
Altra importante somiglianza, sebbene sia una definizione da prendere un po’ con le pinze, è quella della globalizzazione. L’Impero romano nel momento del suo declino era un coacervo di popoli, lingue, culture, accomunati tuttavia dalla moneta unica e da una sorta di mercato unico, almeno per quanto riguarda il bacino mediterraneo. Con una particolarità: si trattava di uno Stato multietnico, ma solo in parte multiculturale perché Roma tendeva a omogeneizzare la gestione del potere, anche se da questo punto di vista non dobbiamo dimenticare che i Romani di solito lasciavano liberi i popoli di conservare le proprie usanze. Però tutto doveva funzionare, amministrativamente parlando, secondo i dettami di Roma. Ovviamente ai confini dell’Impero le cose erano meno pacifiche che altrove, tanto che già sotto Adriano i Romani si ritirarono dalle terre conquistate da Traiano a oriente. Quella di Roma era una politica estera imperiale; oggi non abbiamo un impero che si espliciti in un soggetto politico, amministrativo e territoriale definito, come avvenuto invece fino a tempi recenti con le superpotenze a fare da eredi agli antichi imperi, ma viviamo ancora le conseguenze di scelte imperialistiche nell’ambito delle relazioni internazionali. Quella antica è stata per lungo tempo una economia basata sulla manodopera schiavistica che era una doppia aberrazione: sottometteva e sfruttava uomini e rendeva meno remunerativo il lavoro libero. Il mercato del lavoro oggi non è forse sottoposto a nuove forme di schiavitù? Per quante somiglianze e/o differenze possano esserci, comunque, bisogna mantenere come regola fondamentale la profondità storica; non è pensabile utilizzare – come purtroppo è stato fatto – riflessioni doverose quali slogan politici su tematiche delicate e complesse come l’immigrazione o le conseguenze della globalizzazione.
Cosa lega queste due età fra loro tanto lontane?
Penso che, oltre ai parallelismi già citati, un aspetto che lega e avvicina età contemporanea ed età tardoantica sia l’atteggiamento della società e della politica. Mi sembra che si stiano muovendo forze simili a livello del tessuto sociale e amministrativo.
Prendiamo ad esempio la smisurata pressione fiscale, per restare in Italia, o la classe di notabili e funzionari che nella Roma antica era cresciuta a dismisura e andava mantenuta tramite, appunto, la tassazione. Anche allora la popolazione era stretta tra questi due fuochi incrociati e oggi non potremmo dire di non avere problematiche simili. Anche allora, se leggiamo le fonti storiche, ci si andava lamentando del degrado morale e spirituale in cui si viveva; ci si sentiva in un tempo catastrofico eppure si proseguiva nella vita quotidiana. Era un’età di incertezze esattamente come le stiamo vivendo oggi. Si potrà dire che ogni periodo storico ha le sue incertezze, cosa innegabile. Ma tarda antichità e attualità sembrano essere due epoche sorelle. Con l’Impero Romano si era in un momento di grande comfort e sviluppo della tecnica, una sorta di tecnocene ante litteram. Ciò che dà da pensare è che si è trattato dell’ultimo periodo di sviluppo tecnologico prima della fine di un’epoca, quale quella antica, prima dell’avvento dell’età di mezzo.
L’età contemporanea rappresenta il colpo di coda della modernità o viviamo l’alba di una nuova epoca?
Questo rimane un interrogativo aperto, anche nel libro: risponderanno gli storici del futuro. Potrebbe trattarsi di entrambe le cose; quando un’epoca finisce, un’altra ne inizia. Quello tardoantico è stato un periodo lungo, durato alcuni secoli. Convenzionalmente con la Rivoluzione francese siamo entrati nella contemporaneità e ci stiamo chiedendo se siamo già nel suo post. Sarà da capire se questa transizione che è stata innescata si rivelerà davvero tale e ci porterà verso qualcosa di assolutamente nuovo e diverso o se in fondo non sarà che un momento, sicuramente peculiare, ma non necessariamente tale dall’acquisire una dignità storica a sé stante. D’altro canto anche la tarda antichità è stata a lungo ignorata dagli studiosi come tale e la riflessione storiografica ha iniziato a parlare di essa in anni piuttosto recenti, tanto che ancora non c’è accordo su quali siano i suoi confini. Forse anche questo potrà essere un aspetto di vicinanza tra le due età, ma se ne potrà parlare a transizione conclusa. Lo dico, è bene sottolinearlo, da semplice osservatrice e non da storica perché non posso fregiarmi di tale titolo.
Quali insegnamenti per il nostro tempo possiamo trarne?
Indubbiamente la necessità di non sottovalutare le dinamiche che si sono sviluppate. A volte mi sembra di percepire una certa miopia nella gestione di tante questioni. Per esempio mi sfugge la ratio secondo cui si amministra il fenomeno migratorio, e lo dico da persona impegnata da anni nel volontariato e anche lavorativamente nel settore dell’accoglienza. Se l’accoglienza diventa avere migliaia di persone costrette a svendere la propria dignità per vivere in baraccopoli, per lavorare a nero, per chiedere l’elemosina quando non per delinquere pur di sopravvivere, mi viene da pensare che qualcosa non sta funzionando e che evidentemente se ne sta facendo una narrazione, oltre che una operazione pratica, sbagliata. Che cosa era accaduto nella Roma della tarda antichità? Se si pensa che il punto di rottura su questo aspetto fu la sconfitta di Adrianopoli nel 378, battaglia nata da un iniziale tentativo di accoglienza di profughi Goti finito male, qualche domanda sarebbe bene porsela. Fenomeni come il clientelismo e la corruzione, invece, hanno radici ancora più antiche e salde che hanno certamente contribuito ad aggravare la situazione di crisi durante gli anni tardoantichi. Ecco, occorre acquisire uno sguardo lungimirante sia in avanti che indietro nel tempo. Dal passato si possono imparare molte lezioni e questo è il grande fascino della Storia: non una noiosa successione di date, battaglie e avvicendarsi di sovrani, ma una materia viva, da comprendere a fondo per porre le basi di un futuro migliore. Se non ci si accosta allo studio del passato in questo modo, si finisce per ridurlo a racconto epico, sicuramente interessante ma poco utile per il fine dell’imparare dall’esperienza. Atteggiamento, questo, alla base dell’evoluzione di ogni essere vivente che non risparmia comunque i corpi sociali o il succedersi delle generazioni. Come diceva qualcuno riguardo al sapere, siamo nani sulle spalle di giganti; e ciò vale anche per lo studio delle vicende storiche.