“L’infinito” di Giacomo Leopardi: parafrasi

«L’infinito è diventato il manifesto della poesia leopardiana proprio perché racchiude, in un giro calibrato di 15 versi, il racconto di un’esperienza del pensiero che viene preannunciata nel titolo e poi riaffermata con valore crescente nel corso dello svolgimento («infinito silenzio / […] l’eterno / […] immensità»). Con una presenza minima di oggetti reali (il colle, la siepe, il vento, le piante) Leopardi riesce a esprimere il passaggio prima dallo spazio circoscritto allo spazio indefinito («interminati spazi») e poi dalla sensazione acustica reale («come il vento odo stormir») a quella indeterminata («infinito silenzio»), in modo tale da recuperare, oltre a un infinito nello spazio, anche un infinito nel tempo, che grava sul presente e lo annulla («e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei»). Così, al posto del contrasto tra presente e passato che costituiva il motivo polemico delle canzoni, ora troviamo un contrasto tra ciò che c’è, che cade sotto i sensi, e ciò che non c’è, che solo la mente può creare («io nel pensier mi fingo») e che provoca un piacere talmente acuto da confinare con l’annullamento (Leopardi sceglie l’aggettivo «dolce» per esprimere la piacevolezza fisica della sensazione connessa al «naufragare»). Non a caso il primo e l’ultimo verso del componimento contengono la stessa paradossale indicazione spaziale, accompagnata dal dimostrativo «questo»: «Quest’ermo colle […] questo mare». Il primo è il luogo reale in cui si sviluppa l’esperienza dell’infinito, ma il secondo è, pur attraverso una metafora, il luogo altrettanto reale dove questa esperienza ha condotto il soggetto poetante. Il primo è uno spazio concreto e delimitato, il secondo uno spazio dell’immaginazione e illimitato. Ma tutti e due, nell’intenzione del poeta, sono ugualmente sensibili, percepibili, proprio perché interni alla riflessione che il canto esprime. L’infinito è l’oggetto di un processo conoscitivo che ci viene narrato in tempo reale nello svolgimento del discorso poetico stesso. […] Il che dimostra che effettivamente l’idillio contiene il resoconto di un’esperienza unica, il racconto di un’illusione creata dal pensiero («io nel pensier mi fingo») che però subito dopo lo stesso pensiero può dimostrare vana, o perlomeno non del tutto corrispondente alle sue esigenze.»

L’infinito (Canti)

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

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