“L’enforcement delle regole nelle autorità indipendenti. Attività, modelli e ambienti istituzionali” di Federica Cacciatore

Dott.ssa Federica Cacciatore, Lei è autrice del libro L’enforcement delle regole nelle autorità indipendenti. Attività, modelli e ambienti istituzionali edito da Carocci: quale importanza hanno assunto nel nostro ordinamento le autorità amministrative indipendenti?
L'enforcement delle regole nelle autorità indipendenti. Attività, modelli e ambienti istituzionali, Federica CacciatoreLe autorità amministrative indipendenti in Italia hanno una storia lunga e sono caratterizzate dall’impossibilità di ricondurle entro una categoria unitaria. A partire dalla Banca d’Italia, fondata sul finire dell’Ottocento e dotata di poteri di vigilanza sugli istituti di credito negli anni Venti del secolo scorso, è negli anni Novanta che queste hanno una proliferazione senza precedenti. Nate in parte su spinta europea, in parte in risposta alle nuove sfide poste dall’apertura e dalla globalizzazione dei mercati, il loro ruolo effettivo nell’ordinamento nazionale ha subìto nel tempo delle modificazioni, ma resta principalmente quello di regolazione e garanzia di interessi specifici, sottratti al controllo diretto della politica e affidati a istituzioni indipendenti e basate sulla specializzazione tecnica. Si pensi ai servizi pubblici essenziali e ai mercati finanziari, oltre a tematiche specifiche come l’anticorruzione nella pubblica amministrazione e la tutela della privacy dei cittadini.

Le rinnovate potenzialità delle autorità amministrative indipendenti nel contesto contemporaneo si sono manifestate con vigore durante le vicende del 2020, che includono la dolorosa e complessa gestione della pandemia da Covid-19, non soltanto dal punto di vista sanitario. Si pensi alla gestione quotidiana degli effetti collaterali della pandemia e delle politiche emergenziali conseguenti: speculazioni finanziarie e creditizie, bolle informative e “infodemia”, interazioni alterate degli operatori nei mercati materiali e immateriali. Tutto ciò, mentre i governi mondiali erano impegnati a prendere le migliori decisioni di policy e a capire come realizzarle, ha richiesto uno sforzo inusuale e un impegno costante da parte delle autorità indipendenti, per contenere le ripercussioni degli shock che si sono succeduti nell’ambito dei mercati finanziari e dei servizi di pubblica utilità, affermandosi via via anche a presidio della tutela del consumatore, un settore lasciato di fatto scoperto dalle istituzioni politiche tradizionali. A ciò devono aggiungersi i processi che preesistevano alla pandemia e che le sopravvivranno, come l’ormai compiuta globalizzazione dei mercati e delle sfere d’azione pubblica, le continue modificazioni dei confini sovranazionali (la Brexit, i paesi in attesa di ingresso nell’UE, per dirne alcune) e le rinnovate guerre dei dazi fra potenze mondiali. Una sfida cruciale sarà poi quella della gestione dell’intelligenza artificiale e del suo impiego da parte degli attori pubblici, vista come una opportunità senza precedenti, ma portatrice anche di minacce e rischi che non possono essere lasciati privi di regolamentazione e controllo.

Che si tratti di autorità nazionali, sovranazionali o mondiali, la tendenza sarà quella di affidare loro sempre più la regolazione e la vigilanza di tali fenomeni complessi.

In che modo l’attività regolatoria delle autorità amministrative indipendenti viene resa effettiva?
Così come qualsiasi politica pubblica, anche le politiche regolatorie, se non vengono rese effettive, perdono di significato e costituiscono soltanto un inutile dispiego di risorse pubbliche. Ecco perché il regolatore viene dotato di poteri di enforcement, ossia di quell’insieme di prerogative, competenze e strumenti in grado di spingere i destinatari della regolazione alla sua osservanza. Il regolatore, in altri termini, ha la potestà di vincolare i regolati al rispetto delle norme, attraverso poteri di controllo, sorveglianza, ispezione e, in ultima istanza, di sanzione. Tuttavia, quest’ultima non è l’unica opzione possibile: il ripristino di una situazione di conformità e legalità viene sempre più spesso realizzato tramite forme di persuasione e, comunque, di collaborazione fra autorità e destinatari, che spesso viene definita compliance. Lungo un continuum ideale fra strumenti di coercizione e forme di collaborazione, naturalmente, si pongono moltissime configurazioni intermedie.

Le autorità indipendenti italiane, malgrado l’apparente ricorso massivo alle sanzioni amministrative pecuniarie in caso di violazione delle regole, fanno un uso sempre crescente di forme alternative di compliance, anche grazie agli stimoli provenienti dall’UE e dalle loro omologhe estere. Si pensi, solo per fare alcuni esempi, alla possibilità per le imprese regolate di presentare impegni in sostituzione della sanzione, oppure di usufruire di programmi di clemenza nella disciplina antitrust. D’altra parte, se prima le autorità indipendenti avevano come principale strumento punitivo quello della sanzione amministrativa pecuniaria, col tempo si sono arricchite anche di sanzioni accessorie di altro tipo, che colpiscano la reputazione delle compagnie inottemperanti o impediscano loro di proseguire nella loro attività illecita. Questa diversificazione degli strumenti, sia in senso persuasivo, sia in senso dissuasivo, deve tendere a rendere più efficace l’attività di enforcement, poiché in molti casi il soggetto regolato potrebbe essere disposto a pagare la sanzione pecuniaria e a proseguire nella sua attività illecita, se il beneficio derivante da quest’ultima supera il costo della sanzione.

Nel mio libro evidenzio come, almeno guardando al caso italiano, possiamo ritenere superato il tradizionale dualismo fra i modelli di enforcement basati sulla deterrenza e quelli ispirati alla compliance. Infatti, nell’ambito dello stesso sistema di enforcement possono essere presenti aspetti tipici di entrambi i modelli.

Quali sono i principali modelli delle autorità italiane?
Va detto in premessa che, dall’analisi effettuata sulle sei autorità indipendenti considerate nel mio libro, emerge l’assenza di un modello unitario, o di modelli ricorrenti all’interno delle classiche “famiglie” funzionali delle autorità (di vigilanza finanziaria, di regolazione dei servizi pubblici e così via).

L’analisi che ho condotto si prefigge in ogni caso di compiere un passo avanti nella conoscenza dei modelli di enforcement della regolazione indipendente, che vada anche oltre il contesto italiano. A questo proposito, ho preso in considerazione i due indicatori che ritengo principali, ossia l’ampiezza degli strumenti di cui le autorità dispongono, e il livello di rigidità del design istituzionale dell’enforcement. Dalla combinazione fra i due macro-indicatori relativi ad ampiezza e rigidità, emergono quattro possibili modelli: quello della deterrenza pura (bassa ampiezza degli strumenti e bassa rigidità del design); quello della deterrenza burocratizzata (bassa ampiezza e alta rigidità); quello della collaborazione e negoziazione (alta ampiezza e bassa rigidità); infine, quello della compliance istituzionalizzata (alta ampiezza e alta rigidità).

Con riferimento specifico al caso italiano, ciò che emerge è che le caratteristiche dei modelli istituzionali di enforcement variano a prescindere dalla tipologia delle autorità considerate; non è, pertanto, corretto considerare, nell’analisi delle caratteristiche del processo regolatorio (e in quella della fase di applicazione delle norme), le autorità di regolazione dei servizi pubblici una categoria unitaria e diversa da quella delle autorità di vigilanza finanziaria, e viceversa.

Lo stesso dicasi per le scelte che queste hanno effettuato in merito alle scelte organizzative sulle funzioni di enforcement: in alcuni casi, come in Agcm, si è optato per modelli verticali, dove alle singole divisioni settoriali sono affidate anche le funzioni di vigilanza e ispettive nei rispettivi settori di regolazione di competenza; altre authority, come Arera, Consob, e Ivass, hanno adottato modelli orizzontali, dove sono state attribuite a specifiche unità organizzative sia le funzioni di coordinamento delle attività ispettive sia quelle istruttorie in ambito sanzionatorio, a prescindere dal settore di regolazione; altre, come l’Agcom e la Banca d’Italia, si caratterizzano per un modello parzialmente verticale.

Quali fattori istituzionali influiscono sulla loro diversificazione e quale ruolo svolgono gli ambienti istituzionali (nazionale e sovranazionale) in cui le autorità agiscono?
Ciò che mi ha spinto nella mia analisi è stata la consapevolezza che gli studi preesistenti non hanno mai neanche provato a spiegare le cause della variabilità fra i modelli di enforcement adottati dalle autorità. Una parte consistente di questi dà per scontato che su come le autorità amministrative indipendenti svolgono le loro attività (di regolazione, di enforcement e così via) influisca la politica, intesa come istituzione delegante e principale canale di interazione. Ma non si può comprendere pienamente il fenomeno della regolazione indipendente e la sua attualità senza considerare anche il ruolo svolto dall’UE nel condizionarne scelte, dinamiche, campi d’azione e assetti istituzionali. Mentre molto è stato detto su come quest’ultima influenza la capacità regolatoria delle autorità nazionali, poco o nulla si sapeva di come e quanto questa influisca anche sulla loro capacità di enforcement, che abbiamo visto essere la prerogativa attraverso cui ogni sforzo regolatorio assume concretezza. Nel mio studio, pertanto, mi sono concentrata sui due principali ambienti istituzionali nei quali le autorità si trovano a operare, quello politico nazionale e quello sovranazionale.

Dall’analisi è quindi emerso che il design istituzionale dell’enforcement della regolazione indipendente è influenzato da più fattori istituzionali, che interagiscono a vicenda dando luogo a una pluralità di modelli. In primo luogo, incidono fattori istituzionali di tipo ambientale. Gli ambienti istituzionali in cui le autorità indipendenti si trovano ad agire hanno un impatto sulle singole dimensioni dell’enforcement, pur senza riuscire a determinare univocamente l’aderenza all’uno o all’altro modello, ma definendone specifici aspetti. In particolare, nei casi di minore indipendenza dalla politica nazionale, le autorità tendono ad adottare modelli caratterizzati da una maggiore varietà di strumenti, quasi a compensare, attraverso una maggiore discrezionalità nella scelta delle strategie di enforcement, margini più ridotti di autonomia dal potere politico. Quanto alle interazioni con gli attori sovranazionali, anche una maggiore presenza all’interno delle reti europee di enforcers risulta avere ripercussioni positive sulla varietà degli strumenti previsti, oltre che sulla rigidità degli apparati istituzionali. In secondo luogo, incidono fattori istituzionali di tipo storico-culturale, ma in questo caso la loro influenza è meno evidente ed è di tipo indiretto. Ciò significa che il tempo trascorso dall’istituzione di un’autorità ha un riflesso diretto sul grado di indipendenza strutturale, che è uno degli elementi costitutivi dell’ambiente istituzionale interno. Emerge, infatti, che più un’autorità è anziana, meno indipendenti risultano i suoi vertici dalla politica, compensando l’esigenza di autonomia attraverso altri canali (per esempio in ambito decisionale o in quello funzionale, dove ad accrescere autonomia e indipendenza contribuiscono elementi come l’esperienza e l’apprendimento).

Quale ruolo ricopre l’enforcement nel ciclo complessivo della better regulation?
Le azioni di enforcement possono determinare il successo o il fallimento della regolazione non soltanto incidendo sul raggiungimento dei suoi obiettivi. Esse possono anche incidere sulla qualità dei processi regolatori. In una prospettiva ciclica del processo di policy-making, l’enforcement costituisce un momento specifico della fase di implementazione di una politica di tipo regolatorio, il cui obiettivo è rendere effettiva ed efficace la regolazione stessa, promuovendone la compliance. Occorre considerare, in primo luogo, che nella logica della better regulation ciascuna fase del ciclo di policy è interconnessa alle precedenti e alle successive, allo scopo comune di migliorare il prodotto regolatorio. In secondo luogo, i possibili fallimenti di una politica regolatoria non riguardano soltanto difetti di formulazione oppure elementi esogeni che hanno modificato il contesto, determinando uno scollamento fra obiettivi iniziali e obiettivi attuali: essi possono essere fatti risalire anche alla fase di implementazione. Questi ultimi, a loro volta, possono essere ricondotti alla scarsa o incompleta applicazione delle regole da parte delle autorità e dei singoli funzionari, ma anche alla scarsa o scorretta compliance da parte dei destinatari della policy (i regolati).

Fatte queste considerazioni, ecco che analizzare e conoscere la capacità di enforcement di un’autorità consente di effettuare previsioni in fase di analisi ex ante riguardo ad aspetti puntuali sull’implementazione di una nuova regola, relativi alla probabilità di compliance e alla quota di risorse da destinare all’enforcement, dettagliandole sulla base dei possibili strumenti da impiegare.

Quali sfide pone a tale proposito la nuova governance UE?
In questa fase dell’evoluzione costante della governance europea, le sfide che le autorità nazionali devono affrontare sono cruciali. Si tratta senz’altro di nuove opportunità perché esse affermino ulteriormente la loro centralità nel quadro generale: si ricordi, infatti, che negli ultimi due decenni le autorità indipendenti hanno contribuito molto più che gli apparati ministeriali alla realizzazione dei principi di integrazione europea, in quanto godono di una proiezione europea e internazionale ben più marcata.

Tuttavia, esse devono essere pronte a riorganizzarsi secondo nuove distribuzioni di poteri e competenze, e a guadagnare nuove posizioni nel disegno complessivo della governance. Ciò non si applica soltanto ai loro poteri di regolazione, ma anche e, soprattutto, a quelli di enforcement. Se è vero, infatti, che in sempre più settori di regolazione europea, l’UE tende ad assumere poteri di enforcement diretto, sia ispettivi sia sanzionatori, dove invece in precedenza la tradizionale suddivisione dei ruoli vedeva le autorità europee prendere le decisioni e quelle nazionali implementarle e farle applicare – si pensi alle profonde innovazioni nell’ambito della vigilanza finanziaria, oltre alla vasta questione della disciplina antitrust –, ciò comporta una revisione complessiva delle prerogative e, di conseguenza, dell’organizzazione interna di queste ultime. Sarà allora cruciale garantire una partecipazione attiva alle arene sovranazionali di scambio di informazioni e di buone pratiche in tema di enforcement, perché le autorità indipendenti continuino a godere di quel vantaggio competitivo rispetto alle amministrazioni ministeriali, legato all’asimmetria informativa e conoscitiva che da questi scambi con l’esterno ne deriva. Sarà strategica anche la capacità di adattamento organizzativo: una risorsa fondamentale delle autorità, come a qualunque organizzazione, per garantire la propria sopravvivenza; tale capacità di adattamento dovrà essere tale da superare l’inerzia, che viene tipicamente alimentata dal radicamento della cultura amministrativa, dalle tradizioni e dalle prassi reiterate nel tempo.

Federica Cacciatore ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienza politica all’Università di Firenze, e attualmente è componente della Delivery Unit nazionale per la semplificazione amministrativa presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della Funzione pubblica. È condirettrice della Rassegna trimestrale dell’Osservatorio AIR, e ha insegnato Politiche della semplificazione amministrativa all’Università degli Studi della Tuscia. È autrice di numerose pubblicazioni in tema di politiche di regolazione e better regulation, con particolare attenzione all’implementazione e all’enforcement, in prospettiva nazionale ed europea.

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