“L’invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore” di Marcello Fois

L’invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore, Marcello FoisSi intitola L’invenzione degli italiani. Dove ci porta Cuore il nuovo libro di Marcello Fois, edito da Einaudi. Lo scrittore sardo analizza l’influsso del romanzo deamicisiano sulla nostra identità di nazione. Cuore rappresenta il romanzo di formazione nazionale per eccellenza, quello che ha forgiato intere generazioni di italiani all’amor patrio.

Ma non solo: «De Amicis ha inventato gli italiani. Ne ha espresso le possibili coordinate di popolo, ne ha tracciato l’unico profilo unitario che soprassedesse alle immense differenziazioni che da sempre lo contraddistinguono.» Egli «aveva a «cuore» un modello di società utopistico fino al punto di pensare che si è felici solo a patto di essere felici di quello che si è. Una tautologia soltanto apparente. […] Eppure quel sistema, arrivato intatto persino ai giorni nostri, quel dispositivo, da lui messo a punto, ha funzionato alla perfezione. Sul fatto che sia un bene che abbia funzionato si potrebbe discutere, ma il dato sostanziale è che, quando nel 1886 nelle vetrine delle librerie, nelle case, nei banchi di scuola apparirà Cuore, questi italiani endemicamente difformi, geneticamente polemici, caratterialmente lagnosi, difettosi nel senso di patria, politicamente pusillanimi, saranno diventati, definitivamente, «brava gente».»

Con Cuore «Edmondo De Amicis costruisce un’opera che non ha solo valore letterario ma anche normativo, auspicando la nascita di una nazione a tutti gli effetti moderna.» Egli, «progetta, in vitro, il carattere del nostro popolo eludendo scientificamente tutta una parte non secondaria di quello che, anche, eravamo, e siamo, veramente. Eravamo, e siamo, anche, infantili, egoisti, forcaioli, livorosi. De Amicis ci ha resi, esclusivamente, brava gente

Ecco così emergere in una lettera di De Amicis ad Aleardo Aleardi, nel febbraio del 1868, «lo scopo che mi prefiggo scrivendo: far del bene […] scopo a cui non mi basta l’intelletto, ma non mi manca, oh no certamente, il cuore.» È già lì, la vocazione deamicisiana all’educazione: «Cuore è l’unico classico della letteratura italiana che non sia scaturito da esigenze prettamente letterarie. Ma da un impegno etico preciso. […] Una propensione didattica che arriva da lontano dunque. E che, lo sapeva benissimo, poteva rischiare di inficiare il valore stilistico dell’opera. Cosa che di fatto avvenne, proprio per la perfezione con cui quel contenuto si adatta al contenitore. Quando la scrittura calza a pennello sparisce. Sicché a De Amicis vengono additati molti luoghi comuni che non erano tali prima che lui stesso li inventasse. E tuttavia di letteratura si tratta, considerando che Cuore inizia esattamente dove finiscono I promessi sposi. E cioè da quella «birberia», detta anche pubblica istruzione, o istituzione scolastica, attraverso la quale si poteva ottenere una nazione «ben inclinata».»

Non a caso Cuore è «uno dei dieci libri italiani più tradotti al mondo»; un testo essenzialmente laico, tanto da essere stato osteggiato senza sosta dai cattolici: «Cuore è, e resta, il classico italiano a più basso contenuto confessionale. I ragazzi raccontati da De Amicis non festeggiano il Natale o la Pasqua, non si fa cenno di un crocifisso in classe. Non appaiono preti o suore, se non sporadicamente, e nello sfondo. Eppure questo punto, assai dibattuto all’uscita del libro, oggi sfugge». Eppure, esso è comunque pervaso di «una sorta di religiosità» civile.

Nella classe del maestro Perboni – un nome non casuale – è riprodotta la giovanissima nazione: «La classe è l’Italia fisica, gli alunni sono gli italiani, il maestro è l’italianità», un «microcontinente dove cittadini, difformi per educazione, censo, provenienza, vengono uniformati in nome di un obiettivo comune».

Quello narrato in prima persona da Enrico Bottini assume la forma di un diario scolastico, inframezzato da nove racconti mensili, uno per ogni mese dell’anno didattico. «Tutti i racconti riguardano atti eroici di ragazzi. […] i protagonisti sono giovani adulti che operano in un mondo di vecchi e devono rappresentare la forza e anche il risultato del grande progetto di istruzione civile e civica del testo.»

La biografia dello scrittore si intreccia indissolubilmente alla sua creazione letteraria: «De Amicis avrebbe scritto per sé una vita ben diversa da quella che gli toccò in sorte, costellata da tragedie e dispiaceri […]. Si era arruolato, poi aveva lasciato l’esercito, si era sposato, in segreto dalla madre, con una donna che aveva il suo stesso nome, Teresa, e con lei aveva avuto due figli, Furio e Ugo. Furio […], a venticinque anni, si suicidò in pubblico, sparandosi un colpo di pistola alla tempia, su una panchina del parco del Valentino. Di questa morte lo scrittore fu accusato per sempre dalla moglie, che passò il resto della vita a tentare di screditarlo. […] Era anche un lettore accanito, Edmondo, e aveva due grandi passioni fra i suoi contemporanei: Antonio Fogazzaro e George MacDonald. […] Entrambi vissero a Bordighera. Lí MacDonald, spinto dalle sue idee socialiste, aveva fatto edificare, a sue spese, Casa Coraggio, una sorta di centro pubblico culturale, che divenne in seguito proprio quell’hotel Regina dove De Amicis per l’affetto che lo legava al suo amico scozzese, scomparso nel 1905, soggiornava durante l’inverno; e dove morì, l’11 marzo 1908, alle tre del mattino, forse rileggendo Fogazzaro. Era diventato il più importante, e ricco, scrittore d’Italia grazie al suo libro-laboratorio costruito per fornire un paradigma, tutt’oggi insuperato, d’italianità.»

Fois ci catapulta nell’immaginario deamicisiano descrivendolo e rappresentandolo con una vividezza straordinaria, che avvince il lettore nelle spire di una prosa a tratti forse ravvolta ma mai banale o scontata. Nelle pagine di Fois Cuore mantiene intatta la sua attualità, il suo essere moderno, addirittura contemporaneo: «Se tutti fossimo tolleranti, antirazzisti, antiomofobi, non buoni ma buonisti, non avremmo bisogno di Cuore. Tuttavia, se siamo italiani, e brava gente, lo dobbiamo anche a Cuore

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