“L’età del lume. Una storia della luce nel Medioevo” di Beatrice Del Bo

L’età del lume. Una storia della luce nel Medioevo, Beatrice Del BoProf.ssa Beatrice Del Bo, Lei è autrice del libro L’età del lume. Una storia della luce nel Medioevo, edito dal Mulino. Nella comune accezione, l’etichetta «secoli bui» identifica da sempre il Medioevo: in che modo il concetto di oscurità è determinante per la comprensione dell’età medievale?
Innanzitutto dobbiamo definitivamente prendere le distanze da quella odiosa endiadi che perseguita l’età medievale, cioè “secoli bui”. Da decenni storiche e storici scrivono per illustrare le conquiste, le scoperte, i progressi culturali, finanziari, politici e scientifici, per illustrare le opere d’arte e la letteratura che hanno contraddistinto questo lungo periodo di tempo. Eppure le migliaia di pagine scritte non sono servite a rimuovere dall’immaginario collettivo questa “autorevole” definizione, che è stata applicata al Medioevo da Francesco Petrarca.

Il buio serve certamente per comprendere la luce e ne costituisce la ragion d’essere. Per infrangere il muro dell’oscurità è stata inventata l’illuminazione artificiale.

Il buio nei secoli si è andato caricando di significati simbolici, attribuiti e presunti. Da un lato esso costituisce uno spazio fisico, dall’altro una dimensione metafisica e, al tempo stesso, tragica dell’esistenza, dell’anima e dell’Aldilà. Al buio si potevano svolgere attività clandestine, si sorprendevano i nemici in guerra e il buio era la peggiore delle punizioni tanto sulla terra quanto nell’Oltretomba. Nella sua dimensione concreta, tuttavia, esso era molto meno fitto e presente di quanto si è ritenuto sinora. Erano infatti migliaia le luci che brillavano nell’oscurità delle notti medievali. L’importanza della luce e dei suoi manufatti, per così dire, in quei secoli è immediatamente percepibile dal numero di parole e di espressioni che nella lingua volgare e in quella latina venivano impiegate per rendere conto di stati d’animo, di condizioni fisiche, di passioni, di situazioni più o meno piacevoli. Le fiamme d’amore che bruciano gli amanti e quelle dell’Inferno che puniscono i dannati, le passioni ardenti, il fuoco dell’ira. Ancora oggi, restano invariati questi usi linguistici e altri lasciti sottolineano l’importanza di questo elemento nella Storia, di cui costituiscono un interessante elemento di indagine anche alcuni detti, come “il gioco non vale la candela” oppure “essere al verde”. La luce costituisce una chiave per leggere la società medievale.

Si tratta di un’epoca che conferì alla luce artificiale una straordinaria importanza. Essa era un potente strumento di propaganda e di promozione sociale. Feste, spettacoli e banchetti erano degni di tale nome soltanto se il fuoco ne faceva parte: gli chef preparavano pietanze che sputavano fuoco per impressionare gli ospiti, altre invece erano dorate perché le fiamme di torce e candele le facessero brillare. Paradossalmente, se si pensa alla definizione di cui sopra, il Medioevo è stato davvero l’età della Luce.

In quali forme concrete la luce era presente nella realtà e nell’immaginario collettivo medievale?
Esistevano manufatti diversi e, anche a causa dell’uso sinonimico che ne viene fatto nelle fonti scritte dell’epoca, difficilmente distinguibili oggi. I più diffusi erano le candele, che potevano essere prodotte con cera oppure con grasso animale, da quello bovino al grasso di balena. La materia prima con cui venivano fabbricate ne determinava il prezzo: tre volte più care erano le candele di cera rispetto a quelle di sego. Si trovano, inoltre, lumi, doppieri, torchi e torce, moccoli, candelotti, lampade e lampadari, e chi più ne ha, più ne metta. I supporti, insomma, e la foggia dei manufatti erano assai vari, come le loro dimensioni: da pochi centimetri a metri, come i ceri pasquali o i manufatti portati in processione. Potevano essere decorati sulla superficie con bassorilievi, colorati, impreziositi con stemmi di famiglia, della confraternita, della corporazione o del comune di appartenenza. Essi rappresentavano lo status delle persone e delle istituzioni che li esibivano.

Quale valore aveva la cera?
La cera era una merce preziosa per via delle modalità di produzione e di raccolta, della relativa rarità nel reperimento e della provenienza. Esistevano cere più e meno pregiate a seconda del colore e dei Paesi da cui venivano importate. Accuratamente imballati e assicurati, a bordo delle navi mercantili che solcavano i mari, i panetti di cera arrivavano dall’Oriente, dall’Africa e dalla Spagna. Ciascuna tipologia di cera aveva caratteristiche specifiche che la rendeva riconoscibile agli occhi attenti e addestrati degli uomini d’affari che frequentavo i mercati più importanti e che per selezionare al meglio i prodotti si avvalevano anche di appositi manuali, come la “Pratica della mercatura” di Francesco Balducci Pegolotti, in cui avrebbero trovato indicazioni utili per i loro commerci (prezzi, caratteristiche, provenienze, difetti ecc.).

La cera andava trattata con delicatezza e attenzione in modo che non si rovinasse in superficie.

Più era “bella”, cioè meglio si presentava, infatti, più valeva. È a questo che possiamo far risalire il detto “Avere una bella cera” oppure una brutta…

Che ruolo svolgeva, la luce, nelle celebrazioni liturgiche?
Essa era centrale in quanto rappresentava il Signore, la Sua venuta, la Sua presenza e la via per la salvezza delle anime. Per questa ragione le celebrazioni religiose ruotavano attorno alla Luce, cioè a Dio, all’illuminazione divina. Dalla Pasqua alle feste dei santi patroni, in chiesa, lungo il cammino che portava alla chiesa, nella chiesa stessa, il numero di oggetti luminosi accesi accanto alla salma misurava l’importanza del culto e della persona. Una occasione speciale per l’esibizione del proprio status tramite le candele erano i funerali. Per dare l’idea di quanto fosse centrale l’illuminazione, si tenga presente che esistevano veri e propri regolamenti che determinavano la quantità consentita di ceri e candele a seconda del ruolo rivestito nella comunità, laica o religiosa che fosse. Più luce circondava il catafalco, lo accompagnava dalla casa alla chiesa, lo avvolgeva durante le esequie, più la persona deceduta era stata importante in vita. Una nuvola più o meno luminosa accompagnava da questa all’altra vita.

Esisteva un’illuminazione «pubblica»? Che ruolo svolgevano, le fiamme, nelle celebrazioni laiche?
Nel Medioevo non esisteva un’illuminazione pubblica nel senso moderno del termine, e comunque non esistette fino al XVIII-XIX secolo, esistevano però delle emergenze luminose, cioè luoghi che dovevano essere illuminati per essere identificati. La luce aveva la funzione di rendere evidenti persone ed edifici: palazzi pubblici più importanti, dove si trovavano persone al lavoro, residenze di chi contava, ma anche abitazioni specifiche, come quelle delle prostitute, segnalate dai lumi appesi fuori dall’uscio a Valencia, per esempio. Dalle finestre poi degli edifici si poteva scorgere il lume acceso di chi lavorava al telaio, leggeva o giocava alla zara. Lungo le strade si incontravano nicchie con immagini della Madonna e dei santi illuminate dal chiarore delle candele e si aggiravano molte persone con lumi, fiaccole o torce, autorizzate a circolare per ragioni professionali: ostetriche che raggiungevano puerpere, medici chiamati da qualche malato o malata, preti che correvano al capezzale di un moribondo, gli officiali che pattugliavano le strade. Vagabondi e criminali invece preferivano aggirarsi senza farsi identificare, quindi senza lume…

A quali scopi era destinata, negli ambienti domestici, l’illuminazione notturna?
Nelle case di notte si cenava rischiarati dal fuoco del camino ma anche a lume di candela…, come facciamo ancora oggi in qualche afflato romantico. Nelle dimore più umili si accendevano candele di cera, qualora il fuoco non bastasse, mentre man mano che la posizione sociale saliva, saliva anche la qualità dei manufatti per illuminare gli ambienti: candele di cera, candelabri e applique da parete, fabbricate nei metalli più diversi, dal ferro all’oricalco, torce e grandi bracieri nelle sale di palazzi e castelli. Con un lume acceso si poteva lavorare di notte al telaio, in casa e in bottega, oppure si potevano in tintoria accendendo torce. Si poteva leggere e scrivere, chi in camera da letto, chi in uno studio, chi in monastero. Gli officiali al soldo dei comuni italiani e dei signori lavoravano di notte con candele pagate dall’amministrazione… Con un lume in mano si poteva raggiungere di notte la stanza dell’amata, o dell’amato. Con torce si potevano illuminare le grandi sale da ballo, facendo attenzione che qualche ospite maldestro non desse fuoco a tutto l’arredamento, come accadde durante una festa danzante allestita dal re Carlo VI di Francia, alla fine di gennaio del 1383, oggi nota come Bal des Ardents. In questa circostanza il fratello del re si avvicinò inavvertitamente ai paramenti della sala con la torcia che portava in mano. La sala fu distrutta e morirono diverse persone.

Proprio perché il fuoco era considerato un elemento pericoloso, chi lo sapeva domare e impiegare per impreziosire la vita quotidiana godeva di una considerazione altissima.

Beatrice Del Bo insegna Storia economica e sociale del Medioevo e Didattica della Storia presso l’Università degli Studi di Milano. I suoi primi lavori vertono su banca e credito, aristocrazie, corti rinascimentali e castelli. Ora si occupa soprattutto di discriminazione sociale, economica, professionale, giuridica e di genere (schiave, forestieri, donne, poveri/e, artigiani/e) e di cultura materiale. I suoi studi si basano sull’analisi di un ampio e diversificato ventaglio di fonti che comprendono la documentazione notarile, la letteratura, l’archeologia, la pittura, la miniatura ecc. Tra le sue pubblicazioni, Il valore di un castello, FrancoAngeli, 2016; (ed.) con I. Santos Salazar Carne e macellai tra Italia e Spagna nel Medioevo, FrancoAngeli, 2020; (ed.) con A. Bassani, Schiave e schiavi, Giuffrè, 2020

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