“L’Egitto e la Grecia. Popoli, idee e culture nel Mediterraneo dal III millennio al IV secolo a.C.” di Alessandro Piccolo

Dott. Alessandro Piccolo, Lei è autore del libro L’Egitto e la Grecia. Popoli, idee e culture nel Mediterraneo dal III millennio al IV secolo a.C., edito da Carocci: in che modo gli antichi Egizi giocarono un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità degli antichi Greci?
L'Egitto e la Grecia. Popoli, idee e culture nel Mediterraneo dal III millennio al IV secolo a.C., Alessandro PiccoloParliamo di un fenomeno lungo svariati secoli e che si sviluppò in due direzioni. Da un lato l’antico Egitto esercitò sui Greci una profonda influenza, nel senso che il contatto fra Greci ed Egizi fu decisivo nella fioritura di tutto ciò che noi moderni siamo soliti considerare come peculiare dell’antica civiltà greca, innanzitutto la filosofia e la storiografia. L’egittologo tedesco Joachim Friedrich Quack dell’Università di Heidelberg, uno dei miei maestri, ha addirittura sostenuto che la parola greca philósophos, e cioè “amante della saggezza”, “filosofo”, potrebbe essere un calco della parola egiziana mer-rech, che appunto vuol dire “amante della saggezza”. Dall’altro, invece, il contatto tra Greci ed Egizi innescò nei primi un processo di autocoscienza: quando cominciarono a frequentare assiduamente l’Egitto nel VII secolo a.C., i Greci iniziarono a prendere atto delle loro specificità. D’altronde è solo nella dialettica con l’Altro che posso davvero conoscere me stesso, per parafrasare la celebre massima delfica.

In quali occasioni la Grecità e la Valle del Nilo ebbero opportunità di conoscersi, di amarsi e di odiarsi?
Il binomio Grecia ed Egitto fa subito ricordare Alessandro Magno e tutto quel che ne seguì: Alessandria e la sua biblioteca, il dio Serapide e ovviamente la regina Cleopatra. In realtà i rapporti fra i Greci e gli Egizi sono di gran lunga più risalenti nel tempo. Già nei Testi delle Piramidi, la più antica opera in lingua egiziana e in grafia geroglifica (2350 a.C.), compare la parola Hau-Nebut, che si riferisce agli abitanti del bacino dell’Egeo. Le civiltà egee dell’età del Bronzo, i Cretesi e i Micenei, si legarono a doppio filo all’Egitto. Si pensi per esempio alla tomba del dignitario egizio Rekhmira (XV secolo a.C.), sulle cui pareti sono raffigurati “ambasciatori” da Creta. Oppure si pensi al faraone Amenofi III (XIV secolo a.C.), che fece incidere nella pietra una lista di città disseminate tra la Grecia continentale e le isole vicine. Agli inizi dell’età del Ferro questi rapporti sembrano essersi incrinati, ma non si dissolsero completamente. Furono infatti i Fenici, gli allora dominatori dei commerci mediterranei, a gettare un ponte fra la Grecia e l’Egitto. Le relazioni dirette tra Grecia ed Egitto sarebbero riprese solo a partire dal VII secolo a.C.: la XXVI Dinastia, e in particolare il faraone Amasi, impiegò i Greci come mercenari e consentì loro di risiedere nel paese, ad esempio nella città di Naucrati. Questo trend si sarebbe addirittura intensificato con la dominazione persiana (526-332 a.C.).

Come hanno interagito la lingua greca e la lingua egiziana lungo il fluire dei millenni?
Nell’età del Bronzo gli Egei e gli Egizi comunicavano fra loro probabilmente in accadico, la lingua diplomatica del Mediterraneo orientale. Nelle tavolette micenee occorre la parola Ai-ku-pi-ti-jo, l’antenato del greco Áigyptos, “Egitto”. Questa parola deriva sicuramente dall’egiziano Hut-ka-Ptah, “la casa del ka di Ptah”, il tempio più importante della capitale egizia Menfi. È di gran lunga più probabile, tuttavia, che gli Egei l’abbiano presa in prestito dall’accadico (Ḫi-ku-up-ta-aḫ). I Fenici erano gli intermediari tra la Grecia e l’Egitto durante l’alta età del Ferro, e ciò è provato dalla coloritura cananea di alcune parole greche che rimandano al paesaggio egizio. Un esempio lampante è la parola greca Néilos, “Nilo”, che somiglia moltissimo, forse troppo, all’ebraico náḥal, “fiume”. È solo dal VII secolo a.C. che i Greci e gli Egizi avrebbero iniziato a parlarsi nelle rispettive lingue. Erodoto, ad esempio, menziona una classe di interpreti greco-egizi istituita per volere di Psammetico I, il faraone fondatore della Dinastia XXVI. Senza contare che la letteratura greca del Periodo classico è ricca di glosse egiziane. Nel Gorgia Platone mette in bocca a Socrate una battuta blasfema, e per capirla è necessario masticare un po’ di egiziano!

Che marchi lasciò l’Egitto nell’epica e nella mitologia greche dei secoli VIII-VI a.C.?
L’Iliade è ricca di rimandi alle letterature del Medio Oriente antico, in particolare dell’Egitto faraonico. Le cosiddette aristie, cioè i momenti in cui gli eroi omerici da soli seminano strage nello schieramento avversario, chiaramente riecheggiano i testi in cui i faraoni si facevano rappresentare come sterminatori degli eserciti nemici. Celeberrimo è il caso di Ramesse II alla battaglia di Qadesh (1274 a.C.). Lo stesso discorso vale per l’Odissea, la cui trama è molto simile a quella di due capolavori egiziani risalenti rispettivamente al II e al I millennio a.C.: Le avventure di Sinuhe e I viaggi di Wenamun. Anzi, il mito del cavallo di Troia è praticamente identico alla Presa di Joppa, un’operetta egiziana databile alla XVIII Dinastia (1539-1292 a.C.). Oramai sappiamo quasi tutto sui debiti di Esiodo, altro grande poeta epico della Grecia arcaica, con le antiche letterature mediorientali. Nella Grecia del tardo secolo VII a.C. si diffusero dei miti in cui sostanzialmente si diceva che l’Africa era stata la culla della civiltà ellenica. Il racconto di Io e delle Danaidi è di sicuro il prodotto più esemplificativo di questa tradizione. Ma sul perché e sul per come questa tradizione sia nata e si sia sviluppata, le opinioni degli studiosi sono divergenti.

In che modo i principali esponenti della monodia lesbia interagirono con l’Egitto?
Due dei componimenti più famosi della poetessa Saffo riprendono quasi parola per parola delle opere egiziane più antiche di circa mezzo millennio. Il primo è la cosiddetta Ode del Sublime, dove la gelosia è descritta mediante una serie di sintomi fisici che culminano in uno stato di morte apparente. Qui Saffo sembra riecheggiare un testo erotico risalente alla XX Dinastia, un testo in cui l’amore è paragonato a una malattia che paralizza chi ne è affetto. Il secondo è il cosiddetto Notturno, ove Saffo tratteggia una notte trascorsa in solitudine al chiarore della luna e delle Pleiadi. In tal caso la fonte di Saffo parrebbe essere un ostrakon letterario scoperto nel villaggio operaio di Deir el-Medina (i visitatori del Museo Egizio di Torino sanno a cosa mi riferisco). È possibile che Saffo abbia recepito queste suggestioni dal fratello Carasso, sul conto del quale le fonti dicono che era solito recarsi in Egitto per commerciare in vino. Senza contare che in un altro frammento di Saffo compare la parola ólpis, cioè la trascrizione greca della parola egiziana irep, “vino”. Per quanto riguarda Alceo, invece, la questione è complessa. Di sicuro egli fu esiliato da Lesbo in due occasioni, ed è probabile che l’Egitto lo abbia accolto almeno una volta. Questo è quel che ci dice il geografo Strabone.

In che misura la scienza ionica dei secoli VI-V a.C. ebbe una qualche attinenza con la millenaria sapienza faraonica?
La Ionia del VI secolo a.C. fu il luogo di nascita della filosofia greca. La Mileto di allora fu in particolare la patria dei cosiddetti ilozoisti, quei filosofi convinti che il principio dell’universo, l’arkhé, fosse un elemento naturale. Talete ad esempio sosteneva che il principio in questione fosse l’acqua, ma in questo egli si riallacciava a dottrine che circolavano nel Medio Oriente da almeno due millenni. Già gli Egizi credevano che il mondo avesse avuto origine da un oceano primordiale increato e ingenerato, il Nun. Allo stesso modo i popoli mesopotamici facevano risalire tutto a Tiamat, la raccapricciante dea abissale dall’aspetto di serpente. Inoltre Talete è ricordato per aver calcolato l’altezza della piramide di Cheope applicando delle conoscenze le cui primissime attestazioni ricorrono in testi cuneiformi del XVI secolo a.C. Sull’isola di Samo, un’altra perla degli Ioni, nacque Pitagora, il cui celeberrimo teorema è però attestato per la primissima volta in un papiro egiziano del Medio Regno (2080-1760 a.C.) e in una tavoletta cuneiforme del 1800 a.C. Quella ionica era insomma una scienza pienamente mediorientale.

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Quali influenze ebbe l’Egitto sull’Atene dei secoli VI-IV a.C.?
Si diceva che il legislatore ateniese Solone avesse compiuto un soggiorno in Egitto. La cosa è poco probabile per varie ragioni, ma è certo che le opere soloniane, sia in campo giuridico che letterario, hanno molte attinenze con il Medio Oriente antico. Lo storico Erodoto, pur originario dell’Asia minore, ebbe un legame privilegiato con l’Atene democratica. Egli dedicò all’Egitto un intero libro dell’opera sua, le Storie. Questo libro, anche se è stato sovente oggetto di biasimo soprattutto da parte dei classicisti, può essere davvero considerato il primo trattato di egittologia. D’altronde è grazie a Erodoto che è stato possibile far luce su parecchi aspetti della civiltà egizia, in primis la mummificazione. Per non parlare poi del teatro: i tragici e i comici dell’Atene classica guardavano spesso all’Egitto, soprattutto per dileggiarlo. Ma il più grande estimatore ateniese dell’Egitto fu senz’altro Platone. Come egli stesso dichiara nel dialogo intitolato Timeo (e come già osservava Karl Marx ne Il Capitale), la città ideale descritta nella Repubblica non è altro che una reinterpretazione greca delle ultramillenarie istituzioni faraoniche. E in effetti, se uno gioca a confrontare il contenuto della Repubblica con le fonti egiziane, scoprirà che c’è una mare di sorprese ad attenderlo.

Laureatosi all’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Alessandro Piccolo ha conseguito il PhD alla Sapienza Università di Roma con una tesi sulle comunità greche nell’Egitto della XXVI Dinastia (secoli VII-VI a.C.). Durante il dottorato ha compiuto un soggiorno formativo presso l’Università di Heidelberg. Ha pubblicato alcuni contributi scientifici su riviste di rilievo internazionale, come Aegyptus e Analecta Papyrologica. Attualmente è cultore della materia presso la cattedra di Egittologia e Civiltà Copta alla Sapienza Università di Roma.

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