“L’incredibile storia degli imperatori romani. I ritratti degli uomini che hanno fatto grande Roma” di Massimo Blasi

L'incredibile storia degli imperatori romani. I ritratti degli uomini che hanno fatto grande Roma, Massimo BlasiDott. Massimo Blasi, Lei è autore del libro L’incredibile storia degli imperatori romani. I ritratti degli uomini che hanno fatto grande Roma edito da Newton Compton: quando e come nasce la figura dell’Imperatore romano?
Tecnicamente, l’imperatore romano nacque quando Augusto avviò il sistema politico del “principato” nell’anno 27 a.C., una rivoluzione a tutti gli effetti. È così che a capo di un impero ormai vastissimo venne a trovarsi un solo uomo (e, non si dimentichi, la sua famiglia), sostenuto dal Senato, il vecchio organo della res publica, organo che, tuttavia, sotto alcuni principi vide ridotte (e anche di molto) le proprie antiche prerogative. Parrebbe che fosse stato Agrippa, amico intimo del primo imperatore, a suggerirgli questa nuova forma di governo che trovò un terreno fertile per via del lungo periodo segnato da leader militari e politici come Silla, Pompeo e Cesare, gli uomini che avevano aperto la via a una forma di governo monarchica (perché questo era il principato, anche se Augusto, maestro in materia di comunicazione, lo volle sempre presentare come una restituzione della vecchia res publica).

Quali funzioni e prerogative possiede l’imperatore?
Per comprendere il potere dell’imperatore, un potere diremmo eterogeneo che gli derivava sia dalle leggi che da un primato sociale indiscusso, occorre tornare ancora una volta ad Augusto, il padre dell’impero romano. Più precisamente a un documento fondamentale redatto dal principe stesso, le Res gestae Divi Augusti, a noi giunto attraverso tre documenti: il monumentum Ancyranum, l’Antiochenum e l’Apolloniense e, in particolare, al capitole 34, vero e proprio manifesto del nuovo assetto politico e, di conseguenza, dell’uomo che ne era a capo, l’imperatore. Augusto vi affermava che, dopo aver liberato il Paese dallo spettro delle sanguinose guerre civili, aveva rimesso il potere al Senato il quale, in segno di gratitudine, gli aveva conferito all’unanimità il titolo di Augustus (significativamente dal verbo latino augeo, “accresco”; dunque in termini di potere Augusto era, per definizione, un “accresciuto” rispetto a tutti gli altri). Da quel momento, Augusto deteneva più potere degli altri, pur avendo formalmente messo ogni cosa in mano ai senatori. Un modo astutissimo di cambiare le cose, senza cambiarle. Un gioco di prestigio. Come un illusionista, infatti, Augusto aveva stravolto la res publica con una mano, mentre con l’altra l’aveva salvata dalle guerre. Questo stratagemma era dovuto a un fatto: la società romana era molto conservativa e tradizionale e le novità erano malviste; non a caso, pensiamoci, l’espressione res novae era impiegata per indicare le rivoluzioni, i ribaltamenti, e possedeva dunque un’accezione negativa. Dopo Augusto il potere imperiale in parte cambiò. Documento preziosissimo in questo senso è una epigrafe, la lex de imperio Vespasiani, oggi al Museo Capitolino di Roma, che prende nome dal primo imperatore della dinastia flavia, Vespasiano (69-79 d.C.). Si tratta, nella sostanza, di un testo che raggruppa le prerogative riconosciute ad Augusto poco per volta ma a partire da Vespasiano trasmesse subito (e tutte insieme) al sovrano che saliva al potere. Con una importante novità: il diritto per l’imperatore di nominare i proprio figli suoi successori, scavalcando in questo senso Senato e Comizi. L’imperatore, il cui potere discendeva da Popolo e Senato, adesso poteva andare avanti anche sulle sue gambe, da sé.

Come si diventava imperatore?
Secondo la lex de imperio Vespasiani per salire al trono bastava essere figlio di un imperatore e ottenere la ratifica del Senato. Tutto sommato, era semplice. Ma all’inizio stava al Senato e ai Comizi votare e decidere. Molto più complessa appariva la situazione nel III secolo, durante il periodo della “anarchia militare”; a quel tempo, un tempo segnato da una profonda crisi istituzionale ed economica, si potevano avere anche più imperatori nello stesso momento. La Storia la facevano gli eserciti, impegnati sui fronti a difendere l’impero dai barbari sempre più pressanti, e dunque erano i soldati a nominare il proprio comandante imperatore. Il Senato e i Comizi erano ormai lontani dai confini pericolosi, zone di frontiera che per forza di cose erano divenute, politicamente parlando, centralissime. Ecco allora accadere che più generali, acclamati imperatori dalle proprie truppe, si ritrovassero a combattere tra loro per il potere e che il Senato si limitasse a dare il consenso a giochi fatti, appoggiando il vincitore, oppure a sostenere un rivale, in genere quello filosenatorio.

Quale importante riforma attua Diocleziano?
Personalmente non ritengo importante la riforma di Diocleziano (284-305). Per quanto, infatti, l’introduzione della Tetrarchia, vale a dire del sistema “a quattro” con il quale il potere veniva diviso tra due augusti e i loro due cesari, abbia in un certo modo cambiato, anche radicalmente, la politica del tempo, ricordo anche che si trattò di un esperimento fallimentare e di breve durata: quando infatti Diocleziano depose il potere proprio per mettere alla prova il suo stesso sistema, che prevedeva che i due cesari prendessero il posto degli augusti uscenti e nominassero a loro volta altri due cesari, il castello di carte crollò. Non solo, infatti, il suo collega, l’augusto Massimiano, non stette agli accordi e, pur abdicando in un primo tempo, tornò presto alla carica, ma addirittura nella conferenza di Carnuntum (11 novembre 308) presieduta dallo stesso Diocleziano venne nominato cesare Costantino (il fondatore di Costantinopoli), che però era figlio dell’augusto Costanzo Cloro. Si era tornati, per farla breve, a un sistema dinastico.

Quale rapporto vi fu tra imperatori e fede cristiana?
Parlerei, piuttosto, di “rapporti”. Costantino I il Grande, ad es., era nato pagano ed era passato alla nuova fede solo in punto di morte con la rinuncia al pontificato massimo, suprema carica sacerdotale pagana che aveva detenuto anche durante gli anni in cui pure professava di essere cristiano. Altri imperatori, feroci persecutori, si convertirono alla nuova fede nella speranza di guarire da terribili malattie, come Galerio (305-311), imperatore del Dominato. Dunque, nel loro, caso, si trattò di un rapporto con la fede molto simile a quello che oggi chiameremmo superstizione. I Bizantini erano invece diversi: credevano perché il loro stesso potere derivava da Dio, che rappresentavano in terra. A incoronarli, si ricordi, era il Patriarca (l’equivalente, mutatis mutandis, del nostro Papa).

Come cambia il potere nella parte orientale dell’impero con la caduta di Roma?
Il potere cambiò, ma non così tanto. L’impero di Bisanzio era infatti veramente figlio di quello romano (anzi, era quello romano: i Bizantini si facevano chiamare Rhomei, appunto “Romani”). L’imperatore, però, rappresentava il dio dei Cristiani in terra. Il suo potere derivava, non a caso, proprio da Dio che glielo conferiva per mezzo del suo ministro, il Patriarca. La cerimonia di investitura imperiale, assai complessa, lo testimoniava. Preziosissima, a tale proposito, l’opera del sovrano Costantino VII Porfirogenito (913-959), Il libro delle cerimonie, composta tra il 938 e il 959 e per noi fondamentale se si vuole comprendere la natura divina del potere imperiale, una connotazione assente, tranne casi estremi, nella parte occidentale dell’impero in età pagana.

Quale imperatore ha maggiormente segnato la storia millenaria di Roma?
Questa è una domanda cui non è possibile rispondere. Esistettero, infatti, diversi imperatori che lasciarono un segno profondo (positivo, intendiamo, anche se non ne mancarono di pessimi…) nella Storia romana. Augusto il padre (27 a.C.-14 d.C.), il primo, fu senz’altro il più significativo, a mio avviso. Gettò le basi dell’Impero romano così come lo conosciamo. Ma dobbiamo ricordare anche Costantino I il Grande (306-337), che fondò Costantinopoli, la “Seconda Roma”. Non dimentichiamoci, però, di chi l’Impero lo rese grande: qui, la lista si allungherebbe decisamente. Traiano il provinciale (98-117), Settimio Severo l’astuto (193-211), Gallieno il riformatore (253-268), Aureliano il riunificatore (270-275), Diocleziano il sognatore (284-305), Teodosio I il Grande (379-395), Zenone l’Isaurico (474-491), Giustiniano I il romano (527-565), Maurizio lo stratega (582-602), Eraclio I il David (610-641), Basilio I il parvenu (867-886), Romano I Lecapeno il perseverante (920-944), Isacco I Comneno il risoluto (1057-1059), Alessio I Comneno il diplomatico (1081-1118), Teodoro I Lascaris il continuatore (1208-1222) e Michele VIII Paleologo il riconquistatore (1259-1282), per citarne soltanto alcuni tra i migliori. Ciascuno di loro diede un contributo fondamentale per la grandezza degli Imperi, chi sul fronte militare, chi su quello politico.

Numerosi imperatori sono passati alla Storia per i loro vizi ed eccessi: ce ne vuole parlare?
Parlare dei “cattivi” della Storia è quanto di più divertente. Ma prima occorre farsi una domanda: lo furono realmente così viziosi, perfidi e corrotti? Non dimentichiamo che a scrivere la Storia erano i senatori. Gli imperatori raffigurati come mostri furono, non a caso, autocrati che si rifiutavano di lavorare sinergicamente insieme a loro e che si ritenevano superiori al Senato e a chiunque altri. Imperatori ispirati a una concezione orientale e assolutistica del potere; dunque pessimi imperatori… per dei senatori. Ciò detto, se ci limitassimo ai racconti che ci sono pervenuti e li prendessimo per veri, allora, per rispondere alla domanda, non si dovrebbero tacere alcuni nomi: Tiberio l’esule (14-37) e i suoi vizi capresi, Nerone l’artista (54-68) e i suoi amanti, Lucio Vero il bistrattato (161-169) sentina di tutti i vizi, Elagabalo il perverso (218-222) ai limiti del travestitismo e innamorato di uomini superdotati, Foca il terrorista (602-610), Irene la vendicativa (797-802) o Zoe la ninfomane (1042-1056) e, senz’altro, Andronico I Comneno il diabolico (1183-1185), ma anche molti altri. Sono figure concentrate soprattutto nella parte occidentale dell’Impero, pur non mancandone nell’orientale. Vizi soprattutto di natura sessuale, come è facile immaginare. Quanto ai dettagli… rimando al libro!

Quali figure hanno brillato per saggezza e prudenza?
Molte. Se l’Impero romano è durato millecinquecento anni significa una cosa: che era guidato da uomini e donne capaci. Non tutti sicuramente, ma molti furono ottimi amministratori, grandi conquistatori, acuti legislatori, intellettuali illuminati. Anche in questo caso è estremamente difficile rispondere in poche righe, ma credo che uomini come Augusto il padre (27 a.C.-14 d.C.), Adriano il viaggiatore (117-138), Costantino I il Grande (302-337), Teodosio II lo studioso (408-450), Leone VI il saggio (886-912) o Giovanni III Vatatze il Santo (1222-1254) possano essere considerati sovrano saggi e prudenti. Ma la lista potrebbe crescere, prendendo in esame singoli aspetti anche di altri principi. Del buono, ad ogni modo, ce n’era in moltissimi. E, molto probabilmente, anche in quelli che la storiografia senatoria taccia di crudeltà e incapacità.

Quale eco ha avuto nella storia successiva la figura dell’imperatore dei Romani?
Un’eco grandissima: gli zar. Il termine viene dal latino caesar e rappresenta una continuità linguistica e, dunque, anche culturale, tra l’impero bizantino e l’impero russo. Quando nella Pasqua del 1453 i Turchi Ottomani abbatterono a colpi di cannone le mura di Costantinopoli e la conquistarono, l’impero bizantino cessò di esistere, almeno su un piano politico. Ma le sue insegne furono recuperate dai vicini Russi che le fecero proprie. È per questo che Mosca è detta la “Terza Roma”, dopo Costantinopoli e, appunto, Roma. Perché l’impero romano e l’impero bizantino non morirono da un punto di vista storico e culturale, ma continuarono a vivere e, con essi, continuò a vivere la figura stessa dell’imperatore. Oggi molte cose sono cambiate, ma gli imperatori restano il simbolo del potere supremo, un simbolo continuamente ripreso e adattato ai più diversi contesti proprio per il suo profondo radicamento nella nostra memoria culturale, per citare Jan Assman. Totti, ad esempio, che è stato definito “l’ultimo imperatore di Roma” (con buona pace di Augusto). Davvero l’eco della figura dell’imperatore romano non avrà mai fine.

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