“L’eredità celtica. Origini e antropologia dei Popoli cisalpini” di Stefano Spagocci

Dott. Stefano Spagocci, Lei è autore del libro L’eredità celtica. Origini e antropologia dei Popoli cisalpini pubblicato da Press&Archeos: come si è storicamente articolata la presenza celtica nell’Italia settentrionale?
L'eredità celtica. Origini e antropologia dei Popoli cisalpini, Stefano SpagocciVa innanzitutto sottolineato che la presenza celtica in parte dell’Italia settentrionale è altrettanto antica di quanto lo sia in parte dell’Iberia ed Europa centrale e nelle Isole britanniche. Mi riferisco in particolare all’Insubria, la regione storica che include le attuali Lombardia occidentale, Piemonte orientale e Canton Ticino. In Insubria, infatti, la presenza celtica data al XIII sec. a.C. con la cultura di Canegrate, evolutasi quindi nelle culture del Protogolasecca (XII/X sec. a.C.) e di Golasecca (IX/IV sec. a.C.)

I Celti golasecchiani furono contemporanei alla cultura celtica di Halstatt dell’Europa centrale; alla cultura celtica di La Tène appartenevano invece i Galli che nel IV sec. a.C. calarono in Italia settentrionale. Per quanto riguarda l’Insubria si discute se vi sia stata un’invasione lateniana, poiché la regione era celtica da quasi un millennio. Per quanto riguarda le altre regioni cisalpine interessate dalla presenza celtica, va detto che se invasione (e non graduale infiltrazione) vi fu, l’influenza halstattiana in talune aree data al VI sec. a.C.

Trascurando i gruppi minori, le tribù galliche presenti in Cisalpina dopo il IV sec. a.C. sono: Salassi (Valdaosta), Taurini (Piemonte occidentale), Insubri (Insubria), Cenomani (Lombardia orientale e Veneto occidentale), Carni (Friuli), Boi (Emilia), Lingoni (Romagna), cui si aggiungono i Senoni (Marche).

Le popolazioni non propriamente galliche della Cisalpina, e come loro gli Umbri e i Piceni in Italia centrale, dal VI sec. a.C. (e particolarmente dopo il IV sec. a.C.) subirono l’influenza dei Celti prima halstattiani e poi lateniani, tanto che taluni archeologi tendono a distinguere la cultura celtica da quella lateniana, di cui la cultura celtica sarebbe un sottoinsieme e alla quale si aggiungerebbero le popolazioni iberiche, cisalpine, italiane peninsulari e danubiane non propriamente celtiche ma dalla cultura gallica influenzate.

Va infine detto che secondo taluni archeologi avrebbe poco senso parlare di origini celtiche nella tarda età del Bronzo (il XIII sec. a.C. che ho prima menzionato), in quanto l’archeologia delle aree poi divenute celtiche nel senso convenzionale del termine (e di altre non celtiche) mostra una continuità di sviluppo a partire dalla cultura del Vaso Campaniforme (attorno alla metà del terzo millennio a.C.) In questo senso si potrebbe dire che tutta la Cisalpina (con un’appendice peninsulare) sia “celtica” da due millenni prima delle invasioni storiche lateniane.

Quale ritratto antropologico, in senso genetico, fisico e culturale, è possibile tracciare dei Celti Cisalpini?
Iniziamo dalla genetica, premettendo un’osservazione per molti ovvia, per altri no: se è vero infatti che la moderna antropologia genetica mostra una correlazione spesso quasi perfetta tra le divisioni etniche dell’attuale Europa e le popolazioni preromane, tale correlazione non va intesa nel senso di un rapporto di causa ed effetto tra DNA e cultura. Sappiamo però da un venticinquennio che il panorama genetico dell’Italia ed Europa di oggi è fortemente conservativo della situazione preromana e possiamo quindi ad esso riferirci per rispondere alla domanda. Dal punto di vista genetico i Celti Cisalpini erano parte di un continuum che, seppur fortemente differenziato al suo interno (soprattutto lungo l’asse nord/sud), parte dalla Scandinavia e giunge all’Iberia ed Italia centrale. Esiste poi uno speciale legame genetico tra tutte le terre che furono celtiche, inclusa l’Italia settentrionale.

Come interpretare tali legami? Quello che mi piace chiamare “continuum centro-nord-europeo” sembra abbia origini neolitiche, essendo scaturito dal (mancato) incontro tra due diverse correnti di espansione della grande migrazione che portò l’agricoltura in Europa. Sembra poi che la grande migrazione indoeuropea abbia comportato una serie abbastanza complessa di sotto-ondate migratorie che, nelle terre poi divenute celtiche, avrebbe portato alla diffusione della cultura del Vaso Campaniforme, successivamente evolutasi in quella celtica. Le invasioni lateniane storiche, poi, portarono ad un’ulteriore redistribuzione di popolazioni.

Con le precisazioni di cui sopra penso si possa affermare, e non è una tautologia, che dal punto di vista genetico i Celti Cisalpini fossero, per l’appunto, “celtici”. In accordo con la concezione che gli archeologi hanno maturato rispetto al mondo gallico, notoriamente non un’etnia monolitica ma una sorta di “confederazione” di culture distinte con un legame di fondo, dal punto di vista genetico il mondo celtico appare aver avuto un legame di fondo, di origine prevalentemente neolitica, cementato da successivi spostamenti di popolazioni, una sorta di “unità nella diversità”. Va anche detto che i Celti Cisalpini, come quelli iberici, dal punto di vista genetico rappresentarono la parte più “meridionale” del continuum centro-nord-europeo.

Dal punto di vista dell’antropologia fisica ritengo che la situazione sia stata del tutto analoga, sebbene vada sottolineato che gli studi di antropologia genetica cui ho fatto riferimento riguardano mutazioni che non hanno alcun effetto sull’espressione dei geni che le ospitano. Ad ogni modo, e per quello che possano valere le tradizionali classificazioni antropometriche, in Italia settentrionale (e nelle aree celtiche dell’Europa centrale, in media però più “nordiche” in conseguenza delle invasioni germaniche altomedievali) il tipo fisico prevalente è quello alpino, con una minoranza di individui di tipo nordico e la comparsa del tipo dinarico verso est. Tutto fa pensare che i Celti Cisalpini possedessero analoghe caratteristiche, forse con una maggior presenza del tipo fisico nordico in seguito alle invasioni storiche lateniane.

Riguardo alla cultura, fortunatamente gli scrittori classici ci hanno lasciato diverse descrizioni del “carattere nazionale” celtico, preziose per l’archeologo e antropologo, per quanto parziali. Il fatto che molti tratti caratteriali “celtici” si siano mantenuti nei Cisalpini di oggi fa pensare che i Celti Cisalpini condividessero con gli altri europei di origine celtica almeno tratti di tale carattere. Tenendo ben presente che le identità collettive sono medie statistiche, possiamo delineare alcuni tratti che è possibile siano stati tipici dei Celti Cisalpini.

In particolare si può parlare di una concezione serena e gioiosa della vita, una religiosità profonda e sincera, esigente ma gioiosa e fondata su un senso di sacralità delle manifestazioni della natura e dell’attività umana, uno spiccato senso della giustizia, accompagnato da una tendenza a dimenticare presto le ingiustizie subite, un forte senso della vita sociale, accompagnato da un forte individualismo, una tendenza alla concretezza e al pragmatismo, una forte avversione per gli inutili formalismi, un rispetto rigoroso della parola data, una tendenza a concepire i rapporti umani in termini di fiducia reciproca e non di regole astratte, una tendenza all’eloquenza, un amore per la brillante conversazione, un’avversione per la retorica vuota e per i formalismi, una tendenza agli scatti d’ira e una certa passionalità, non però “teatrale”.

Quanto di loro è rimasto nell’antropologia dei Popoli cisalpini?
A mio parere molto, anche se questa affermazione potrà scandalizzare qualcuno, ma bisogna intendersi riguardo al senso delle parole. Per quanto concerne l’antropologia genetica, ho già sottolineato come il panorama dell’attuale Italia ed Europa sia sostanzialmente congelato all’epoca preromana. Ciò significa che gli spostamenti di popolazione conseguenti alle conquiste romane, in Italia come altrove, furono di consistenza tutto sommato modesta; dunque ogni europeo che abbia radici in un dato luogo può ritenersi discendente dalle popolazioni preromane che in quel luogo si radicarono.

Affermare che il DNA cisalpino sia “celtico” è corretto solo se a proposito si facciano alcune precisazioni. Non si deve pensare a un popolo che si sia trasferito in massa in Italia settentrionale: un tale modello si applica semmai alle popolazioni germaniche della Grande Migrazione altomedievale ed infatti dei Goti e Longobardi rimane una discreta traccia genetica anche in Cisalpina. Si tratta invece dell’impronta genetica che lasciarono le popolazioni neolitiche migrate in Cisalpina, cui si sovrappose quella delle popolazioni indoeuropee che ivi migrarono (Celti, Liguri, Veneti), integrandosi con le precedenti. Va anche precisato che dal punto di vista della genetica Liguri e Veneti poco si distinguono dai Celti Cisalpini e, qualora almeno si accetti la teoria campaniforme della quale ho parlato in precedenza, dal punto di vista genetico tali popoli possono essere considerati “protocelti”.

Riguardo all’antropologia fisica e culturale, ho già sottolineato il fatto che le caratteristiche proprie dei Celti Cisalpini si deducono anche da quelle dominanti nelle popolazioni cisalpine di oggi e dunque rimando alla descrizione datane più sopra. Devo però aggiungere che vi sarebbero molti altri aspetti da considerare: ad esempio è stato autorevolmente proposto che il modo tradizionale di fare musica o rispettivamente cucina in Cisalpina debba molto all’apporto celtico e si è perfino sostenuto (“L’osceno è sacro” di Dario Fo) che abbia origine celtica il turpiloquio cisalpino (con qualche buona ragione, a mio parere).

Quali conseguenze ha prodotto per le popolazioni cisalpine la romanizzazione dell’Italia settentrionale?
Sarebbe folle chi negasse la profonda influenza che la romanizzazione ebbe in Cisalpina, come del resto in tutto l’Impero. Io amo paragonare le dinamiche della romanizzazione a quelle della odierna globalizzazione e del resto non sono l’unico a farlo; credo quindi che il miglior modo di rispondere alla domanda sia quello di riferirsi alla globalizzazione di oggi. Il mondo globalizzato ha certo profondamente influenzato non solo la vita ma l’antropologia delle popolazioni occidentali e tuttavia sotto l’apparente uniformità le identità dei popoli e degli individui sono ancora riconoscibili e operanti (mi sia consentito di dire “fortunatamente”). Ritengo che un tale modello possa utilmente applicarsi, mutatis mutandis, alla romanizzazione in generale e in particolare alla romanizzazione della Cisalpina.

Più concretamente abbiamo molteplici prove del fatto che il pool genetico cisalpino, e più in generale europeo, non fu sostanzialmente alterato dalle conquiste di Roma (e non sto affermando nulla riguardo al rapporto fra genetica e cultura). Dal punto di vista dell’antropologia culturale si può supporre che la mentalità dei Cisalpini, come quella degli altri popoli “barbari” conquistati da Roma, divenne più “urbana” e “civilizzata” (senza dare all’aggettivo valenza positiva o negativa) e tuttavia non sono solo io ad intravvedere fenomeni di “resistenza culturale” (cui sarebbe azzardato attribuire valenza politica) e non solo nelle classi sociali “inferiori”.

In ogni caso oserei dire che fenomeni di persistenza cultuale e culturale siano provati al di là di ogni dubbio, anche a secoli dall’avvio del processo di romanizzazione e anche (nel caso dei culti) fino alle soglie della Tarda Antichità, per non dire delle persistenze “pagane” nel folklore. Mi limito intenzionalmente all’aspetto antropologico, oggetto dei miei interessi e delle mie ricerche; cosa l’incontro/scontro con Roma abbia lasciato in eredità al mondo è troppo noto perché io ne tratti in questa sede.

Stefano Spagocci è nato a Milano nel 1966. Si è laureato in fisica all’Università degli Studi di Milano, svolgendo la tesi presso il CERN. Ha poi conseguito un MSc alla Edinburgh University e un PhD a University College London e si occupa dello sviluppo di modelli matematici per applicazioni scientifiche e tecnologiche. Nutre da sempre un forte interesse per l’archeologia (in particolare “barbarica”) e la storia antica che nel nuovo millennio si è congiunto con quello per l’antropologia, dando origine ad una serie di ricerche sull’archeologia cisalpina letta in chiave antropologica.

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