
Decidere chi comanda è da sempre stato difficile, fin dalla antichità, in ogni forma di organizzazione sociale. Forse all’inizio della storia umana, si sceglieva il Capo semplicemente in base alla forza, come raccontato da Polibio: gli “uomini, come gli animali si adunano e seguono i più validi e forti. La forza segna il limite del loro potere, che si può chiamare monarchia naturale”.
Eppure, per quanto sia difficile scegliere il Capo, forse a pensarci bene, è ancora più difficile scegliere chi è il successore del capo. Molto spesso, il capo uscente vuole restare più a lungo possibile o comunque influenzare in qualche modo la scelta del suo successore.
Ogni successione è diversa, eppure tutte hanno una cosa in comune: sono al tempo stesso l’ultimo atto di una manifestazione del potere e il momento originario di quella nuova. Fra l’una e l’altra può cambiare tutto: può avvenire la transizione dalla Monarchia alla Repubblica, per esempio, come accadde nel 1946, con il passaggio da Re Umberto II a Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato, ma eletto.
Ho raccontato la storia di De Nicola, ma anche quella di papi, imperatori, Re, dittatori, Presidenti: Elisabetta I, FD Roosevelt, Benedetto XVI, Mussolini, Diocleziano sono storie tipiche di successione, nelle diverse forme di governo o “politeiai” possibili.
Quali trame e meccanismi determinano la successione del Capo?
Le vicende della successione dei capi svelano snodi enigmatici e spesso poco visibili non solo delle istituzioni, ma anche della storia. Vista da qui, la “politica” si mostra nella sua dimensione più autentica, fatta di decisioni prese nel pieno di una guerra o nelle stanze dei palazzi, scelte fatali che ribaltano il corso degli eventi. Si vedono i corpi e gli istinti che impongono la loro forma alle istituzioni e così governano la direzione di un’epoca.
Nella successione molto dipende da quanto sia forte l’Istituzione. Esistono istituzioni molto solide in cui quando muore il Capo la successione è quasi automatica, proprio come se fosse la mera sostituzione del corpo naturale rispetto a un corpo trascendente che non muore. Il potere spetta alla Istituzione e la personificazione del suo singolo Capo è soltanto un evento, potremmo dire, accidentale. È quanto avviene nelle Monarchie specie se forti e stabili, come la Monarchia inglese o anche quella francese e del Sacro romano impero, per secoli: il Re sostituisce quasi automaticamente il suo predecessore. “È morto il Re, viva il Re”, come vedremo.
Lo stesso accade anche nella Chiesa cattolica, in cui il Papa è soltanto il Vicario di Cristo in terra che deve guidare la Chiesa fino al giorno del giudizio. Pur essendo unto dallo spirito santo, il singolo papa, in quanto comune mortale, ha un’esistenza temporalmente limitata e, una volta morto, deve essere sostituito. Come dirà la pubblicistica medioevale: papa fluit, papatus stabilis est.
Il carisma dell’Istituzione può valere anche per organizzazioni non statali, come ad esempio i partiti politici. Prendiamo il Partito comunista italiano, in cui il segretario veniva eletto in una specie di cooptazione poi ratificata dal congresso. Si trattava di una elezione che avveniva in “corridoio”. Una elezione fatta senza una decisione formale, per individuare quello che si riteneva il migliore. Il segretario del PCI era davvero un ingranaggio al servizio del sistema. Non a caso Luigi Longo, appena eletto successore di Togliatti dichiarò: sono “un segretario e non un capo”.
In che modo il Capo ha influenzato, o tentato di farlo, la sua successione?
Nella storia umana si calcola che ci siano stati oltre 100 miliardi di persone. E di questi oltre 92 miliardi sono già morti. Di quanti è rimasto un ricordo? Poche centinaia, non di più, fra cui alcuni grandi Capi, da Giulio Cesare a Carlo Magno, da Napoleone ad Alessandro Magno.
Forse, il timore più grande per un Capo è quello di essere presto dimenticato dai posteri o anzi addirittura cancellato e maledetto. Come accadeva per gli antichi romani con la damnatio memoriae. Nell’antica Roma venivano scolpite tonnellate di marmo per immortalare le imprese di consules, imperatores, dictatores. Eppure, per i principi più malvisti, per i traditori della res publica venne introdotta una sanzione crudele, da irrogare dopo la morte: la dannazione della memoria, cioè la cancellazione di ogni prova della esistenza di chi si era comportato in vita da nemico pubblico. Come fu per Caligola, Nerone, Diocleziano, Eliogabalo.
Come fare per essere ricordati? Non soltanto facendo bene in vita, ma anche scegliendo un buon successore. Che si impegni a tutelare la memoria e le opere di chi c’era prima, anche continuandole.
Le successioni rappresentano spesso un momento di rottura con il passato e si consumano in seguito a rivoluzioni, guerre, scismi: quali caratteristiche presentano tali successioni traumatiche?
Nei passaggi di regime diventa tutto più difficile, anche quando non ci sono rivoluzioni e guerre civili.
Prendiamo il nostro caso del 1946, con un Presidente democraticamente eletto per succedere a un Re. Si tratta di un momento di rottura delle Istituzioni, raro e particolare, che porta a soluzioni molto originali. A partire dai poteri che vengono attribuiti al Presidente eletto dopo un Re: che altro non sono che gli stessi poteri del re, per quanto compatibili!
Sembrerà assurdo, ma è quanto avvenuto con la successione di Enrico De Nicola a Umberto II. Perché il Decreto legislativo del 1946 sul referendum istituzionale e l’Assemblea costituente prevedeva proprio così: “Fino a quando non sia entrata in funzione la nuova Costituzione le attribuzioni del Capo dello Stato sono regolate dalle norme finora vigenti, in quanto applicabili” (art. 5 D.Lgs.Lgt. n. 98 del 1946). E forse non poteva fare altro, non sapendo se davvero avrebbe vinto la Repubblica e come andare a regolare i poteri del nuovo Presidente, eletto e non ereditario.
La monarchia elettiva pontificia rappresenta un unicum nella storia del Potere: quali logiche intervengono nella designazione del successore al trono di Pietro?
Le elezioni del papa per molti secoli non hanno avuto una regolazione precisa, essendo rimesse al clero e al popolo romano, per poi restringere il collegio di elezione ai cardinali. Ma un punto è molto significativo. Escludendo i papi dei primissimi anni, che indicavano il successore in una specie di adozione imperiale, fin dai primi secoli il papa viene eletto soltanto quando muore il precedente, quindi si tende ad escludere ogni ingerenza dell’uscente sull’entrante. Fenomeno molto particolare che non si verifica nelle altre forme di stato, in cui il capo uscente, sia un Re, un dittatore o un presidente eletto, cerca sempre di individuare lui stesso il successore o almeno di collaborare alla scelta. Invece, il nuovo papa si elegge sempre quando il precedente è morto, per cui poco può quest’ultimo influire, salvo forse i casi in cui si è votato con un papa uscente ancora in vita, perché dimissionario, come con Celestino V e Benedetto XVI.
Il conclave, cioè l’idea di chiudere cum clave gli elettori è stata una “invenzione” per evitare influenze e ingerenze. Un modello di elezione protetta, possiamo dire.
Quali particolarità presenta l’elezione del presidente della Repubblica nel nostro Paese?
Come ha detto uno dei più autorevoli costituzionalisti “i Costituenti affrontarono in modo schematico e superficiale il problema della trasformazione del Capo dello Stato da re di una monarchia costituzionale a presidente di una repubblica parlamentare: la differenza tra questo tipo di repubblica e la repubblica presidenziale fu sempre affermata ma mai approfondita, e l’organo che ne nacque non fu affatto l’organo tipico delle repubbliche parlamentari, bensì un organo del tutto originale, nato da compromessi fra le diverse forze politiche e che oggi solo con gran fatica l’interprete può ricondurre ad un profilo unitario” (Paolo Barile, 1958).
Come figura di compromesso è sempre stato molto difficile scegliere il gusto presidente, eletto dal parlamento in seduta comune, per bilanciare le forze politiche.
Per questa ragione, ogni elezione ha una storia a sé stante, come stiamo vedendo per quello che sarà la scelta che sarà fatta a gennaio per scegliere il successore di Mattarella….
Alfonso Celotto (Castellammare di Stabia, 1966) vive e lavora a Roma, dove insegna Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato all’Università di Roma Tre. È visiting professor della U.B.A. – Universidad de Buenos Aires; della Università di Varsavia; della UNSW – New South Wales University (Sydney) e della McGill University di Montréal. Tra i suoi libri: Il dott. Ciro Amendola, direttore della Gazzetta Ufficiale (Mondadori, 2015), La Corte costituzionale. Quando il diritto giudica la politica (il Mulino, 2018), Costituzione annotata della Repubblica italiana (Zanichelli, 2018) ed È nato prima l’uomo o la carta bollata? Storie incredibili (ma vere) di una Repubblica fondata sulla burocrazia (RaiLibri, 2020).