“L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale” di Maurizio Di Masi

Dott. Avv. Maurizio Di Masi, Lei è autore del libro L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale edito da Jovene: quale funzione svolge, nel nostro ordinamento, la nozione di interesse del minore?
L’interesse del minore. Il principio e la clausola generale, Maurizio Di MasiNell’attuale fase della globalizzazione del diritto di famiglia assumono un particolare ruolo normativo le identità individuali, fra le quali quella del minore risulta centrale. Tanto centrale che, come argomento nel libro, la chiave di volta nel funzionamento d’insieme dei dispositivi – quali sono la famiglia, la filiazione, la genitorialità, l’identità – si identifica nell’interesse del minore. Sempre più frequentemente, difatti, l’interesse della persona minore di età viene in considerazione quale criterio di giudizio nel conflitto tra genitori in ordine alle scelte che concernono la cura, la salute, l’educazione, l’istruzione dei figli: data la rilevanza pubblica di detto interesse si richiede che sia il giudice, in mancanza di accordo dei genitori, ad individuare la soluzione maggiormente rispondente al benessere dei fanciulli.

Tale interesse, oltretutto, tutelando l’identità della persona minore di età con preminenza sulle altre identità, lungi dal frantumare la comunità familiare, la ricompatta – al di là del modello tradizionale di famiglia fondata sul matrimonio – attorno ad un altro cardine: il rapporto di filiazione o, più propriamente, la tutela del minore.

Quale fondamento giuridico ha l’interesse del minore nella legislazione italiana?
Non è qui superfluo sottolineare come, ad oggi, alle espressioni ‘interesse del minore’, ‘favor minoris’, ‘miglior interesse del minore’, ‘superiore interesse del minore’, ‘preminente interesse del minore’ sia giuridicamente riconosciuta una natura polivalente: da una parte il riferimento all’interesse del fanciullo viene richiamato come principio costituzionale, potenziato dalle norme sovranazionali, che in modo generale e astratto impone al legislatore e alle istituzioni pubbliche di tutelare la persona del minore di età (in conformità agli Artt. 2, 30, 31 e 37 della Costituzione), mentre dall’altra parte funge da clausola generale e permette al giudice, anche derogando la legge generale, di pervenire alla decisione più adatta per il singolo minore di età oggetto di tutela.

Il legislatore nazionale ha conformato la disciplina del diritto di famiglia in attuazione del principio dell’interesse del minore in diverse leggi, ma gli esiti più recenti e significativi sono rappresentati di certo dalla riforma della filiazione (legge n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013). In questa disciplina, infatti, il principio del miglior interesse del minore si fa regola, acquisendo un contenuto preciso nei diritti riconosciuti al minore, ed al contempo eccezione, permettendo al giudice, per mezzo della clausola generale dell’interesse del minore, di discostarsi dalla regola ogni qual volta ciò sia necessario nello specifico caso concreto.

Come si è sviluppata storicamente la nozione di interesse del minore
Come il modello giuridico di famiglia e la nozione di patria potestà (oggi responsabilità genitoriale), anche l’interesse del minore, come clausola generale, ha seguito l’evoluzione del diritto di famiglia nelle sue differenti fasi (Marella-Marini, Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia, Laterza, Roma-Bari, 2014), dimostrandosi un dispositivo in grado di scardinare, riorientare o ignorare i rapporti di poteri ed i canoni della famiglia matrimoniale (nucleare, bigenitoriale, eterosessuale).

Originariamente inserito nelle codificazione liberali con un ruolo del tutto secondario, come clausola che consentisse al giudice di derogare alla regole dell’affidamento al coniuge non colpevole in caso di crisi del rapporto coniugale (art. 302 del code civil francese del 1804), in seno alla fase del sociale e alla costituzionalizzazione del diritto di famiglia, invece, l’interesse del minore ha costituito un dispositivo legislativo che ha permesso all’ordinamento giuridico di adeguarsi alle esigenze della società, attraverso un’attività giurisprudenziale di autointegrazione di lacune normative, per loro natura strutturali alle codificazioni. Il best interest del minore, nel corso della terza, attuale, fase della globalizzazione del diritto, è inteso talvolta come parametro per bilanciare più situazioni giuridiche soggettive contrapposte, ad esempio due diritti in conflitto, mentre in altri casi funge da limite all’esercizio di un diritto. L’interesse del minore diviene infatti parametro e limite tanto, in un’ottica orizzontale, dell’autonomia privata nei rapporti familiari, quanto dell’interesse dello Stato a imporre un ordine pubblico che non tenga adeguatamente conto della certezza dello status e dell’identità dei minori coinvolti, in un’ottica verticale.

Quale riconoscimento trova la nozione di interesse del minore nel diritto internazionale?
Nella prospettiva dei diritti umani, già la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 sancisce all’art. 25, par. 2, che «l’infanzia ha … diritto a particolari cure e assistenza». Riconosciuta una particolare dignità all’infanzia, lo sviluppo dei diritti umani dei minori è stato implementato attraverso una progressiva specificazione e/o una settorializzazione, processi che hanno portato la comunità internazionale non solo ad occuparsi di singoli problemi (discriminazione razziale, lavoro forzato, eguaglianza di genere, etc.), ma anche di singole categorie di persone, frammentando il soggetto universale del diritto in singole identità (le donne, i minorenni, gli anziani, i diversamente abili, etc.). Identità, tutte, meritevoli di tutela ed eguali nelle loro istanze dignitarie e autodeterminative. Conformemente a questa settorializzazione, il più importante contributo alla tutela e alla promozione dei diritti del minore è stata la Convenzione sui Diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 a New York (ratificata dall’Italia con legge 27.05.1991, n. 176). Tale Convenzione diventa vera a propria Grundnorm in materia minorile, oltre che per la sua specificità, anche per il valore vincolante delle norme poste a carico degli Stati che l’hanno ratificata. La portata è rivoluzionaria, giacché da questo momento i minori di età assumono uno specifico status giuridico basato sul riconoscimento della loro soggettività giuridica. Tra i principi di maggior impatto giuridico e culturale della Convenzione di New York vi è, senza ombra di dubbio, proprio la preminenza dell’interesse del fanciullo, sancito nell’art. 3, che testualmente recita:

«In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente».

Il best interest del minore rappresenta, quindi, un principio convenzionale di ordine internazionale, in altre parole un principio generale che impegna gli Stati contraenti. Ma a livello sovranazionale, un ruolo centrale per l’applicazione dell’interesse del minore giocano pure l’art. 8 (rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, e la giurisprudenza che su esso si è formata, e l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (nota come Carta di Nizza).

Come viene determinato l’interesse del minore?
La fortuna di questo dispositivo tecnico-giuridico è proprio nella sua vaghezza e nella sua neutralità: l’indeterminatezza della nozione, invero, permette alla tutela della persona minore d’età di essere adattata alle più disparate situazioni, mentre la sua neutralità gli consente di recepire i mutevoli valori sociali, nonché le diverse concezioni culturali e giuridiche di famiglia che si avvicendano nella realtà sociale. L’interesse del minore, in questa prospettiva, si connota come clausola che, per un’alta relatività nello spazio e nel tempo, si nutre di dati specifici e radicati per ogni epoca e ciascuna società ed è legato a una cultura, a una conoscenza, anche psico-pedagogica, a una concezione della persona, del bambino e della famiglia. In tal senso il dispositivo ‘interesse del minore’ finisce anche per essere un concetto liminale, che segna una zona indefinita fra diritto e fatto, fra naturale e cultura, fra regola ed eccezione: è allora all’uso di tale dispositivo da parte degli attori giuridici che occorre fare attenzione, per apprezzarne l’effettiva corrispondenza allo sviluppo della persona minore di età. Sarà proprio attraverso un’analisi della giurisprudenza di ogni ordine e grado che, nel libro, individuo alcune “figure sintomatiche” dell’interesse del minore, che consentono ai decisori di ponderare i vari interessi in gioco per perseguire concretamente il benessere dei fanciulli.

D’altra parte, i minori di età non sono un gruppo omogeneo, quindi la diversità è essenziale nella valutazione del best interest. Sebbene bambini e adolescenti condividano bisogni universali di base, l’espressione di tali bisogni dipende da un’ampia gamma di aspetti personali, fisici, sociali, religiosi e culturali, compresa l’evoluzione delle loro capacità di discernimento.

Tutti elementi che contribuiscono a delineare l’identità concreta di ogni persona in costante formazione.

Come si concilia l’interesse del minore con le nuove ipotesi procreative?
L’emergere dell’identità del minore e del suo preminente interesse ha permesso al diritto della filiazione di far fronte alla svolta biotecnologica della famiglia contemporanea. I progressi della scienza medica, le recenti tecnologie e le scoperte in campo genetico hanno infatti aperto nuovi problemi di tutela dei diritti della persona ed hanno anche essi contribuito al mutamento del paradigma tradizionale di famiglia, poiché consentono esperienze genitoriali nuove rispetto a quelle che si configurano in seno alla famiglia tradizionale.

Ciò determina la costituzione di nuove famiglie in cui le relazioni di filiazione possono non basarsi esclusivamente sulla biologia, ma soprattutto su legami di solidarietà che si instaurano tra membri delle varie comunità familiari, anche al di là di relazioni sessuali permanenti ed esclusive. In questo contesto, quindi, l’autodeterminazione procreativa, che si sostanzia nell’accesso alle nuove tecniche procreative (legge n. 40/2004), trova ambiti d’applicazione difficilmente arginabili da divieti statali, né ciò appare necessario e auspicabile in considerazione degli interessi coinvolti, in primis quello della persona minore di età. Nel caso di figli nati da gestazione per altri e/o da donazione di gameti, invero, il preminente interesse della persona minorenne non confligge – ma casomai coincide sempre – con la scelta autodeterminativa dei genitori ‘intenzionali’, tanto più quando uno dei due è anche genitore biologico. Ciò è espresso chiaramente dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 162/2014, ove i giudici affermano esplicitamente che altresì la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo «mira a favorire la vita» che, in mancanza di tale tecnica, non verrebbe in esistenza. Oggi, seppur nel silenzio del legislatore della riforma della filiazione, le nuove tecniche procreative portano a riconsiderare ancora una volta il paradigma di famiglia tradizionale e a rivalutare una realtà che da sempre è stata alla base dell’adozione: la verità biologica, tutto sommato, non è un requisito indispensabile per svolgere il ruolo genitoriale, né il miglior interesse del minore coincide inevitabilmente con essa.

Come si declina l’interesse del minore oltre il canone dell’eterosessualità della famiglia?
La legge 76/2016 sulla regolamentazione delle unioni civili (e della convivenza) ha lasciato inalterata la questione delle genitorialità omosessuale, avendo voluto ignorare che l’omogenitorialità è una realtà anche nel nostro Paese. Sempre più persone omosessuali diventano genitori o per vie naturali o facendo ricorso a tecniche medicalmente assistite all’estero, in Paesi che le permettono anche a persone omosessuali, e ciò impone altresì al nostro ordinamento giuridico di tutelare i minori nati da tali pratiche nel contesto della così dette ‘famiglie arcobaleno’. Nel caso di figli nati da precedente rapporto eterosessuale, la così detta step-child adoption prevista dall’art. 44 della legge n. 184/1983 costituisce certamente un valido strumento. Negli altri casi la questione è maggiormente spinosa e occorre stabilizzare il rapporto genitoriale in maniera più rapida possibile, come ci richiede anche la Corte EDU (Grande Camera della CEDU parere del 10 aprile 2019). Già gli artt. 8 e 9 della legge n. 40/2004 indicano una ratio secondo la quale i nati a mezzo di procreazione medicalmente assistita – anche illegittima – sono figli della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche procreative. Questa ragione rimane identica, quanto alle concrete esigenze del bambino o della bambina nato/a, anche nel caso di coppia omoaffettiva. Ciò vuol dire che anche in caso di omogenitorialità derivata dal ricorso a tecniche di procreazione assistita all’estero, rispetto al genitore non biologico, dovrebbe prevalere la volontaria assunzione della responsabilità genitoriale al momento del concepimento. Ragionando diversamente, si subordina il benessere effettivo della persona minore d’età alla sacralizzazione di un preciso modello di famiglia ritenuto meritevole di tutela, che sebbene oggi non debba per forza (di legge) essere matrimoniale pare però debba comunque essere almeno eterosessuale. L’esperienza di altri Paesi, come gli USA, mostra invece efficacemente come la legittimazione delle unioni civili o del matrimonio omosessuale abbia avuto l’ulteriore finalità di tutelare i diritti fondamentali e il principio di uguaglianza proprio nei confronti dei figli. L’interesse del minore, allora, va declinato in una accezione ben determinata: con riferimento all’acquisizione e alla conservazione dello status di figlio, vale a dire in funzione di un vero e proprio diritto al riconoscimento della genitorialità, quale diritto della persona minore di età a instaurare e mantenere relazioni affettive durature con gli adulti che si sono assunti la responsabilità genitoriale e che debbano assicurargli mantenimento, istruzione ed educazione adeguati, secondo il dettato dell’Art. 30 della Costituzione.

Maurizio Di Masi è avvocato e dottore di ricerca in Diritto privato e nuove tecnologie. Già assegnista di ricerca presso l’Università di Perugia, qui collabora con la Law clinic “Salute, Ambiente e territorio” del Dipartimento di Giurisprudenza. È autore del libro Il fine vita (Ediesse, Roma, 2015) e di numerosi articoli in riviste giuridiche in tema di biodiritto, diritto delle persone, diritto di famiglia, responsabilità civile e beni comuni.

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