
La questione non è affatto secondaria giacché tale processo ha influenzato in maniera significativa l’evoluzione del cristianesimo antico. È assodato d’altra parte che «fin dal secondo secolo con gli apologeti (ad esempio Giustino Martire) i pensatori cristiani avessero qualche conoscenza di filosofemi greci, mentre i discepoli e le discepole della prima ora provenivano da ambienti di pescatori e pubblicani e probabilmente neppure avevano sentito nominare Platone o in ogni caso non ne sapevano nulla di preciso.»
E quindi la domanda più scottante alla quale dare risposta è come debba intendersi tale fenomeno: «la decadenza di una religione dalle sue origini oppure come suo sviluppo essenziale e salutare?» In che modo tale processo ha influito sulla dottrina originaria? Ne ha in qualche modo adulterato le iniziali premesse o – come sostiene Walther Glawe nel suo saggio su L’ellenizzazione del cristianesimo nella storia della teologia da Lutero a oggi del 1912 – «le verità oggettive della religione di redenzione» e il «contenuto reale dei dogmi» non furono ellenizzate?
Markschies svela la natura vaga e imprecisa delle argomentazioni del principale esponente della tesi dell’ellenizzazione, Adolf von Harnack, il quale «fornì in sostanza spiegazioni poco chiare delle ragioni per cui [l’]essenza originaria del cristianesimo fosse cambiata» limitandosi a descrivere un non meglio precisato «inserirsi della grecità, dello spirito greco» sull’originaria «semplicità» evangelica nonché «nella ricezione di criteri di argomentazione razionale della filosofia greca da parte del cristianesimo e dello sviluppo di una dogmatica normata dalla chiesa».
Secondo il gesuita Friedo Ricken è stato nella «prima riunione imperiale di vescovi, che Costantino convocò a Nicea, luogo della sua residenza estiva, nel 325 d.C.» che, «dando forma alla nota parola chiave ὁμοούσιος […] il cristianesimo si è allontanato dal platonismo del tempo e di conseguenza anche da un elemento centrale dell'”ellenizzazione del cristianesimo».
Per Markschies, quello sull’«ellenizzazione» del cristianesimo, rappresenta un «dibattito problematico, anzi talvolta letteralmente ideologico»: «la nozione di “ellenizzazione” non è specificata né sul piano del contenuto né su quello cronologico ed è usata in modo piuttosto vago».
L’Autore si dichiara tuttavia a favore del «mantenimento» di tale paradigma di ricerca, pur con la necessità di «determinare con precisione quali processi antichi di trasformazione siano da indicare con questa nozione.» Si tratta dunque di «ricercare anzitutto forme di vita e pensiero specificamente ellenistiche, che hanno improntato il cristianesimo antico». Markschies propone l’esempio della «ripresa e/o la riformulazione» di termini tratti dai culti dinastici che caratterizzavano l’epoca ellenistica – come σωτὴρ ed εὐαγγέλιον –, quale «ulteriore dimensione dell’«ellenizzazione», dal momento che almeno il primo dei due termini rientra fra gli aspetti in particolar modo peculiari della religione ellenistica».
La questione, ad ogni modo, è destinata a rimanere aperta e a rappresentare una delle «grandissime questioni […] che si pongono a ogni storia del cristianesimo antico – sia che le si evitino, sia che si cerchi di fornire loro una risposta.»