
In particolare, il volume L’influenza digitale. Studi, teorie e ricerche, prende le mosse da una ricerca, intorno alla figura dell’influencer, seguendo le procedure descritte da Robert Kozinets (2010) nei suoi studi sulla netnografia. Sulla scorta di tale metodologia, ci siamo dunque concentrati sugli ambiti della moda e del cibo, perché erano quelli su cui il team di ricerca (finanziato dal dipartimento di Comunicazione, arti e media “Giampaolo Fabris” dell’Università IULM di Milano e con la partecipazione del laboratorio GERiiCO dell’Université de Lille) aveva maggiore esperienza e, inoltre, da tempo, seguiva alcune figure del panorama mediale italiano maggiormente rilevanti quali Chiara Ferragni e Benedetta Rossi.
Come spiega Kozinets, «il nucleo della netnografia – ciò che la differenzia da una raccolta e codifica di dati qualitativi online – è che si tratta di un approccio partecipativo allo studio della cultura e delle comunità online». Essa consente ai ricercatori di osservare e analizzare i comportamenti degli utenti in rete e rappresenta un approccio più naturalistico e meno invasivo rispetto alla etnografia cui si ispira. È una ricerca qualitativa che implica la presenza stabile dell’osservatore in una data comunità e per un lungo periodo di tempo. È un campo multidisciplinare che può e dovrebbe incorporare conoscenze e metodi provenienti da altre discipline classiche come l’antropologia, la sociologia, la comunicazione, la psicologia o, con minore rilevanza epistemologica e metodologica, dalla ricerca sui consumatori tipica del marketing.
A fronte di una crescente mediatizzazione delle nostre vite in cui il confine tra online e offline, virtuale e reale è sempre più labile, la netnografia si presenta come una importante disciplina nel campo della ricerca per le scienze sociali. Secondo Robert Kozinets l’etnografia online è una ricerca partecipativa e osservativa sul terreno digitale. Essa si basa sullo studio delle esperienze e delle pratiche sociali ed è un approccio multimetodo, come un bricolage di diverse ricerche, tecniche e metodi. Essa funziona quando l’osservatore, rispetto alla comunità che vuole indagare, può fare affidamento su una buona conoscenza dell’universo sociale e simbolico che intende analizzare. Il ricercatore, specie nei contesti digitali odierni, ha di fronte a sé una sterminata quantità di casi e di dati, ed è quindi chiamato a prenderne in considerazione solamente alcuni per focalizzarsi sugli esempi giusti, che possano fungere da emblemi. L’osservazione del ricercatore sociale deve mettere insieme intuito, conoscenza ed esperienza con le quali essere poi in grado di rielaborare/interpretare il materiale a disposizione al fine di far emergere il sentiment, i sistemi simbolici, i codici comunicativi dei gruppi studiati che forniscono un senso di forte identità comunitaria generando un sentimento di appartenenza alla comunità.
Quale tipo di comunicazione caratterizza l’interazione sul web tra influencer e follower?
L’interazione online è il luogo privilegiato della socievolezza come la intendeva il sociologo tedesco Georg Simmel, ovvero una forma di relazione sociale che si realizza attraverso una partecipazione ritualizzata, che rimanda a una forma di comunicazione fatica, intesa cioè a stabilire un contatto (diventano un fine in sé il contatto, la pura compagnia, il gusto di parlare). Michel Maffesoli parla di etica dell’estetica secondo la quale i soggetti si aggregano grazie alla condivisione di valori, di gusti, di hobby, grazie all’ammirazione che provano senza alcun tipo di obbligo, se non il vincolo di sentirsi parte di un corpo collettivo. Ad accumunare i soggetti è un comune sentire.
Contrariamente a quanto avveniva con i media generalisti novecenteschi, l’influencer non comunica a un pubblico di massa, ma attraverso i suoi atti comunicativi costruisce una nicchia a cui rivolgersi e con cui interagire: una nicchia costituita da soggetti che filtrano quanto avviene nella loro vita quotidiana per suo tramite.
Le comunità costituite dai follower mostrano tratti che le accomunano al concetto di pubblico. Si tratta cioè di individui fisicamente separati che condividono l’adesione a uno stile comunicativo e a una forma estetica che si traduce nella partecipazione costante agli atti comunicativi. Sono comunità affettive che offrono agli individui la possibilità di sviluppare nuove forme di appartenenza e che si concretizzano in scambi comunicativi all’insegna di una forte emotività. La credibilità, l’autenticità hanno un ruolo centrale nella costruzione del rapporto tra follower e influencer. Un rapporto in cui la fiducia trae vigore anche dal senso di accessibilità e prossimità dell’influencer.
In che modo i concetti di autenticità, celebrità, comunità, credibilità, influenza, ludicità e pubblicità spiegano la relazione tra follower e influencer?
L’autenticità (analizzata dalla sottoscritta) riveste un ruolo centrale nella relazione tra follower e influencer, caratterizza in maniera determinante la figura dell’influencer. Ovvero un soggetto “comune” che è riuscito a emergere grazie alla sua abilità nel sapersi vetrinizzare e raccontare all’interno della attention economy, generata dai social media. Un individuo la cui autenticità consiste nell’essere fedele a se stesso, ai propri valori, nell’essere sincero, trasparente, onesto. Ecco dunque che le tradizionali strategie di marketing che fanno spesso capolino nelle immagini degli influencer, ovvero il product placement o la sponsorizzazione, vengono recepite dai follower non per quello che sono, ossia una forma di promozione con l’obiettivo di vendere un prodotto, ma come il consiglio di un proprio pari (anche se più fortunato), grazie a un tipo di comunicazione apparentemente orizzontale e che quindi sviluppa minore resistenze rispetto a quella prodotta direttamente dall’azienda. Gli influencer di fatto sono costretti a mediare tra diverse attese di autenticità, ovvero: rispetto a se stessi, ai propri propri follower, al mondo del marketing e della pubblicità e infine, ma non certo ultime, alle attese delle piattaforme. Numerose le strategie da loro adottate per fornire una sensazione di autenticità ai follower, al punto che alcuni studiosi parlano, in termini critici, di autenticità costruita, mediata, strumentale a obiettivi di vendita, di mercificazione dell’autenticità. In realtà, il volume propone un’ulteriore lettura possibile da ricercare nella cosiddetta ontologia emotiva.
Il concetto di celebrità ha avuto una elevata importanza all’interno di tutte le forme di società e in particolare in quella contemporanea in cui assistiamo a una vera e propria proliferazione di divi nei più svariati settori. Proliferazione di guide rassicuranti per un individuo oggi privo di punti di riferimento. Proliferazione che, come sostiene Vanni Codeluppi, risente del medium. Vale a dire che se il cinema favoriva un divismo basato sulla distanza, pensiamo agli inarrivabili divi hollywoodiani, e la televisione avvicina invece il pubblico al divo umanizzandolo, con il web assistiamo a un divismo fai da te. Chiunque cioè può trasformarsi in divo grazie a un abile uso delle tecnologie. Le possibilità comunicative offerte dai social media favoriscono la nascita delle micro-celebrità. Individui che si espongono quotidianamente nelle vetrine digitali esponendo anche i propri sentimenti per catturare like e coinvolgere la propria audience.
A proposito di comunità, Nicoletta Vittadini nota come tra gli utenti delle piattaforme social si sviluppano reticoli di relazioni sociali sostenuti da flussi di comunicazione. All’interno di questi reticoli si creano aggregazioni definibili come comunità di interessi e gusti, sostenute dalla tendenza alla personalizzazione e ripetizione dei contenuti promossi (spinti) verso di loro dalle piattaforme. Si tratta di comunità che coltivano i propri valori e modelli interpretativi del mondo.
La credibilità, sostiene Guido Gili, è una relazione, un rapporto. Di conseguenza non è sufficiente chiedersi semplicemente se una persona sia credibile, ma è necessario domandarsi per chi sia credibile. Non si è credibili in generale e in astratto, ma sempre per qualcuno. La credibilità assume anche i caratteri di una costruzione sociale, è l’esito di un tentativo di apparire più credibili attraverso l’esibizione di comportamenti e segni che, in un certo contesto o cultura, sono ritenuti segni della credibilità. La credibilità si fonda su tre radici: conoscenza e competenza, valori, affettività.
Parlando di influenza, Tito Vagni spiega che essa va intesa come alterazione di uno stato di coscienza e di conoscenza: un cambiamento dell’io. Tale impatto può essere provocato dai mezzi di comunicazione e dagli individui, come pure dai luoghi, dagli oggetti, dalle circostanze, e quindi non è solamente intenzionale, ma può essere casuale e indiretto. Lo stato di alterazione dell’io è difficilmente percepibile dall’individuo se non in presenza di un salto tecnologico e culturale; non si manifesta solamente nei tempi fulminei dell’istantaneità, ma può affiorare dopo aver agito in maniera sotterranea nell’identità dell’individuo, come una forma di shock postumo. Una definizione di questo genere complica ogni tentativo di misurare e verificare l’influenza della comunicazione digitale, perché la pone su un piano difficilmente delimitabile e la immagina come un processo costante e inesauribile, che va oltre la dimensione mediale. Nell’ambito del legame sociale ed estetico tra influencer e follower è nevralgico l’effetto prodotto dall'”immaginario di community”, che diviene una potente forma di influenza, sebbene indiretta, perché dietro l’uso di un linguaggio specifico, dietro i riferimenti ad alcune icone divenute parte della mitografia della community, ci sono valori, idee, stili di vita che vengono trasmessi come per osmosi tra influencer e follower.
Michel Maffesoli si è concentrato sulla ludicità come tratto essenziale delle relazioni digitali. Egli ci spiega che, al di là dei nostri preconcetti teorici, possiamo vedere che ciò che è «in gioco» è il ritorno di quella giocosità che la modernità, nella sua regale marcia del progresso, aveva emarginato, confinandola nella stanza dei bambini o, per lo meno, nello spazio strettamente privato. Il gioco occupa un posto nevralgico nella sfera digitale. Questa giocosità è una struttura antropologica, cioè una struttura con radici profonde e antiche, che è aiutata dallo sviluppo tecnologico. Lo stesso vale, inoltre, per l’onirico, che non è più semplicemente ammissibile, su base individuale, sul lettino dello psicanalista, ma che tende a contaminare numerose pratiche sociali: rivolte, ribellioni, fantasie, fantasmagorie varie, e questo in tutti i campi.
La pubblicità è intesa, da Massimiliano Panarari, quale fondamento e attributo dell’opinione pubblica. In particolare, secondo l’autore, la sfera pubblica nella postmodernità, soggetta all’incremento esponenziale della complessità sociale, è costretta a confrontarsi con il primato di media e delle «pubbliche relazioni» da cui deriva una «pubblicità dimostrativa e manipolativa» e con la conversione del pubblico culturalmente critico in un pubblico unicamente (e meramente) consumatore di prodotti culturali.
L’assertività dei messaggi degli influencer – agli antipodi dello scambio dialogico caratteristico della sfera pubblica di derivazione illuministica – ne costituisce un’ulteriore riprova. La società delle reti e dell’autocomunicazione di massa ha «democratizzato» e reso popolare (e «pop», nell’accezione della cultura di massa) il modello della produzione di influenza sugli utenti dei media, ridefinendo e modificando radicalmente il paradigma della pubblicità e della trasparenza della sfera pubblica.
Chiara Ferragni è l’influencer italiana più seguita, con circa 24 milioni di follower: come si esprime la sua estetica comunicativa?
La narrazione per immagini di Chiara Ferragni, che trova in Instagram il suo medium per eccellenza, mette in scena la moda indossata. Vale a dire che l’abito è inserito all’interno della quotidianità dell’influencer, una quotidianità in cui pubblico e privato sono esibiti in maniera “apparentemente” autentica. Il corpo di Ferragni non è quello classico delle modelle, algido e lontano, ma un corpo percorso da emozioni, protagonista di un reality show in cui si confronta con altri corpi con cui stabilisce relazioni di tipo affettivo. Ed è ancora la dimensione affettivo-emotiva che costruisce la community di follower che seguono la influencer, la cui autenticità si esprime anche nella sua interpretazione dei prodotti di moda ricombinati tra loro secondo il suo gusto personale.
Il mondo di Chiara Ferragni è la terra della felicità in cui le poche ombre che ne minano lo splendore vengono superate grazie alla resilienza, all’ottimismo, all’autostima, all’autenticità e all’autonomia come insegna l’ideologia neoliberale che esalta l’individuo quale imprenditore di se stesso, attribuendo successo e insuccesso completamente alla responsabilità individuale. Di qui la competizione di Chiara Ferragni con se stessa, per superarsi continuamente.
Maria Angela Polesana è professore associato in Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. Tra le sue pubblicazioni: Pubblicità e valori. Nuovi consumi e nuovi messaggi per una società che cambia (2016), Criminality show. La costruzione mediatica del colpevole (2010).