
Qual è l’origine dei club calcistici come associazioni?
Semplicemente le società di calcio sono nate come club di praticanti un determinato sport, come accade ancora oggi per molte associazioni sportive. La fattispecie giuridica adottata dai club era quella dell’associazione non riconosciuta. In particolare, i club, in quanto enti associativi con scopi ricreativi, si potevano collocare nell’ambito di quelle associazioni qualificate in dottrina come mutualistiche. Con la nascita e lo sviluppo del professionismo sportivo, i club erano gestiti da un “mecenate”, personalmente responsabile per le obbligazioni sociali. Le problematiche amministrative e la mancanza di adeguate forme di controllo sull’attività gestionale delle associazioni calcistiche iniziarono ad essere palesi negli anni Sessanta, in coincidenza con la crescente importanza economica e finanziaria assunta dall’attività calcistica. L’associazione sportiva era impossibilitata a far fronte alle spese crescenti con il semplice contributo volontario dei propri aderenti e pertanto si rivolgeva al mercato, assumendo gradatamente connotati di tipo imprenditoriale. Si riscontrò quindi l’esigenza di una radicale modificazione normativa e nel 1966 si passò dalle associazioni alle società per azioni.
Quale svolta è avvenuta a partire dal “caso Bosman”?
Le conseguenze di questo provvedimento sono state notevoli non solo dal punto di vista sportivo, ma anche per quel che concerne gli aspetti legislativi ed economici del calcio.
In Italia, la sentenza ha provocato la dichiarazione di illegittima dell’indennità di preparazione e promozione per il trasferimento di un giocatore giunto a fine contratto, e del limite riguardante il numero di stranieri comunitari da schierare in campo nelle competizioni europee.
L’abolizione dell’indennità di preparazione ha creato non pochi problemi alle società che avevano iscritto in bilancio degli importi corrispondenti ai premi che pensavano di incassare, qualora il giocatore, giunto alla naturale conclusione del contratto, avesse concordato il trasferimento ad altra società. Venendo meno tale premio per effetto della sentenza citata, le società hanno visto appesantire notevolmente i propri bilanci.
Quali sono le peculiari caratteristiche aziendali del club calcistico italiano?
Analizzando i proventi delle squadre italiane militanti in Serie A emerge, innanzitutto, come negli ultimi anni la crescita generalizzata dei ricavi dei club non sia avvenuta in maniera omogenea. I sei decimi del fatturato totale della Serie A, infatti, è prodotto soltanto da cinque club, i quali sono anche quelli che sono risultati vincitori delle competizioni sportive. Osservando la composizione dei ricavi è emersa, inoltre, una peculiarità del contesto italiano rispetto alle altre nazioni europee. Nel nostro Paese, infatti, la fonte principale di ricavo è costituita dai proventi derivanti dalla cessione dei diritti televisivi, che in Italia pesano di più rispetto agli altri contesti europei, dove invece i proventi commerciali assumono un maggior rilievo. Sul piano dei ricavi i nostri club non hanno ancora iniziato la strada verso la diversificazione del business, rimanendo troppo legati alla negoziazione dei diritti televisivi.
Cosa rivela l’analisi qualitativa e quantitativa dell’attività d’impresa delle società calcistiche?
Di interesse c’è di sicuro l’analisi delle componenti negative di reddito. Sul fronte dei costi è emerso infatti come le retribuzioni dei calciatori costituiscano la principale voce di spesa delle società, ma – a differenza di quanto visto per i ricavi – osservando l’incidenza delle retribuzioni dei calciatori sul totale dei proventi non emerge una spaccatura netta tra grandi e piccole squadre. Ci sono, infatti, club di medie dimensioni oppure piccole società che registrano valori percentuali addirittura superiori a quelli dei grandi club. La struttura di costo del calcio professionistico è rimasta sostanzialmente invariata nel corso delle ultime 10 stagioni, con le spese per il personale che costituiscono oltre il 50% dei costi complessivi. La seconda voce è quella relativa ad ammortamenti e svalutazioni per i diritti alle prestazioni sportive dei calciatori, che rappresenta circa il 23% del costo della produzione.
Di quale utilità è il confronto con i club calcistici di altri paesi europei di grande tradizione calcistica, come Gran Bretagna, Spagna, Francia e Germania?
É fondamentale, perché confrontando l’Italia con le altre leghe si possono comprendere i punti di forza e di debolezza del nostro sistema rispetto a quelli stranieri. Le leghe scelte per il confronto sono quelle più rappresentative del vecchio continente.
Quali strategie sono a Suo avviso necessarie per improntare le società calcistiche a una più stringente logica di economicità?
L’indagine ha evidenziato molte difficoltà nel realizzare una gestione veramente manageriale dell’impresa calcistica, nonostante gli sforzi siano indirizzati verso una professionalizzazione sempre maggiore dei dirigenti e dei responsabili sportivi. Vi sono, in particolare, ancora grosse lacune soprattutto per quanto riguarda aspetti propriamente aziendali, quali il processo di budgeting previsionale e consuntivo e lo sfruttamento del marchio. Alcune tendenze in atto nel calcio italiano, tra le quali i nuovi progetti di gestione diretta degli stadi da parte delle società (al momento in Serie A solo quattro club dispongono di un impianto proprio), lo sviluppo nell’utilizzo di internet, l’ampliamento della gamma di servizi offerti dai club ed il passaggio dall’idea di tifoso a quella di cliente sono processi che risultano soltanto abbozzati e che sono lungi dall’essere implementati a pieno regime nella quotidiana attività gestionale condotta dalle società in parola.
La necessità di raggiungere un giusto equilibrio tra logiche sportive e manageriali impone, conseguentemente, alle società sportive professionistiche di concentrare la propria attenzione non solo sulle vicende agonistiche, ma anche su quelle concernenti gli aspetti più propriamente economico-aziendali della gestione.
In merito alla questione dello stadio, l’esperienza straniera ha dimostrato che la proprietà degli impianti sportivi consente ai club da un lato di disporre di una solida componente patrimoniale, dall’altro di creare valore tramite la gestione delle numerose attività commerciali che possono essere realizzate all’interno dell’impianto stesso.
Dall’indagine è emerso, inoltre, come negli ultimi anni, soprattutto in Inghilterra e in Germania, gli stadi siano stati costruiti ex-novo, o ristrutturati, in compartecipazione finanziaria fra club e grandi sponsor privati, i quali poi hanno dato il loro nome al nuovo impianto. Ciò ha consentito alle società di ridurre il proprio investimento nella costruzione dello stadio e di disporre di lauti proventi annuali derivanti dalla cessione del diritto sul nome dell’impianto stesso.
Mario Nicoliello, dopo aver conseguito il dottorato in Economia Aziendale, ha insegnato nelle università di Brescia, Pisa, Nuertingen e Genova. Per i tipi di Rirea ha pubblicato nel 2013 L’Economia Aziendale: origini e sviluppi contemporanei e nel 2016 Il ruolo degli organismi contabili nella disciplina del bilancio d’esercizio. Nel 2021 ha dato alle stampe, per la casa editrice Italia sul Podio, Sognando Tokyo, sui Giochi olimpici giapponesi, e Una vita in canoa, sulla slalomista Stefanie Horn, nonché L’azienda calcio in Italia: alla ricerca dell’economicità, edito da Giuffré.