
Quali riforme e riorganizzazioni hanno segnato la burocrazia di Washington?
Le riorganizzazioni dell’esecutivo, d’iniziativa presidenziale e congressuale, hanno avuto una notevole importanza a partire dall’era Rooseveltiana, proprio per gestire la grande espansioni di uffici ed agenzie del governo federale. Esse passavano o da comitati di esperti consiglieri della Presidenza che proponevano al Congresso d’intraprendere alcune riforme dell’amministrazione o da Commissioni congressuali che intendevano riordinare l’esecutivo. Le riorganizzazioni furono estremamente importanti per rendere più forte la Presidenza, che nel percorso di espansione del governo federale si garantiva la possibilità di controllare meglio la burocrazia sul piano politico, stabilendo sia quali uffici dovessero nascere o morire sia quali erano le aree d’intervento governativo erano da considerarsi più importanti. Particolarmente rilevanti furono le Commissioni Hoover (1 e 2), nate nell’epoca Truman ed Eisenhower, guidate dall’ex Presidente Herbert Hoover, ebbero il compito di consolidare lo sviluppo del New Deal e di razionalizzare le agenzie e le loro funzioni, rimettendo ordine alle moltiplicazioni amministrative della Seconda guerra mondiale. Esse contribuirono anche a rafforzare gli uffici della Casa Bianca, sulla scorta di quanto già tracciato dal Brownlow Report del 1936 voluto da FDR. Tuttavia, le riorganizzazioni amministrative dell’esecutivo hanno progressivamente perso forza a partire dagli anni Settanta, per poi esaurirsi formalmente a metà degli anni Ottanta, a causa della polarizzazione crescente dei partiti. La Casa Bianca ed i suoi uffici sono cresciuti sia sul piano numerico che sul piano del personale nel periodo analizzato, dinamica che da un lato ha permesso ai Presidenti un maggiore controllo sul policy-making ma dall’altro ne ha anche eroso le capacità di coordinamento con il Congresso e con la burocrazia di carriera, lasciando a quest’ultima ampi sempre più spazi operativi sul fronte della regulation e dell’implementazione.
Sul piano delle riforme del federal civil service, due furono i punti di svolta. Uno è stato l’approvazione del Pendleton Act del 1883 che ha posto le basi per lo sviluppo di una burocrazia di carriera su modello britannico. L’altro è stato la riforma del 1978, il Civil Service Reform Act, che puntava a creare una nuova élite amministrativa con l’istituzione del Senior Civil Service, un settore d’élite dell’amministrazione federale con il compito di legare maggiormente la politica con i funzionari. La riforma, inoltre, portava a compimento un percorso iniziato negli anni Sessanta volto da un lato a tecnicizzare l’amministrazione, ad aumentare le competenze professionali dei funzionari, e dall’altro impegnato a renderla maggiormente plurale e rappresentativa, attraverso politiche per coinvolgere donne e minoranze etniche. Questo fu anche uno di quei momenti in cui il settore privato, e le sue pratiche manageriali, risultarono particolarmente influenti sul legislatore e sull’amministrazione. Con l’era reganiana si puntava non soltanto a ridurre il ruolo dello Stato dell’economia attraverso il contracting-out, ma anche a portare lo spirito imprenditoriale e le sue tecniche organizzative all’interno delle amministrazioni pubbliche. Una tendenza che sarebbe durata fino all’inizio del ventunesimo secolo, indipendentemente dal colore delle amministrazioni.
Come sono organizzati i rapporti con il settore privato?
Nel primo capitolo del libro sostengo che gli Stati Uniti siano uno “Stato osmotico”, basato su una stretta cooperazione tra pubblico e privato. Il pubblico viene colonizzato da interessi privati, capitalistici e solidaristici, a cui dà rappresentanza, mentre il privato viene spesso utilizzato dalla politica per realizzare i propri obiettivi, siano costruire nuove infrastrutture, la difesa o la politica economica. Questa è una caratteristica molto risalente della statualità americana, che si poteva rintracciare già all’epoca coloniale quando le charter delle corporations servivano e regolavano sia interessi pubblici (il governo delle città) che economici (appalti, concessioni, licenze).
A livello amministrativo, nell’era contemporanea, questa cooperazione è evidente quando ci soffermiamo sullo sviluppo del management e delle tecniche amministrative. La burocrazia federale, e la politica che ne disegnava delle riforme, per tutto il ventesimo secolo hanno preso a prestito le tecniche “aziendaliste” delle grandi aziende americane. Tecniche come la misurazione delle performance delle agenzie, la valutazione dei programmi sociali, i bonus per i dirigenti pubblici, le valutazioni costi-benefici fanno tutti parte del bagaglio che l’amministrazione ha importato dalle aziende. Per capire l’importanza di questo rapporto si deve considerare che gran parte delle Commissioni per le riforme del civil service o per le riorganizzazioni amministrative erano per gran parte composte da manager aziendali o da docenti di università private. L’apice di questo managerialismo venne raggiunto durante le presidenze Reagan e Clinton quando la business community americana spinse per la modernizzazione del settore pubblico su modello aziendale e per la sua liberalizzazione.
Come si articolano i processi di nomina e di decisione?
Una delle peculiarità del sistema amministrativo americano resta lo spoils system, cioè l’esistenza di un consistente numero di funzionari di nomina politica. Seppur ridotto nella sua ampiezza rispetto al diciannovesimo secolo, il sistema delle spoglie caratterizza ancora tutte quelle posizioni di vertice del ramo esecutivo che partecipano alle decisioni politiche o che guidano le agenzie amministrative. Questi funzionari sono legati al Presidente e vengono nominati attraverso la procedura di advise and consent del Senato. Decadono quando finiscono i quattro anni di presidenza (se non si sono dimessi prima). Fino alla riforma del 1883 lo spoils system veniva applicato a gran parte dell’amministrazione federale, inclusi gli incarichi di medio-basso livello. Dopo di che, progressivamente, si è sviluppato un sistema meritocratico per concorso per selezionare funzionari di carriera, che per lo più rimangono per l’intera vita lavorativa nei ranghi del governo. Per semplificare: i funzionari di nomina politica (political executives) si occupano di disegnare le policy e le riforme; i funzionari di carriera (civil servants) di attuarle e dettagliarle. Nel 1978 è stata creata una struttura di raccordo tra nominati e burocrati, il Senior Executive Service (SES), che rappresenta i gradi più elevati del vertice amministrativo. I senior civil servants sono funzionari di carriera nominati dalla politica in posizioni amministrative di vertice (circa l’80% del SES) o funzionari di nomina politica (circa il 20%). Il loro compito è fungere da ponte tra la politica e l’amministrazione, svolgendo un ruolo importante nel disegnare l’architettura delle riforme, dopo che il Presidente e il gabinetto ne hanno stabilito gli obiettivi politici.
Qual è il profilo dei federal civil servants?
Sul piano sociale, la gran parte dei civil servants ha un background che potremmo definire di medio-alto livello. All’inizio del ventunesimo secolo, due funzionari su tre erano figli di genitori con posizioni dirigenziali o che svolgevano una professione intellettuale. Molto rara è rimasta la possibilità di raggiungere i vertici della piramide amministrativa per coloro che venivano da famiglie facenti parte del ceto impiegatizio medio-basso o della working class. Ciò si lega probabilmente all’elevato grado d’istruzione richiesto per raggiungere gli alti gradi della burocrazia, basti pensare che alla fine degli anni Novanta il 93% di coloro che raggiungevano il Senior Executive Service aveva una formazione universitaria e post-universitaria (master o dottorato). Il livello d’istruzione degli alti funzionari pubblici superava largamente anche quello dei manager del settore privato. Nel 1992 il 19% dei federal civil servants aveva un dottorato, contro il 5% del top management privato. Sempre alla fine del ventesimo secolo, oltre un quarto dei burocrati di professione aveva studiato in un ateneo della IVY League o in altre istituzioni private di elevato prestigio. Interessante, anche per un raffronto con l’Italia, è la presenza dei laureati in giurisprudenza, pari al solo 23%. Mentre i laureati in materie tecnico-scientifiche erano a fine anni novanta di circa il 40%. I restanti laureati venivano da percorsi di formazione mista o dalle altre scienze sociali.
Sul piano etnico, nonostante le politiche di diversità e pluralizzazione approntate sin dagli anni sessanta, alla metà degli anni novanta quasi il 90% dei burocrati di carriera era composto da bianchi. Significativa, invece, la crescita delle donne, passate in vent’anni dal 2% all’11% tra i funzionari di più elevato livello.
In conclusione, possiamo dire che chi riusciva ad entrare a fare parte di questa élite amministrativa proveniva da famiglie di estrazione socio-economica medio-alta; aveva un’istruzione di gran lunga superiore alla media della popolazione; si era specializzato in giurisprudenza, scienze sociali o discipline tecnico-scientifiche. Chi entrava nel federal civil service come funzionario di carriera tendeva a restarci per l’intera vita lavorativa e restava per lo più a lavorare nella stessa agenzia o dipartimento, specializzandosi nel settore in cui operava. In questo senso, i federal civil servants si configurano come una “élite della competenza” che tende ad assumere contorni tecnocratici ed una certa sedimentazione posizionale. Gli alti funzionari americani, infatti, sono specialisti di settore e al contrario di quanto avviene in Francia o nel Regno Unito, dove predomina la figura del burocrate generalista, meno capaci di muoversi liberamente all’interno delle strutture amministrative dello Stato nel corso della carriera.
Lorenzo Castellani è assegnista di ricerca in Storia delle Istituzioni Politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma. Nel 2017 è stato Postdoc Researcher presso l’Einaudi Institute for Economics and Finance dalla Banca d’Italia. Nel 2016 ha conseguito il dottorato in Political History presso l’IMT di Lucca. Dal 2014 al 2016 è stato visiting scholar presso il King’s College di Londra.