“L’attimo fuggente. Giovani e voto in Italia, tra continuità e cambiamento” di Dario Tuorto

L'attimo fuggente. Giovani e voto in Italia, tra continuità e cambiamento, Dario TuortoProf. Dario Tuorto, Lei è autore del libro L’attimo fuggente. Giovani e voto in Italia, tra continuità e cambiamento edito dal Mulino: qual è lo stato della partecipazione elettorale tra i giovani?
La partecipazione al voto non è l’unica forma attraverso cui si esprime il protagonismo civico-politico dei cittadini, dei giovani in particolare. Resta, tuttavia, un indicatore decisivo del funzionamento della vita democratica così come del rapporto tra cittadini e istituzioni.
L’evoluzione della partecipazione elettorale dei giovani va analizzata facendo ricorso a più piani di lettura. Se si legge il dato italiano in relazione a quelli di altri paesi occidentali, possiamo notare una minore drammaticità dell’astensionismo in generale, e dell’astensionismo giovanile in particolare. I giovani italiani vanno a votare, almeno alle elezioni politiche, più dei giovani di molti altri contesti nazionali, e anche il rapporto tra partecipazione giovanile e adulta è meno sfavorevole. Non è possibile ricondurre al comportamento dei giovani di oggi la crescita del non voto in Italia. Si può notare, piuttosto, come sia stata soprattutto la fascia degli over 60 ad avere registrato performance più negative.

Detto ciò, esiste anche un’altra lettura possibile del fenomeno, questa volta di breve periodo. Sebbene ancora partecipativo, il contesto italiano ha visto nell’ultimo decennio un calo rilevante della presenza giovanile alle urne. Pur in attesa di conferme basate su dati più recenti, si può sostenere che la partecipazione elettorale dei giovani in Italia sia giunta a un punto di svolta critica. La crescita della disaffezione giovanile nel nostro paese si è alimentata non solo degli effetti delle due crisi combinate – economica e politica – ma anche dallo svuotamento dei contesti di socializzazione politica tradizionali (famiglia, partiti), sostituiti da contesti leggeri (mediatici), poco vincolanti anche rispetto al voto.
Infine, rispetto alla partecipazione elettorale giovanile vanno richiamati almeno due elementi di riflessione importanti. Il primo è che, a differenza di quanto avviene nelle fasce di età anziane, a votare sono più le giovani donne che i giovani uomini. Il secondo è che la crisi della partecipazione interessa più i giovani adulti (nella fascia di età tra 25 e 30 anni) che i giovanissimi. Entrambe questi risultati segnalati dalla ricerca richiamano questioni più ampie che riguardano la struttura socioeconomica del nostro paese, il rapporto tra gruppi di potere e categorie più o meno marginali.

Quali sono le dinamiche e i fattori che influenzano le scelte di voto dei giovani?
Il processo di costruzione delle scelte politiche dei giovani non è radicalmente diverso da quello degli adulti. Risultano, però, più fortemente orientati nelle loro scelte dalle figure carismatiche (i leader) e meno dai contenuti veicolati attraverso i programmi dei partiti. Va detto che questi contenuti attirano poco perché solo occasionalmente fanno riferimento ai giovani, propongono o sostengono tematiche a cui i giovani sono sensibili. Altro elemento da tenere presente è che le scelte di voto dei giovani, soprattutto all’inizio della carriera elettorale, non possono basarsi sul voto retrospettivo, cioè sulla storia precedente che funziona come orientamento più o meno stabile delle scelte. In buona sostanza, i giovani non sono ancora strutturati né rispetto alla partecipazione né rispetto alla scelta di voto. Questa tratto ineludibile diventa problematico in una fase generale di declino delle appartenenze ideologiche, di affiliazione nelle grandi organizzazioni e, anche, di centralità della politica nella vita dei cittadini. L’effetto è che le decisioni di voto, soprattutto per i giovani, diventano più esposte a volatilità, incertezza, a fattori di breve periodo che rendono difficile fare previsioni e fidelizzare i comportamenti.

Come ho accennato, per comprendere le scelte dei giovani in politica è importante considerare il ruolo dei leader. I leader incarnano la novità e possono rappresentare la rottura o l’interruzione di dinamiche che rendono la politica deludente, insoddisfacente o anche corrotta. In questo senso, il leader è una risposta alla crisi della partecipazione e delle organizzazioni tradizionali. E per tutte queste ragioni il richiamo al leader può essere un fattore potenzialmente decisivo di attivazione e scelta proprio tra i giovani che dispongono di meno risorse politiche e sono meno vincolati nelle loro decisioni da appartenenze pregresse. Va sottolineato, però, che dalla politica ufficiale dovrebbero emergere nuovi leader, in larga parte diversi da quelli attuali, figure che possano essere permeabili ai giovani, con cui i giovani possano identificarsi, di cui possano fidarsi, che sappiano rispondere al dilagare dello scetticismo senza proporre scorciatoie paternaliste o di mera critica anti-sistema.

Quali sono i temi programmatici ritenuti chiave dai giovani?
Nelle ultime elezioni, come è prevedibile, hanno assunto rilevanza i temi economici, la precarietà, il difficile inserimento nel mercato del lavoro. Un discorso che si può fare rispetto ai temi è come i giovani si differenziano tra loro politicamente a seconda della posizione che assumono su alcune questioni chiave. Le ricerche effettuate sul tema ci dicono che alcuni cambiamenti importanti sono avvenuti. Ad esempio, sappiamo che la posizione lungo un asse che potremmo definire economico aiuta poco a strutturare le scelte dell’elettorato giovanile. In modo particolare, la probabilità dei giovani di sostenere il centro-sinistra non sembra dipendere più dagli orientamenti espressi a favore dell’intervento dello Stato in economia, mentre i giovani che votano centro-destra sono più nettamente a favore di posizioni liberiste. Siamo in presenza, in questo caso, di un segnale di trasformazione importante, che contribuisce a ridefinire le categorie di pubblico e privato ma anche di sinistra-destra. Al contrario, la divisione ideologica resta più solida lungo l’asse culturale, quello, per intenderci, con cui si misura l’atteggiamento verso le minoranze, gli immigrati, l’omosessualità: man mano che si passa da posizioni libertarie sui temi a posizioni più autoritarie, diminuiscono i voti per il centro-sinistra e aumentano quelli per il centro-destra.

Queste riflessioni, dal 2013, devono fare i conti con la presenza del Movimento 5 stelle. Tale partito, che ha intercettato una quota importante del voto giovanile, si è in larga parte sottratto alla collocazione lungo i due assi, assumendo posizioni ambigue, per certi versi radicaleggianti sui temi, per altri versi fortemente conservatrici. Durante la crisi il M5S è stato, non solo per i giovani, un’alternativa anti-establishment, una nuova opzione politica per l’elettorato giovanile insoddisfatto delle proprie condizioni economiche, della posizione raggiunta nella società. Il M5s si propone di attivare – ed è parzialmente riuscito a farlo – fattori di divisione nuovi, ad esempio quello generazionale (o più in generale la contrapposizione fondata sulle categorie di “giovane” e “vecchio”), che si innestano sui temi più generali della critica alla politica, del cattivo funzionamento delle istituzioni e delle ingiustizie o disuguaglianze che tali dinamiche producono. A tale proposito va ricordato, però, che il rapporto complesso tra rappresentanza e rappresentati non può trovare una soluzione nel semplice ringiovanimento della classe politica. Allo stesso modo, non funziona una proposta politica in cui il richiamo ai giovani è meramente strumentale a un’idea di cambiamento elaborata da altri e all’esterno del mondo giovanile. Prima ancora di scegliere da chi farsi rappresentare, i giovani devono riconnettersi con la politica sperimentando modalità diverse di interazione con i partiti. Questo comporta, in primo luogo, ridefinire le condizioni dell’accesso. La partecipazione, da attivisti come da semplici cittadini, non può avvenire all’interno di contenitori vuoti e secondo logiche esclusivamente procedurali o cooptative, ma deve riuscire a produrre effetti reali favorendo processi autonomi, nei luoghi, sui temi e con le modalità più prossimi ai giovani.

Come sono cambiati il loro orientamento ideologico e le loro preferenze partitiche nel corso del tempo e in relazione alle altre classi d’età?
Il voto dei giovani e il loro orientamento ideologico sono cambiati radicalmente tra la prima e la seconda repubblica. Già durante la prima repubblica i comportamenti elettorali giovanili avevano registrato fortissime discontinuità. Sino agli anni ’50-‘60 si era avuta una fortissima dominanza della Democrazia cristiana (e del Pci solo tra i giovani lavoratori maschi). A partire dalla fine degli anni ’60 e per un decennio, i cambiamenti socioculturali che portarono alla stagione dei movimenti cominciarono a produrre effetti nelle urne. I giovani divennero i protagonisti del cambiamento elettorale trainando lo spostamento a sinistra. È in questi anni che si produsse una netta divaricazione nei comportamenti di voto dei giovani e degli adulti, sino al punto di far apparire credibile lo scenario del sorpasso del Pci sulla Dc. È sempre nel lungo post-Sessantotto che si assistette a un insieme di fenomeni nuovi, dall’emergere del voto femminile a sinistra (le donne erano state a lungo massicciamente orientate su posizioni conservatrici) al voto di contestazione per i nuovi partiti (di estrema sinistra, Radicali, Verdi) sino al non voto dei giovani precari radicalizzati.

Se gli anni Settanta furono segnati dalla spinta a sinistra e da un’estremizzazione del voto giovanile nel decennio successivo questi elementi vennero progressivamente meno. La Dc e anche il Pci cominciarono a perdere legittimità come uniche opzioni di voto e si andava strutturando un quadro favorevole alla mobilità elettorale e al pluralismo delle scelte. Il voto dei giovani perse connotazioni chiare, si polverizzò. Accanto al voto di sinistra si fece spazio un voto laico, trasversale alle divisioni ideologiche.

Dopo anni di spinta a sinistra e una fase di stallo corrispondente alla crisi di sistema dei primi anni Novanta, con il passaggio alla Seconda Repubblica il voto dei giovani si è orientato decisamente verso le formazioni del centro-destra, ma con connotazioni assai differenti negli anni: nella forma del supporto a Berlusconi nel 1994, poi con il voto per la destra post-missina nel 1996, successivamente tornando a concentrarsi su Forza Italia. Solo in poche elezioni (ad esempio, nel 2006) il centro-sinistra è riuscito ad annullare il suo ritardo tra i giovani. Negli anni recenti, il dato più eclatante è stato il successo del Movimento 5 stelle tra i giovani. L’irruzione sulla scena di questo nuovo partito ha reso palesi le difficoltà delle formazioni tradizionali di fronteggiare l’ondata di malcontento contro la politica e la fase prolungata di crisi economica. Tra i giovani, che iniziano la loro carriera di cittadini influenzati da questo clima depressivo e scoraggiante, lo scetticismo si è saldato con l’aspettativa di cambiamento del sistema, la disaffezione e il disimpegno con un orientamento di apertura parziale verso partiti e leader percepiti come diversi e di rottura.

Per sintetizzare, nella Prima repubblica i giovani avevano anticipato tendenze generali come il voto conformista per la Dc, la socializzazione politica di rottura attraverso il voto al Pci e poi la fuga degli elettori dai partiti di massa. Nella Seconda Repubblica è riemersa la questione del voto giovanile, ma in una fase di (post) crisi e nuovo scetticismo politico. La differenza con il passato sta nell’irrilevanza dei giovani dei nostri anni, il cui peso numerico è minore rispetto agli anni ’70, quando venivano indicati come possibili protagonisti della trasformazione elettorale.

Se guardiamo al voto giovanile in relazione a quello della altre classi di età, si può osservare come il voto nella Prima Repubblica sia stato monopolizzato per lungo tempo dalla contrapposizione tra i due partiti principali e la competizione si sia giocata in larga parte sul voto giovanile. Tra i giovani il Pci è stato il partito principale negli anni Settanta e all’inizio degli anni Ottanta, per poi mostrare maggiore debolezza a fine periodo. Il voto degli adulti ha visto sempre prevalere la Dc, ma con scarti abbastanza contenuti. Nella Seconda Repubblica i profili di voto dei giovani e degli adulti appaiono meno distanti rispetto alla fase precedente, eccetto che nelle due elezioni del 1996 (giovani su posizioni più estreme) e del 2013 (giovani a favore del M5S). L’elemento di principale discontinuità con il passato sta oggi nel fatto che il centro-sinistra, il suo partito principale risultano generalmente sottorappresentati tra i giovani e vedono un progressivo invecchiamento del proprio elettorato prevalente (in passato erano i giovanissimi, oggi sono gli elettori over 60).

Quali sono le formazioni politiche che maggiormente si candidano a intercettare i neo-elettori del prossimo 4 marzo?
Sulla base della storia precedente del voto dei giovani e delle evoluzioni del 2013 possiamo ipotizzare uno scenario in cui il Movimento 5 stelle confermerà ancora la sua capacità attrattiva e si candiderà a intercettare una parte rilevante dei consensi dei neo-elettori. Possiamo ritenere, inoltre, che il rapporto tra PD e mondo giovanile continuerà a essere problematico, anche in ragione dell’esaurirsi dell’effetto novità giocato negli anni recenti dalla leadership Renzi. Resta, poi, lo spazio per un voto alle formazioni estreme, sia a sinistra che a destra. Se è vero i giovani hanno espresso più volte preferenze fortemente polarizzate sul piano ideologico, va anche detto che lo scenario attuale vede un’area della sinistra più in difficoltà di altri partiti o schieramenti analoghi in Europa (si pensi ad esempio al successo di Melanchon in Francia) e una destra, monopolizzata dal leghismo e dai partiti post-fascisti, la cui capacità di crescita è ancora tutta da valutare. Infine, i margini per un nuovo sfondamento di Berlusconi tra i giovani appare assai ridotto.

Dario Tuorto è Professore associato di Sociologia del welfare e delle politiche sociali e di Sociologia dei processi di inclusione ed esclusione sociale presso l’Università di Bologna

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