
In che modo viene riletta, nel Suo studio, l’opera giuridica weberiana?
Weber è stato un giurista importante, non ancora trentenne professore di diritto commerciale e diritto romano a Berlino. Per varie ragioni il suo percorso accademico prenderà poi strade differenti. Ma la riflessione sul diritto sarà sempre presente nel suo lavoro intellettuale. Nel libro analizzo in particolare quella parte di Economia e società che da sempre è nota come la sua sociologia del diritto. Weber pensa che, assieme alla storia, la sociologia giuridica sia la disciplina meglio attrezzata per comprendere e spiegare i fenomeni regolativi. Questo perché la sociologia, a differenza dell’analisi dogmatica, è nella condizione di guardare al diritto con una visuale ad un tempo più ampia rispetto ai giuristi (costretti all’analisi ravvicinata di problemi puntuali della regolazione sociale), e più profonda in quanto interessata non tanto ai prodotti di determinate pratiche regolative, ma agli agenti di queste quali rappresentanti di mentalità e valori culturali: ai giuristi, ai capi politici, ai soggetti con interessi economici. Anche e soprattutto la sociologia del diritto ha quelle finalità di “scienza di realtà” che Weber assegna in generale a tutte le scienze sociali: comprendere le pratiche del diritto nella loro specificità, nel loro significato culturale, nella loro dimensione storica. Con il contributo della sociologia e della storia la scienza giuridica è in grado di allargare il suo campo di osservazione ai rapporti che il diritto intrattiene con la politica, con l’economia, con la religione, e di aprirsi in tal modo alla prospettiva di un’analisi integrata dei fenomeni regolativi, capace di cogliere in ciascuna vicenda (particolarismo giuridico, processo di codificazione, diritti) i tratti fondamentali di essa al di là di una ricognizione tecnica su regole, principî, istituti: degli elementi che sono sempre, necessariamente, dei caratteri storico-culturali. Per tutte queste ragioni scrivo nel libro che la sociologia giuridica weberiana offre una base di riflessione utile per aggiornare, nella teoria del diritto, gli indirizzi del realismo giuridico. Ma va aggiunto un altro aspetto importante, misconosciuto o direttamente negato in alcune letture degli interpreti: altri momenti significativi dell’opera di Weber si collegano più o meno apertamente alla sua formazione giuridica. Penso alla costruzione dei tipi ideali e dei giudizi di possibilità nei saggi metodologici, al ruolo che riveste la credenza nella giuridicità nella teoria della legittimità, all’influenza di Gierke sulla sua sociologia del potere, all’impulso della storia dei diritti di Georg Jellinek all’analisi del protestantesimo ascetico.
Qual è l’eredità del Weber sociologo?
Rispondo richiamando quando dicevo all’inizio: Weber si è occupato dei principali aspetti della vita sociale moderna, e lo ha fatto con una potenza speculativa senza pari. Il confronto con la sua grande opera è ineludibile per qualsiasi studioso impegnato nel campo delle scienze sociali. Accennavo poi ai modi weberiani di fare ricerca. Anche questi sono una componente essenziale del suo lascito. La considerazione privilegiata della dimensione storica di tutti i fatti sociali è il primo punto. Ad esso sono strettamente collegate le altre idee cardine dell’indirizzo metodologico weberiano. Weber invita invero a non sopravvalutare i problemi del metodo della ricerca, e mostra persino una certa insofferenza per il lavoro dello studioso in questo campo. Allo stesso tempo è consapevole che si tratta di un compito necessario, come è dimostrato dal suo impegno su questi temi dai primi del Novecento sino alla sua morte. Ebbene sono convinto, e lo sottolineo più volte nel corso del libro, che da questa parte della sua opera provengano ancora oggi le indicazioni operative più importanti per qualunque tipo di ricerca sociale. Weber elabora la sua posizione nel contesto del dibattito sul metodo che dalla fine dell’Ottocento aveva visto il coinvolgimento di alcune delle personalità più in vista della filosofia e delle scienze sociali nei Paesi di lingua tedesca (Dilthey, Windelband, Rickert, Husserl, e in economia Carl Menger e Gustav von Schmoller). Nella visione di Dilthey le scienze della natura e le scienze dell’uomo si occupano di ambiti di conoscenza radicalmente diversi, e tra questi non vi sono, e non vi possono essere, canali di comunicazione e confronto. Per Weber invece è necessario riconoscerne anche le affinità: le due modalità di conoscenza scientifica hanno come obiettivo la spiegazione e si servono di cause, in entrambe è prevista un sapere nomologico. Solo che in un caso la spiegazione è di tipo causale/idiografico e cerca di stabilire in che modo uno specifico evento si è verificato (è una spiegazione “comprendente”, una spiegazione che parte dalla comprensione), nell’altro è di tipo causale/generalizzante ed è orientata alla enucleazione di vere e proprie leggi (leggi generali che valgono per una molteplicità di fenomeni). Le scienze della cultura si distinguono per questo orientamento verso l’individualità, verso la ricerca delle concrete connessioni causali di fenomeni individuali. A questo scopo si servono anch’esse di un apparato nomotetico, costituito però non da vere leggi, ma da costruzioni concettuali (un insieme di concetti e di regole generali dell’accadere: di tipi ideali). La conoscenza di queste particolari leggi della causalità inoltre non sarà, diversamente da quanto avviene nelle scienze naturali, lo scopo ultimo della ricerca, ma soltanto lo strumento di essa. L’approccio weberiano delinea in sostanza una terza via tra il monismo metodologico delle teorie pure (come quella di Menger e dei marginalisti in economia) e la rigida distinzione tra scienze naturali e scienze della cultura in Dilthey.
Quale rilevanza assume, oggi, la teoria dell’agire sociale?
Vi è un tema di discussione prevalente nella sociologia, ed è quello del rapporto tra agire sociale e strutture sociali organizzate (gli “ordinamenti”, nel lessico di Weber): tra la dimensione micro e la dimensione macro della vita sociale. Su questo punto cruciale credo la teoria weberiana dell’agire fornisca una chiave essenziale per organizzare le analisi sulle relazioni tra queste due dimensioni. Nel percorso che va dai saggi metodologici sino a Economia e società si delinea un progetto di sociologia comprendente incentrato sull’analisi dell’agire sociale, e in particolare sull’intelligenza dei motivi che hanno determinato il soggetto agente. Una configurazione apparentemente individualistica, che ha legittimato nel tempo l’immagine di Weber come uno degli esponenti maggiori dell’individualismo metodologico. Il mio libro ha un punto di vista diverso. Nell’Etica protestante, nelle ricerche empiriche, negli altri saggi di sociologia della religione, Weber concepisce un programma di osservazione e studio più vasto e articolato, non sviluppato in maniera coerente, né sempre riconoscibile nelle diverse stazioni della sua esecuzione, ma in generale interessato a descrivere i flussi di relazione tra cultura e società, e propriamente, per adoperare la sua terminologia, tra la cultura dei contenuti spirituali e la cultura materiale delle strutture sociali consolidate. Dai significati elaborati dalle microstrutture di senso dei gruppi culturali (principalmente assiomi di valore e immagini o intuizioni del mondo) alle forme organizzate della vita sociale; e nella direzione contraria, da queste verso le culture delle entità collettive volta per volta prese in esame. In questo modello l’agire sociale dei soggetti diventa allora il momento interposto e strategico per l’analisi e la verifica delle connessioni tra strutture micro e macro (tra le due culture).
Quali aporie e difficoltà permangono nel percorso weberiano?
La grandezza di Weber si manifesta anche nella convinzione che è costitutivo della ricerca scientifica il tendere allo sviluppo e al rinnovamento attraverso un processo ininterrotto di confronto, di revisione, di critica. Nella Scienza come professione Weber scrive che l’essere superati scientificamente non è semplicemente il destino degli studiosi: deve diventare anche il primo loro obiettivo. A distanza di cento anni dalla morte non deve pertanto meravigliare che vi siano anche momenti del suo lavoro intellettuale meritevoli di un profondo ripensamento. Una questione fondamentale è stata sollevata da Pietro Rossi nei suoi grandi lavori su Weber: ed è quella dell’indirizzo asimmetrico ed eurocentrico della comparazione interculturale praticata nell’opera weberiana; l’analisi delle altre culture è infatti sempre condotta sulla convinzione della eccezionalità del razionalismo occidentale. Alla prescrizione metodologica del “rapporto al valore”, come criterio di selezione dell’oggetto della ricerca e di guida nella ricostruzione di esso, Habermas oppone giustamente che in tal modo il ricercatore non comunica direttamente con gli oggetti culturali della sua ricerca, ma li inserisce nelle relazioni con i valori propri del suo orizzonte spirituale. Ancora: la spiegazione motivazionale dell’agire sociale non sembra in grado di spiegare adeguatamente la relazione del senso intenzionato del soggetto agente con i significati condivisi nel suo gruppo culturale (con gli schemi storici di percezione e di valutazione di cui parla Bourdieu). E infine (ma la lista dei bisogni di revisione critica potrebbe ulteriormente allungarsi) il giurista Weber sembra pensare che a partire dalla codificazione di Giustiniano il meccanismo della posizione autoritativa delle norme sia diventato una sorta corredo genetico della nostra tradizione giuridica, così da dover prevedere che nel futuro il processo di identificazione del diritto con la legge non incontrerà più ostacoli e resistenze. La crisi del diritto legislativo, il rilievo del diritto giurisprudenziale anche nelle esperienze di civil law del nostro continente, le molteplici forme di autoregolazione sostenute dal processo di globalizzazione sono altrettante smentite della profezia weberiana.
Realino Marra è professore ordinario di Filosofia del diritto e di Sociologia del diritto nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Genova. È direttore responsabile della rivista «Materiali per una storia della cultura giuridica». Tra il 2014 e il 2020 è stato Preside della Scuola di scienze sociali dell’Ateneo genovese. Tra le sue pubblicazioni: Suicidio, diritto e anomia (Napoli, 1987); La religione dei diritti (Torino, 2006). Sempre con Il Mulino ha pubblicato: Capitalismo e anticapitalismo in Max Weber (2002).