“L’equazione degli alef” di Carlo Toffalori

Prof. Carlo Toffalori, Lei è autore del libro L’equazione degli alef edito dal Mulino: innanzitutto, cosa sono gli alef?
L'equazione degli alef, Carlo ToffaloriAlef è la prima lettera dell’alfabeto ebraico, quella corrispondente alla nostra A. Quando, alla fine dell’Ottocento, il matematico tedesco Georg Cantor costruì nuovi numeri “cardinali” infiniti, fratelli maggiori di quelli (0, 1, 2 eccetera) con cui siamo abituati a contare, chiamò “alef” alcuni di questi numeri. Cantor mostrò poi che c’è un’infinitudine di alef, e quindi c’è un’infinitudine di numeri cardinali. Abissi, e forse labirinti, di nuovi numeri. Eppure Cantor mostrò come ordinare, sommare, moltiplicare ed elevare a potenza questi numeri infiniti, e lo fece in modo da estendere le operazioni usuali dei numeri naturali (intendo 0, 1, 2 eccetera). Insomma, una vera e propria aritmetica dell’infinito.

Quali affascinanti misteri racchiudono?
Credo che il primissimo interrogativo, generale e basilare, riguardi la matematica stessa e più in generale la scienza. La domanda è: chi contribuisce di più alla ricerca, l’osservazione della natura o la fantasia del pensiero? Per le scienze così dette naturali, la risposta sembra ovvia: è alla realtà che bisogna ispirarsi – e tuttavia anche il pensiero interviene, per leggere e interpretare la realtà. La matematica è una scienza più astratta, ma già Galileo la definiva “il linguaggio della natura”. Anzi, altri illustri pensatori sostengono che il mondo si svela allo scienziato nella misura in cui sa coglierne il nocciolo, cioè l’animo, matematico. Dunque l’indagine dell’universo è anche “matematica” a tutti gli effetti.

Ma la matematica, proprio per questo suo carattere più etereo e teorico, può sviluppare legittimamente una riflessione “pura”, cioè staccata dalla natura.

Esiste dunque in matematica una sorta di doppia identità, una più astratta e una più concreta. A suo riguardo le opinioni sono molteplici. Perfino tra i matematici si trova chi rifiuta troppe astrazioni, e chi invece le esalta e persegue.

Gli alef sono evidentemente il frutto di ricerche puramente teoriche. Scriveva però Cantor che “l’essenza della matematica è la sua libertà”: un aforisma famoso, che si trova citato in moltissimi siti della rete. Ebbene la matematica di cui parla Cantor non è quella applicata o comunque ispirata dalla natura – e per ciò stesso vincolata dall’oggetto della sua indagine – ma la riflessione della mente, la sua capacità di volare e spaziare col solo obbligo della coerenza. È questa, a suo modo di vedere, l’unica matematica veramente libera. Altri, come detto, la pensarono all’opposto. Il tema è avvincente, e ho cercato di trattarlo nel mio libro.

Quanto agli alef, non mi arrischio neppure a provare qui a definirli. Ma sono pieni di sorprese e di misteri. Per esempio: se prendo un numero naturale N, so che N+1 è più grande. Come dire che 2 è diverso da 3, 3 da 4 e così via. Oppure, nessun numero naturale coincide col suo doppio, con l’unica eccezione di 0. Infatti il doppio di 0 è 0, ma quello di 1 è 2, quello di 2 e 4 e via dicendo. Ma se invece scelgo N tra gli alef, bene, allora succede che N sia uguale a N+1 oppure al suo doppio.

Quale applicazione trovano gli alef?
È forse questa la sorpresa più grande. Sembra infatti che gli alef siano pura speculazione teorica, che può divertire i matematici che ci si baloccano, ma resta del tutto estranea al restante 99,99… per cento dell’umanità. Che vantaggio può esserci a sapere che un alef N coincide col suo doppio? Eppure la storia della scienza ci insegna come le idee rivoluzionarie di Cantor suscitarono l’entusiasmo di alcuni illustri colleghi, ma anche lo scandalo e l’ostracismo di molti altri, e sollevarono in definitiva un dibattito sulla liceità di trattare l’infinito in matematica, e dunque su che cosa sia e che cosa si proponga la matematica, sulla sua identità, sui suoi obiettivi e sui suoi limiti. I teoremi di incompletezza di Gödel del 1931 evidenziarono ancor più le manchevolezze della conoscenza matematica, non solo quando essa si avventura nello studio dell’infinito, ma perfino quando si mantiene tra i numeri naturali, che sembrano il suo ambito più semplice. Pure questi numeri sfuggono al completo dominio della mente matematica, e ci sono questioni che li riguardano e non si sanno dirimere. Diventa allora legittimo dibattere che cosa sia o meno calcolabile in matematica, e quindi che cosa significhi calcolare.

Ebbene queste riflessioni, che di nuovo potrebbero apparirci come pura filosofia, lontanissima dal mondo reale, produssero di lì a pochi anni, nel 1936, in modo tanto sbalorditivo quanto naturale e diretto, l’avvento dell’informatica teorica, e dunque una delle rivoluzioni più grandi della società di oggi: Alan Turing e la sua macchina – il primo esempio di programma e di calcolatore moderno.

Chi fu l’ideatore degli alef?
Georg Cantor, appunto. Matematico tedesco: sognatore, quasi fanatico, fiero e coraggioso nell’intraprendere una via non facile di ricerca, eppure spesso bisognoso del sostegno, dell’incoraggiamento e delle rassicurazioni dei colleghi, vittima poi di critiche anche feroci, invidie e incomprensioni, lui stesso ostile e preconcetto nei confronti di alcuni colleghi. Gabriele Lolli lo definisce un personaggio quasi dostoevskiano – e del resto Cantor, sia pure tedesco, nacque a San Pietroburgo. La difficoltà delle ricerche intraprese e le polemiche che le accompagnarono minarono progressivamente il suo intelletto così che, dai quarant’anni in su, Cantor visse periodi di profonda depressione. Eppure la sua teoria è geniale, costituisce ormai un capitolo fondamentale della storia della scienza e influenza profondamente, grazie al concetto di insieme, il modo stesso in cui la matematica moderna si struttura e si sviluppa.

2 alla alef con zero è l’equazione che dà il titolo al Suo libro: cosa la rende notevole?
Difficile spiegarlo in poche righe. Ci provo. Dunque: i numeri naturali 0, 1, 2, … sono un’infinità, non c’è un ultimo numero, a ogni possibile valore si può aggiungere 1 in modo da ottenerne un altro più grande. Allo stesso modo i punti di una retta sono un’infinità. Ora, si è portati a pensare che gli infiniti siano tutti uguali, perché la nostra mente non sa catalogarli e quindi non può che confonderli. All’infinito tutto si appiattisce, e non ci può essere un infinito più grande di un altro. Così in effetti si credette per millenni. Del resto, il fatto che citavo poco fa, che un alef sia uguale al suo doppio, sembra confermarlo.

Eppure nel 1874 Cantor dimostrò che l’infinitudine dei numeri e quella dei punti sono differenti: significativamente, matematicamente, drasticamente differenti, e comunque catalogabili. Anzi, siccome i numeri si possono pensare come ascisse di alcuni dei punti di una retta, la loro infinitudine è significativamente più piccola dell’altra.

Sorge a questo punto una curiosità spontanea, legittima e neppure difficile da enunciare: si possono immaginare livelli intermedi di infinito tra numeri e punti, diversi da quello dei numeri e da quello dei punti? Cantor propose l’interrogativo nel 1878, confidando in una rapida risposta negativa, tale cioè da escludere questi ulteriori cardinali.

Per chi ama le complicazioni, aggiungiamo che la questione si può riformulare in termini matematici più astrusi. Infatti l’infinità dei numeri è un alef, e si chiama alef con zero. Quella dei punti si chiama il “continuo” e nell’aritmetica dei cardinali corrisponde invece alla potenza “2 alla alef con zero”. Ma chi è questo 2 alla alef con zero? Nel mondo finito, se qualcuno ci chiedesse chi è 2 alla terza, ci verrebbe facile fare il conto e rispondere 8. Ma all’infinito tutto diventa più nebuloso, insidioso e sottile. Il teorema di Cantor del 1874 esclude che il continuo coincida con alef con zero. Ma con quale alef coincide (ammesso che coincida con qualche alef)? È questa, volendo, l’equazione del titolo del libro. La congettura di Cantor del 1878 in pratica sostiene che il continuo è il primo dopo alef con zero.

La risposta alla questione venne nel 1963 ed è di nuovo inaspettata e sconvolgente. Meritò a chi la scoprì, Paul Cohen, l’equivalente del premio Nobel per la matematica. Ma in verità non è neppure una risposta, o comunque non è la risposta che ci si attenderebbe da un matematico. Lascia infatti – consentitemi un linguaggio un po’ intuitivo e impreciso – completa libertà di credere o rifiutare l’affermazione, di accettare o meno un’infinitudine intermedia, o se preferite un alef tra alef con zero e il continuo. Può essere così oppure cosà, può darsi di sì come può darsi di no, e non sembra esserci modo di risolvere altrimenti la questione, se non accogliendo l’una o l’altra opzione come “assioma”, in qualche modo come dogma e premessa. Del resto, anche il quinto postulato di Euclide, quello sulle rette parallele, condivide in qualche senso la stessa condizione, si può accogliere come respingere, e apre nel secondo caso la strada lecitissima verso le geometrie non euclidee.

Insomma, ci troviamo di fronte a dilemmi a mio avviso appassionanti, e a una matematica ben più viva e inquieta di quella che ci capita di subire a scuola. Forse astratta e fuori dal mondo, ma affascinante. Tutti noi vorremmo, in fondo, abbracciare a capire l’infinito, e Cantor in qualche modo c’è riuscito. E ancora: così come ci entusiasmiamo degli eroi di fantascienza e delle loro avventure – guerre stellari, la Forza e quant’altro – alla stessa maniera possiamo rimanere avvinti dagli alef e dai loro misteri. Attenzione, però: gli alef non sono solo fantascienza. La loro matematica, e la matematica in generale, si rivelano capaci delle conseguenze pratiche inimmaginabili che si dicevano, come la rivoluzione informatica.

Carlo Toffalori è professore di Logica Matematica all’Università di Camerino. Dal 2005 al 2017 è stato presidente dell’Associazione Italiana di Logica e sue Applicazioni. Dal 2012 fa parte della Commissione Scientifica dell’Unione Matematica Italiana. I suoi interessi di ricerca riguardano logica e algebra. Si occupa anche di divulgazione della matematica. Ha pubblicato vari libri, come Matematica, miracoli e paradossi (con Stefano Leonesi, per Bruno Mondadori, 2007), Il matematico in giallo (Guanda, 2008), L’aritmetica di Cupido (Guanda, 2011), Numeri in giallo (Mimesis, 2012), Algoritmi (il Mulino, 2015).

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