non poche di tali ipotesi sono troppo contorte e non risultano convincenti, e man mano che diminuisce la loro plausibilità, le probabilità che Gesù non sia esistito si abbassano in maniera esponenziale. Il carattere forzato di alcune argomentazioni mitiste e l’accumulo di congetture fanno sì che la spiegazione più semplice sia, a contrario, quella che Gesù sia esistito. Il rasoio di Occam avalla l’esistenza del personaggio.
Quali elementi suffragano la tesi del Gesù insurrezionale?
Io preferirei dire “l’ipotesi del Gesù, profeta ebreo apocalittico, coinvolto in qualche modo nella resistenza antiromana”. Comunque sono gli stessi scritti cristiani, e soprattutto i vangeli canonizzati, a fornire una quantità di indizi che configurano un’immagine di Gesù molto diversa da quella che i loro autori cercarono di trasmettere. Tra gli elementi che sono disseminati nei vangeli citiamo soltanto alcuni: il fatto che Gesù fu crocifisso, cioè giustiziato con il supplizio romano usuale per i ribelli delle province; i racconti secondo i quali Gesù fu crocifissi tra due lestaí (che non vuol dire “ladri” o “rapinatori”, ma piuttosto “banditi”, e che era proprio il termine usato dai romani per indicare i ribelli politici); la cospicua presenza del titolo “re dei giudei” nell’interrogatorio di Pilato e nel titulus crucis (ed anche la parodia di un’epifania regale fatta dai soldati), il che suggerisce che egli si considerasse re o viceré di Dio; il racconto secondo il quale Gesù promise ai suoi discepoli che avrebbero seduto sui troni delle dodici tribù di Israele (Mt 19:28, Lc 22:28-30); il fatto che un drappello armato fu inviato a catturare Gesù segretamente e di notte; secondo Lc 22:36, Gesù si assicurò che i suoi discepoli fossero armati, ordinando loro di acquistare delle spade; il fatto che almeno alcuni discepoli di Gesù, se non tutti, giravano armati, come attestato da Lc 22:38,49 (“Signore, dobbiamo colpire con la spada?”), Mc 14:47 e implicito in Lc 22:36; il fatto che tutti e quattro i vangeli riportano che nel Getsemani fu opposta una resistenza armata (con delle spade); secondo Gv 11:47-50, la possibilità che Gesù sia lasciato agire è connessa dal Sommo Sacerdote con un intervento virtualmente certo dei romani, con serie conseguenze; il fatto che la predicazione dell’imminente arrivo del Regno di Dio ha un carattere inconfondibilmente politico, perché l’instaurazione del volere di Dio sulla terra non avrebbe lasciato alcuno spazio al dominio romano; il fatto che, secondo le affermazioni degli stessi discepoli (Lc 24:21; At 1:6), l’obbiettivo di Gesù era restaurare il Regno di Israele; il fatto che la disposizione violenta di almeno alcuni discepoli è ben attestata nella tradizione (si veda Lc 9:51-56); i racconti secondo i quali Gesù inculcò nei suoi seguaci l’idea che l’essere discepolo implicasse non solo conflitti, sacrificio e sofferenza ma anche il pericolo di morte; la relazione antagonistica tra Gesù ed Erode Antipa, spiegabile soltanto in chiave politica, eccetera. Devo fermarmi qui, perché sono tanti altri gli indizi che dipingono un individuo con aspirazioni di leadership, la cui attività era volta a ottenere la liberazione di Israele -quella spirituale, sì, ma anche politica, materiale- e quindi in forte conflitto con il potere romano e i suoi collaboratori. Per una lista più completa e una discussione sulla storicità di questi elementi devo rimandare alla seconda parte di L’invenzione di Gesù di Nazareth.
Come è nata e si è sviluppata la narrazione maggioritaria sul Gesù essere divino?
Come nel caso delle altre domande che mi hanno posto, anche questa è una questione che esige una risposta assai lunga e dettagliata, che non è possibile dare in poche righe. Diciamo che la divinizzazione di Gesù è un fenomeno senz’altro complesso, ma che si può capire abbastanza bene. Anche se a prima vista sorprendente, l’esaltazione di Gesù diventa sufficientemente intelligibile quando si prendono in considerazione sia i meccanismi psicologici che operano sull’evoluzione di gruppi apocalittici (come il fenomeno della cosiddetta “dissonanza cognitiva” e i meccanismi di riduzione della dissonanza) che le condizioni culturali e religiose nel bacino del Mediterraneo (come la presenza delle idee di morte vicaria nell’ebraismo e nella cultura greco-romana, le sfumature del monoteismo ebraico, il culto dell’imperatore romano e le tradizioni di immortalizzazione corporea nelle culture mediterranee). Un approccio complessivo permette, pertanto, di contemplare la venerazione di Gesù in seno al movimento cristiano non come una stupefacente novità completamente priva di precedenti, ma come uno sviluppo ulteriore di fenomeni già conosciuti. Per una risposta molto più dettagliata e rigorosa devo rimandare alla terza parte del mio libro L’invenzione di Gesù di Nazareth, interamente dedicata a spiegare quel processo d’esaltazione del personaggio.
Fernando Bermejo-Rubio è docente presso il Dipartimento di Storia Antica, U.N.E.D. (Madrid). Ha firmato numerose pubblicazioni in riviste internazionali. Tra i suoi ultimi libri ricordiamo La invención de Jesús de Nazaret (2018), e la traduzione italiana della 4a edizione spagnola: L’invenzione di Gesù di Nazareth. Storia e finzione (Bollati Boringhieri, 2021); Los judíos en la Antigüedad (2020); e, con Richard Carrier e Franco Tommasi, Gesù resistente, Gesù inesistente. Due visioni a confronto (2022).