
Si tratta infatti di una pratica che attraversa i secoli e che esiste ovunque in Europa, a volte consiste nella totale assenza di un nome, altre volte nell’uso di uno pseudonimo. Basti pensare al caso, recentissimo, di Elena Ferrante, autrice del best seller L’amica geniale, sulla cui misteriosa identità i critici letterari hanno fatto numerose ipotesi, sempre smentite dalle persone via via individuate. Il silenzio d’autore non è certo solo una prerogativa del Settecento o della produzione libraria italiana. Sarebbe di grande interesse analizzare l’uso dell’anonimato nel lungo periodo, a partire dall’affermazione della stampa in Europa, fino ad oggi, ma mancano ancora studi e attenzioni bibliografiche che consentano di muoversi in una prospettiva comparativa e su un ampio arco cronologico.
Nel mio libro ho scelto un ambito spaziale e temporale più delimitato, il Settecento italiano, perché numerose sono le trasformazioni nel secolo dei Lumi per quanto riguarda il risveglio della circolazione dei libri e l’estensione delle possibilità di accedere alla lettura. Ho voluto dare qualche indicazione di metodo e analizzare alcuni casi di autori che scelgono l’anonimato e di alcuni generi editoriali in cui il ricorso all’anonimato è ampio (il romanzo, i libri di viaggio e più in generale i libri di larga circolazione), ma per comprendere quanto è diffuso il fenomeno dell’anonimato in Italia sarebbe necessario un progetto di ricerca ampio, che metta insieme ricercatori dalle competenze diverse: storici, letterati, bibliografi, storici della scienza e filosofi. Gli ambiti disciplinari in cui gli autori si nascondono dietro all’anonimato sono infatti diversi, e le motivazioni, non sempre sondabili, sono innumerevoli.
Quando e come si afferma la tendenza a far circolare le proprie opere in forma anonima?
Il fenomeno è sempre esistito, anche prima dell’introduzione della stampa a caratteri mobili. Molti manoscritti, soprattutto quelli di tipo popolare, circolavano senza alcuna indicazione del nome dell’autore. L’affermazione del libro a stampa in Europa porta con sé, gradualmente, l’affermazione dell’autore: via via che si consolida il frontespizio, in cui si concentrano i dati fondamentali del libro, si assiste sempre più all’indicazione del nome dell’autore associato al titolo dell’opera, ma questo non significa che per ambiti importanti dell’editoria non si preferisse ricorrere all’anonimato. E anche quando si afferma il diritto d’autore (a partire dal Settecento), non c’è nessun rapporto di causa-effetto tra il riconoscimento della proprietà letteraria o la sua mancanza, e la presenza o l’assenza del nome dell’autore. Possiamo infatti individuare casi di autori che non detengono il copyright sulle loro opere ma il cui nome è sul frontespizio, o casi di autori che, pur avendo il copyright, preferiscono rimanere sconosciuti, e questo anche nel XIX e XX secolo. O ancora possiamo avere testi che per le loro caratteristiche (testi popolari, preghiere, ricette di varia natura) non hanno necessariamente bisogno di un autore perché la loro autorialità è data dal fatto stesso di farsi libro, avere un mercato, incontrare uno o più lettori. In altri termini, non sempre l’autorialità è rinviabile al creatore di un testo originale, ma può essere «un’istanza» insita nel testo stesso. Inoltre l’anonimato può essere letto non solo come assenza ma anche come una sorta di mascheramento. Non c’è infatti sempre opposizione tra identità e anonimato, ma piuttosto un gioco di posizioni, dal momento che anche testi senza nome producono la proiezione di una presenza (ad esempio, in alcuni resoconti di viaggio, l’autore anonimo parla della sua “personale” esperienza).
Quali ragioni presiedevano alla scelta dell’anonimato nel corso del Settecento?
Le motivazioni della scelta di pubblicare anonimamente sono numerose e non è facile individuarle. Ci ha provato un autore francese, Adrien Baillet, che nel 1690 distingue quattordici possibili ragioni per decidere di editare un libro senza il proprio nome o con uno pseudonimo. Tra queste sono contemplati i casi più diversi: la prudenza per timore della censura, l’imbarazzo di avere un nome ridicolo, o ancora la vergogna di pubblicare un’opera indegna dello status dell’autore, la modestia, il timore di ricevere critiche personali, o il semplice divertissement. Per i religiosi di qualunque ordine e grado spesso l’omissione del nome è una scelta di tipo etico: in particolar modo se si misurano con opere letterarie, l’anonimato è un modo per tenersi lontani da quella che può essere giudicata una forma di superbo esibizionismo alla ricerca della fama. In altri casi il silenzio d’autore è una scelta obbligata per non incorrere nelle critiche severe dell’Ordine religioso di appartenenza.
Nel complesso, l’anonimato non è legato esclusivamente a una logica di controllo, non riguarda cioè soltanto i generi su cui pesa il giudizio di immoralità o di irreligiosità della censura ecclesiastica, ma riguarda anche i generi di larga circolazione, non tanto per timore della censura (spesso si trattava di libri perfettamente leciti), ma soprattutto perché scrivere libri di basso profilo culturale poteva nuocere al buon nome dell’autore: meglio dunque rifugiarsi nell’anonimato. È così per gli almanacchi, per i testi per la prima alfabetizzazione, per i libri di antichi saperi pratici legati ai mestieri, e in generale per i libri di scarsa cura tipografica. Ed è così anche per alcuni generi di successo, come i romanzi, osteggiati dai letterati tradizionalisti e dalla censura ecclesiastica.
Ci sono poi casi di grandi autori, celebrati da tutte le storie delle letterature, che per motivi diversi hanno scelto, per alcune opere, di non far trapelare il proprio nome, almeno non sul frontespizio, ma solo nei circuiti colti delle accademie e dei salotti letterari.
Qual era lo stato dell’editoria europea e italiana nel Settecento?
L’editoria e il mercato del libro nel corso del Settecento conoscono trasformazioni importanti, sia per quanto riguarda l’aumento e la diversificazione nella produzione di libri e giornali, sia per quanto riguarda l’allargamento delle occasioni di accedere alla lettura, nei luoghi della nuova sociabilità (caffé, società letterarie, gabinetti di lettura) e nelle biblioteche, sempre più numerose. L’aumento dei tassi di alfabetizzazione rende possibile l’accesso al libro, se non al suo acquisto, almeno alla lettura, ad un numero più ampio di persone. A darci un riscontro su una presenza più diffuso del libro sono anche le rappresentazioni iconografiche: sempre più frequenti sono, nel corso del Settecento, le immagini dei lettori e delle lettrici che la pittura ci restituisce; in particolare colpiscono i quadri che ritraggono le lettrici in momenti intimi, abbandonate, su una poltrona o su un letto, in una lettura silenziosa e solitaria. Ne sono esempi famosi le lettrici di Chardin, Greuze, Fragonard, Liotard, Reynolds, quadri che in alcuni casi furono riprodotti in incisioni e stampe per un mercato più esteso e accessibile rispetto alle tele, contribuendo a diffondere l’immagine che la lettura fosse ormai una pratica diffusa a tutti i livelli sociali. Numerosi quadri ritraggono infatti non solo ambienti aristocratici e borghesi, ma anche ambienti umili, maschili e femminili, e offrono un punto di osservazione che spesso le fonti letterarie non consentono.
Anche negli Stati italiani del Settecento si riscontrano notevoli cambiamenti: l’affermazione, in alcuni Stati, di una censura laica svincolata da quella ecclesiastica ebbe effetti significativi sulla produzione editoriale, sulla circolazione del libro e sull’allargamento del pubblico dei lettori, come si può dedurre dall’ampiezza delle proposte che i librai-editori esprimono attraverso i loro cataloghi, ricchi non solo di libri stampati in Italia, ma di tutte le novità d’oltralpe, compresi i generi proibiti, filosofici e letterari.
Chi furono i principali autori che scelsero di far circolare le proprie opere in forma anonima?
Sono numerosissimi gli autori che scelgono per alcune loro opere l’anonimato. Ne sono un esempio quei libri che nel linguaggio degli editori del Settecento erano definiti, per semplificazione, livres philosophiques e che invasero la Francia prerivoluzionaria e si diffusero in tutta Europa. Come ha mostrato Robert Darnton, in questo corpus di libri proibiti e anonimi non c’erano soltanto i trattati filosofici tout court (di Diderot., D’Alembert, Linguet, Voltaire, Rousseau, Helvétius), ma un insieme diversificato di generi che vanno dalla cronaca scandalosa, antinobiliare e anticlericale, fino ai romanzi, in tutte le loro varianti, includendo anche quelli pornografici. Ma tra gli autori che scelgono l’anonimato ci sono anche autori di opere lecite.
Il caso più significativo, per l’Italia del Settecento, è quello di Giuseppe Parini, i cui due poemetti, il Mattino e il Mezzogiorno, uscirono anonimi rispettivamente nel 1763 e nel 1765. Subito dopo le edizioni d’autore, gli stampatori di diverse città, e in particolare di Venezia, fecero a gara per appropriarsi di quei testi, facendo proliferare ristampe separate dei due poemetti, senza chiedere il consenso all’autore. Del resto, in assenza di una legge sulla proprietà letteraria, il rischio di vedere le proprie opere contraffatte in altri Stati era molto alto. E gli autori sapevano che potevano fare ben poco. Ma per Parini la situazione è ancora più complessa. Non solo fu vittima dell’«ingordigia» degli stampatori, come egli stesso ammetteva amareggiato, ma fu anche vittima di un’appropriazione indebita, su cui non si espresse mai: i suoi due poemetti furono continuati per mano di un altro autore, l’avvocato veronese, Giovanni Battista Mutinelli, che approfittò del fatto che i lettori aspettavano la Sera, come Parini stesso aveva promesso sin dalla dedica alla Moda che precede il Mattino. L’abate milanese non solo permise, senza fiatare, che gli stampatori continuassero a lucrare alle sue spalle con le riedizioni del Mattino e del Mezzogiorno, ma anche che a questi fosse aggiunta la Sera del Mutinelli, mantenendo l’anonimato per tutti e tre i poemetti, con continuità nella paginazione, come se fossero un’opera unitaria frutto della stessa penna. Le edizioni dal titolo Il Mattino, Il Mezzogiorno e La Sera. Poemetti tre furono numerose, ma nessuno studio critico-letterario le ha mai prese in considerazione.
L’anonimato, soprattutto quando non ci sono dubbi sull’attribuzione di un’opera (e sull’attribuzione del Mattino e del Mezzogiorno non ci sono mai stati dubbi), è un tema che le storie della letteratura non affrontano. L’assenza del nome dal frontespizio non è considerata di per sé un dato rilevante. Quello che conta è l’associazione tra quel testo e un nome cui attribuire la responsabilità intellettuale, indipendentemente dalla materialità dell’edizione. Si ha l’impressione, a leggere la sicurezza dei dati bibliografici che ci restituiscono le storie letterarie, che il vincolo tra l’autore e l’opera fosse stato solido sin dalla princeps. Ma spesso non è così: prima che quell’opera riportasse sul frontespizio il nome dell’autore passarono anni e in alcuni casi si dovette aspettare la sua morte. Ed è così per Parini, il cui nome compare sull’edizione del Giorno solo dopo la sua morte.
Lodovica Braida insegna Storia della stampa e dell’editoria presso l’Università degli Studi di Milano. È presidente di APICE, della stessa Università di Milano, un centro che conserva e valorizza archivi di editori e autori italiani. Tra le sue pubblicazioni: Il commercio delle idee. Editoria e circolazione del libro nella Torino del Settecento (Olschki 1995); Libri per tutti. Generi editoriali di larga circolazione tra antico regime ed età contemporanea (con M. Infelise, Utet 2010); Il Libro. Editoria e pratiche di lettura nel Settecento (con S. Tatti, Edizioni di Storia e Letteratura 2016). Per Laterza, Stampa e cultura in Europa tra XV e XVI secolo (2000), Libri di lettere. Le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e ‘buon volgare’ (2009), L’autore assente. L’anonimato nell’editoria italiana del Settecento (2019).