“L’autore si spiega” di José Saramago

L'autore si spiega, José SaramagoSi intitola L’autore si spiega, il libro di José Saramago, edito da Feltrinelli, che ne costituisce l’autobiografia letteraria e riunisce Dalla statua alla pietra, la trascrizione – rivista dallo scrittore portoghese – dell’intervento tenuto al convegno a lui dedicato, nell’aprile del 1998, all’Università di Torino, e i Discorsi pronunciati da Saramago a Stoccolma in occasione della consegna, nel dicembre dello stesso anno, del premio Nobel per la letteratura.

Scrivendo sempre in prima persona, Saramago, in queste pagine, vince il dichiarato desiderio di limitarsi «a una muta contemplazione» della sua opera, come «davanti a un’opera finita, per la consapevolezza […] che, in qualche modo, nei campi dell’arte e della letteratura si abbia a che fare con quello cui diamo il nome di ineffabile». Lo scrittore portoghese, che si definisce «una persona essenzialmente razionalista, qualcuno cioè che tenta di far governare la propria vita dalla ragione», svela i dettagli inediti del suo intero percorso letterario.

La svolta la imprime con la pubblicazione del libro Il vangelo secondo Gesù Cristo, «il più polemico che ho scritto e quello che più conseguenze di ogni tipo ha causato non solo nella mia vita di scrittore ma anche nella mia vita personale», determinandone il trasferimento da Lisbona a Lanzarote, in Spagna: «un libro che non era nei miei progetti», tanto più che «sul figlio di Giuseppe e Maria si è detto di tutto, quindi non ci sarebbe stato bisogno di un libro in più, e tanto meno di un libro scritto da un ateo come me».

A partire dal Vangelo secondo Gesù Cristo, ebbe infatti inizio un altro periodo della sua vita di scrittore: «Non parlo di qualità, parlo di prospettiva. È come se dal Manuale di pittura e calligrafia a Il vangelo secondo Gesù Cristo, per quattordici anni, mi fossi dedicato a descrivere una statua. Che cos’è la statua? La statua è la superficie della pietra, il risultato di togliere pietra dalla pietra. Descrivere la statua, il viso, il gesto, i panneggi, la figura, significa descrivere l’esterno della pietra, e quella descrizione, metaforicamente, è ciò che ritroviamo nei romanzi a cui ho fatto riferimento finora. Quando terminai Il vangelo non sapevo ancora che fino ad allora avevo continuato a descrivere statue. Ho dovuto capire il mondo nuovo che mi si presentava nel momento in cui abbandonavo la superficie della pietra e passavo al suo interno, e questo avvenne con Cecità. […]

Cecità è la storia, appunto, di una cecità fulminante che attacca gli abitanti di una città. Poteva trattarsi di un’epidemia, di una calamità, questo non è spiegato nel libro né importa, si dice solo che la gente perde la vista. Le conseguenze di una cecità con queste caratteristiche sono ovvie in un mondo che, fondamentalmente, è organizzato da e per il senso della vista: tutte le catastrofi immaginabili, e altre che neanche vogliamo immaginare, finirebbero per travolgere la vita non solo a livello materiale, ma distruggerebbero anche dal giorno alla notte tutti i valori di consenso sociale, tutte le regole, tutte le norme. L’uomo si trasformerebbe definitivamente in un lupo per l’uomo stesso. Ma l’autore crede che siamo già ciechi pur avendo gli occhi, e non c’è bisogno che arrivi un’epidemia di cecità per appestare l’umanità. Può darsi che i nostri occhi vedano, ma la nostra ragione è cieca. […] Il libro non si occupa più della descrizione della statua, è un tentativo di penetrare nell’interno della pietra, nel più profondo di noi stessi, è un tentativo di domandarci che cosa e chi siamo noi. E a che scopo. Una risposta probabilmente non c’è e, se ci fosse, non sarei certo io la persona in grado di offrirla. In fondo, quello che il libro vuole esprimere è molto semplice: se siamo così, che ciascuno di noi si domandi il perché.»

Il personaggio centrale della storia è una donna: «La figura femminile che è la moglie del medico rappresenta un chiaro esempio con cui si spiega l’assenza di strategie letterarie nel mio lavoro. All’inizio del romanzo compare un medico oculista che, proprio perché è diventato cieco, sarà portato in un posto dove il governo, nel tentativo di evitare la diffusione della malattia, intende confinare le persone che via via vengono contagiate. La donna, che accompagna il marito all’ambulanza, ci sale anche lei. Quando l’autista le chiede di scendere, lei, mentendo, risponde di avere appena perso la vista. Non è cieca, ma seguirà il marito, e questo è un primo passo per la definizione della sua personalità. Quella donna non diventerà mai cieca, anche se nel momento in cui è salita sull’ambulanza io non lo sapevo… Poteva darsi che lo diventasse nel capitolo seguente, ma all’improvviso, mentre ci stavo lavorando, capii che quel personaggio, la donna, non poteva diventare cieca, perché era stata capace di compassione, di amore, di rispetto, di conservare un sentimento di profonda dignità nel suo rapporto con gli altri, perché, riconoscendo la debolezza dell’essere umano, ha saputo comprendere. E così è nato l’unico personaggio che non perde la vista in questo mondo di ciechi.»

L’«ambizione di fare della letteratura vita» unita all’esigenza di eternare attraverso il ricordo esseri altrimenti condannati all’oblio, emerge più volte nei testi qui raccolti; è il ricordo dei nonni materni, allevatori di maiali poverissimi e analfabeti ma felici, ad alimentare sin dall’inizio la sua vena letteraria: «questo nipote» – afferma Saramago – «quando scrive dei suoi nonni impedisce che muoiano definitivamente. Credo che comprendere questo significhi progredire nel cammino che conduce all’interno della pietra, dove mio nonno è sempre stato senza che io lo sapessi. E credo sia questo il motivo per cui scrivo.»

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