“L’avvocato nel futuro” di Fulvio Gianaria e Alberto Mittone

Avv.ti Fulvio Gianaria e Alberto Mittone, Voi siete autori del libro L’avvocato nel futuro edito da Einaudi: come è cambiato il lavoro dell’avvocato?
L'avvocato nel futuro, Fulvio Gianaria, Alberto MittoneAbbiamo voluto immaginare come si presenterà nel futuro prossimo la professione dell’avvocato attingendo ai segnali di cambiamento rintracciabili nel presente ma proprio a questo fine abbiamo voluto ripercorrere a passo veloce la storia della professione per cogliere i tratti di quelle tante trasformazioni che hanno accompagnato il suo procedere.

Non sono mutazioni progressive e regolari perché la sua evoluzione è sempre stata condizionata dal contesto sociale, dal quadro istituzionale circostante dai modelli di stato nei quali veniva praticata e dalle esigenze contingenti delle varie comunità di riferimento. Per queste ragioni le previsioni scontano l’eventualità che crisi di vario segno possano incrinare la loro attendibilità. Dunque sono ipotesi lineari che possono essere in parte o in alcune realtà smentite.

Per queste ragioni abbiamo voluto partire dal tempo in cui l’avvocatura non era una professione ma un servizio che i logografi ateniesi prestavano gratuitamente ai concittadini che avevano necessità di presentarsi dinnanzi ai tribunali del popolo.

Da allora, e cioè da duemila anni fa, si va formando la figura dell’avvocato che accompagna il consolidamento degli ordinamenti giuridici e la trasformazione del diritto che si separa dalle usanze per diventare un sistema autonomo destinato a regolare i comportamenti dei consociati. Questa crescente complessità stimola la necessità di dover ricorrere a competenze specialistiche e dunque a tecnici che conoscano le leggi, che possano presenziare ai giudizi e che possano perorare affidandosi alla forza persuasiva della retorica.

Poco alla volta questa funzione di intermediazione tecnica assume veste di una professione che si diffonde e evolve con connotazioni diverse, con poteri e ambiti di libertà cangianti.

Per giungere ad epoche a noi più vicine il salto di qualità più significativo fu quello che coincise con l’arruolamento dell’avvocatura nelle file della borghesia e dunque con l’abbandono della tradizionale appartenenza nobiliare.

Da quel momento la professione accompagna i ceti produttivi e dilata il suo servizio ai bisogni della collettività.

In quali ambiti la professione forense ha visto i maggiori cambiamenti?
Si è detto che non esiste un paradigma avvocatizio caratterizzato da canoni immutabili e da forme permanenti e ciò perché esso cambia a seconda delle regole che lo adeguano alla cultura dominante, perché influenzato dagli assetti politici del momento e, ovviamente, dalla costante evoluzione del costume.

Se vogliamo cercare di identificare i settori di evoluzione più rilevanti possiamo iniziare distinguendo due ambiti distinti: i mutamenti che possiamo definire immateriali da quelli che possiamo raccogliere nelle connotazioni materiali.

Tra i primi spicca l’elemento della lingua e cioè le cangianti forme del linguaggio forense. Se nei primordi era una forma d’arte e cioè l’espressione di un talento che diventava protagonista dei riti processuali, nel corso del tempo si è trasformata in disciplina che esprime competenza tecnica e in funzione che mira a persuadere gli interlocutori.

In questo quadro la parola dell’avvocato tende ad oscillare tra l’eleganza autoreferenziale e la concretezza destinata allo scopo.

Certo è che nel corso del tempo e fino ai giorni nostri la lingua si è progressivamente depurata degli ornamenti, si è asciugata e semplificata, per mettersi al servizio di una logica razionale e dialogante. Nulla fa pensare che questo processo di semplificazione possa interrompersi e vi è da escludere che il gusto narcisistico per la parola ritorni ad essere un attrezzo di uso comune dell’avvocato.

L’altro vasto campo nel quale sono maturati i cambiamenti della vita professionale dell’avvocato sono quelli che benché appartenenti al contesto esterno del suo impegno hanno avuto ed hanno un impatto molto incisivo.

Parliamo dei mutamenti materiali che attengono ai luoghi dove si svolgono i riti processuali, i simboli della macchina giudiziaria, il senso della messa in scena giudiziaria e cioè in sostanza tutto quell’apparato simbolico destinato a fornire all’esterno i messaggi che ribadiscono l’importanza della giurisdizione. Sono mutati e stanno mutando i palazzi di giustizia e le loro decorazioni, si semplificano le scenografie, tende a normalizzarsi l’abbigliamento degli officianti, mutano i tempi e si affievolisce la solennità dei rituali. Tutto sembra convergere verso la semplificazione e verso la pragmatica soluzione delle controversie in un clima evidentemente portato a produrre maggior mitezza, maggior produzione, maggior mediazione.

Causa o conseguenza di tali tendenze, la crescente assenza del pubblico che significa anche lo svanire di quell’uditorio che alimentava il narcisismo delle parti: primi fra tutte gli avvocati. In tale quadro abbiamo cercato di registrare in quali forme sta mutando il loro ruolo e la loro vita di lavoro.

In che modo le nuove tecnologie influenzano il lavoro dell’avvocato?
Con questo argomento ci avviciniamo ad una delle questioni centrali con le quali abbiamo voluto confrontarci e dunque anche al tentativo di prefigurare le linee di tendenza che caratterizzeranno il futuro. Il tema è ampio e merita una premessa.

Abbiamo verificato e anche sperimentato in prima persona che i processi di innovazione si sono enormemente accelerati nel secolo scorso portando a cambiamenti che mai si sarebbero immaginati. È però vero che tali novità, anche se sconvolgenti, hanno interessato più che altro la velocità di gestione del lavoro. Nel lavoro dell’avvocato, come in quello di tutte le professioni e di tutti i mestieri, hanno fatto irruzione una serie di strumenti che hanno profondamente inciso sulle modalità di lavoro, basti pensare alla rivoluzione portata dalle nuove tecniche di comunicazione orale e scritta. Tutte queste innovazioni, tuttavia, hanno per lo più inciso sulla velocità del lavoro, sulla facilitazione delle relazioni e in definitiva sull’accorciamento dei tempi di lavoro, ma hanno solo relativamente influito sui contenuti dello stesso.

L’affacciarsi dell’intelligenza artificiale invece, così come il contributo di tutte le scienze che si stanno intersecando con il diritto, comporterà una profonda trasformazione della materia con la quale si è tradizionalmente confrontato l’avvocato e qui si svelano le nuove sfide alla quale la professione verrà chiamata.

Muteranno i processi formativi, si allargherà il campo delle competenze con il necessario corollario di una crescente divisione del lavoro e la conseguente necessità di sapere gestire lavori di squadra un tempo non indispensabili.

Per restare protagonista della materia che tratta sarà richiesta al professionista la capacità di governare i contributi interdisciplinari sempre più utili a gestire la complessità del servizio che gli viene richiesto.

Se abbiamo ben presenti gli sforzi spesso solitari dell’avvocato tradizionale è ancora incerto il modo in cui dovrà confrontarsi con le materie nuove. Abbiamo voluto citare Toffler quando ha scritto che di fronte ad innovazioni così radicali “non ci occorre né una cieca accettazione né una cieca resistenza, ma tutta una serie di strategie creative per forgiare, deviare, accelerare o decelerare selettivamente il mutamento”.

Quali prospettive, dunque, per gli avvocati del futuro?
Difficile sintetizzare ciò che è incerto e che nel libro abbiamo cercato di intuire, ma alcune considerazioni si possono fare.

Innanzitutto muterà irrimediabilmente il ruolo sociale dell’avvocato che perderà lo status di notabile privilegiato per allinearsi alla schiera dei fornitori di servizi che competeranno in un mercato sempre più esigente.

Tenderanno a tramontare le rendite di posizione frutto di collocamento sociale pregresso e si accentuerà la necessità di non allentare l’attenzione nei confronti delle sempre nuove metodiche di lavoro.

In secondo luogo l’ambito delle competenze che gli verranno richieste si amplierà in quanto dovrà necessariamente avventurarsi in campi diversi da quelli tradizionali del diritto. Quantomeno per potersi confrontare con i portatori di saperi diversi.

Ma dovrà anche sapersi preparare al mutamento dei canoni che presidiano la giurisdizione, dovrà rielaborare la ben nota capacità strategica alla luce di quegli strumenti predittivi che consentiranno di immaginare lo svolgersi e l’esito dei contenziosi.

Non sarà più l’atmosfera novecentesca ad accompagnare le giornate di lavoro degli avvocati che verranno, e cioè quella che ben conosciamo occupata dal fluire delle parole e dalla fatica sulle carte.

D’altro canto con le liberalizzazioni che aggrediranno i privilegi di un tempo, si dilateranno gli accessi, si accentuerà la concorrenza e si imporrà sempre di più per tutti il confronto con la logica di impresa. Può dispiacere e può risultare ansiogeno ma sembra un destino inevitabile.

Tanti sono gli scenari, anche di dettaglio, che si possono immaginare.

A fianco della cultura del contenzioso si svilupperanno nuove funzioni basate su modelli più collaborativi che spesso privilegeranno la risoluzione dei conflitti al tavolo dei giudici più che nelle aule dei tribunali. Risulterà probabilmente ridimensionata l’impronta del penalista che dovrà rinunciare al protagonismo talvolta scapigliato ereditato dal passato per adeguarsi alla crescita della “giurisdizione mite” e cioè ad una giustizia non urlata ma attutita e meditata.

Anche lo studio legale e dunque la confortevole nicchia del professionista di un tempo perderà la sua centralità perché la digitalizzazione delle mansioni favorirà il lavoro a distanza o comunque la sua delocalizzazione.

L’assetto protetto del lavoro di un tempo verrà disarticolato da una pluralità di funzioni che lo circonderanno, prevarrà la flessibilità degli orari e diminuirà probabilmente il turismo giudiziario. Per i più diminuirà probabilmente la redditività dei ricavi ma aumenterà forse il tempo libero.

Nel panorama complessivo della professione si accentueranno forse la diseguaglianza ma non tramonterà la componente etica del lavoro che ne assicura la sopravvivenza.

Tutto questo futuro è ancora da scrivere o lo scriveranno i giovani che verranno superando la diffidenza degli anziani e la resistenza dei privilegiati.

Fulvio Gianaria e Alberto Mittone vivono e lavorano a Torino dove svolgono l’attività di penalista in forma di studio associato dal 1978. Insieme hanno pubblicato, tra l’altro, Dalla parte dell’inquisito (Il Mulino, 1987) e, per Einaudi, Giudici e telecamere (1994), l’Avvocato necessario (2007) e Culture alla sbarra (2014). Loro articoli e saggi sono apparsi su La Stampa, Il Sole 24ore, La Repubblica, Micromega, Questione Giudiziaria. Hanno svolto attività associativa nel Consiglio dell’Ordine e nella Camera Penale di Torino.

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