
C’è stato un altro momento in cui l’euro rischiò concretamente di perdere uno dei suoi membri. Fu nel 2015, quando la Grecia mise a dura prova la pazienza dei suoi partner europei. Molti hanno ipotizzato che per la Grecia forse sarebbe stato meglio uscire dall’euro, almeno per qualche tempo. Draghi fu fermamente contrario e, continuando a permettere alle banche greche di ricevere fondi, guadagnò tempo sufficiente perché i politici greci e europei potessero trovare un compromesso.
Qual è stata la portata delle iniziative promosse da Mario Draghi a difesa dell’euro?
Le politiche di Draghi sarebbero state molto innovative per qualsiasi banca centrale ma lo sono state in particolar modo per un’istituzione ancora relativamente giovane come la BCE. Il programma di acquisto di titoli di stato che ha concretizzato il “whatever it takes” non è mai stato utilizzato, il suo solo annuncio è bastato a fermare le scommesse contro l’euro. Ma due anni e mezzo dopo Draghi ha lanciato un grande programma di quantitative easing – una mossa senza precedenti per un’istituzione che deve sottostare a regole molto rigide quando c’è il rischio di finanziare i governi. L’elenco potrebbe continuare: tassi di interesse negativi, prestiti alle banche della durata di quattro anni in cui le banche vengono effettivamente pagate per la concessione dei prestiti.
Draghi ha allargato i confini di cosa una banca centrale può fare – e ciò ha anche fatto pensare in alcune parti dell’area euro che forse si era spinto troppo lontano. Le tensioni nel Consiglio direttivo ci sono sempre state, ma lo scorso settembre sono venuto allo scoperto. Un terzo dei membri del Consiglio direttivo si è opposto alla decisione, alcuni ex dirigenti della BCE hanno messo in dubbio la sua strategia, e il rappresentato tedesco del Comitato esecutivo si è dimesso. Una ribellione così aperta, meno di due mesi prima della fine del mandato di Draghi, ha lanciato un’ombra sulla sua eredità.
In che modo Mario Draghi è stato «l’artefice» del salvataggio della moneta unica?
Per tutto il suo mandato, Draghi ha avuto una visione chiara per l’euro e l’unione monetaria – una visione che è andata ben oltre la volontà di assicurarne la sopravvivenza. Draghi voleva vedere l’euro – e i paesi che lo usano – avere successo e prosperare, ed era qualcosa che non poteva fare da solo. “Whatever it takes”, in molti modi, è stato un inizio.
Ciò che seguì fu una più profonda integrazione nell’area euro: venne una vigilanza bancaria unificata presso la BCE, le regole fiscali sono state rafforzate, i governi hanno intrapreso alcuni sforzi per rafforzare l’economia e migliorarne il potenziale di crescita. Ma rimane ancora molto da fare. Negli ultimi tempi è cresciuta la frustrazione per il fatto che i governi stanno tirando il freno proprio nel in un momento in cui la banca centrale è a corto di opzioni dopo aver stimolato l’economia per anni.
Quali retroscena inediti degli 8 anni alla BCE di Mario Draghi rivela il libro?
Abbiamo cercato di raccontare la genesi di alcune delle tappe più memorabili degli anni di Draghi alla BCE – “whatever it takes”, ad esempio, o il QE. Ma l’aspetto più interessante, per noi, è stato arrivare a conoscere davvero l’uomo dietro la maschera, la sua personalità, il suo modo di pensare e prendere decisioni.
Abbiamo scoperto che a spingerlo a tenere quel famoso discorso a Londra nell’estate del 2012 ci fu una telefonata con alcuni avvocati di grandi studi statunitensi e britannici. Persone che conosceva da 30 anni gli chiesero come avrebbero dovuto muoversi per cambiare la valuta di alcuni complessi strumenti finanziari. Poche ore dopo il primo ministro britannico David Cameron si mise a lodare l’economia britannica e le opportunità commerciali offerte da Londra – e questo proprio davanti a una stanza piena di investitori. Draghi si chiese: “Perché non dovremmo cercare di fare lo stesso?”
Per quanto riguarda il QE, siamo rimasti sorpresi nello scoprire che l’idea era già stata presa in considerazione. Il predecessore di Draghi, Jean-Claude Trichet, a un certo punto mise l’opzione sul tavolo, per poi ripensarci. E anche Draghi ci ha messo più di un anno per passare dall’idea originale all’annuncio.
Un’altra scoperta di cui siamo orgogliosi è il modo in cui l’unione bancaria europea ha davvero iniziato a prendere forma. Draghi e Michel Barnier misero a punto il progetto durante una cena a Bruxelles all’inizio del 2012, la prima bozza venne scritta in un solo fine settimana nel luglio di quell’anno. Molte parti di tale bozza sono sopravvissute nell’attuale Meccanismo di Vigilanza Unico, anche se c’è una differenza fondamentale: il numero di controllate dalla BCE è 5 volte più grande del progetto originario.
Quale ritratto di Mario Draghi emerge dalle pagine del Vostro libro?
Draghi direbbe di se stesso che è un uomo semplice e diretto. Parlando con lui e con circa 60 persone che hanno conosciuto e lavorato con lui per anni, ci siamo fatti un’immagine più sfumata e complessa.
Non è un manager che vuole fare tutto da solo, e crede davvero nel delegare il lavoro. Ha bisogno di un calendario ben definito e dedica molto tempo a sviscerare un problema da tutti gli angoli possibili. Si consulta con molte persone, non solo all’interno della banca centrale. E una volta che prende una decisione, è convinto che sia la migliore possibile ed è molto difficile farlo tornare indietro. È una cosa che abbiamo visto succedere in diverse occasioni durante la sua presidenza. Questo approccio non gli ha certo conquistato solo amici nel corso degli anni.
Ma c’è anche un lato molto umano di Draghi. È umile, incredibilmente attaccato alla famiglia e agli amici, gli piace la buona conversazione e non solo quando si parla di economia e banche centrali – a condizione che l’interlocutore abbia qualcosa da dire. Questa è una cosa importante: non ha alcuna pazienza per gli sciocchi.
Quale futuro per la Ue e la sua autorità monetaria centrale nel ‘dopo Draghi’?
Ci sono molte sfide da affrontare, per i politici a Bruxelles e per i banchieri centrale a Francoforte. L’area euro non ha ancora un suo budget comune; l’unione bancaria è incompleta; ci sono ancora molti ostacoli al libero flusso di capitali, merci e lavoratori, il che rende l’economia fragile e rende più difficile ridurre gli squilibri che ci sono al suo interno.
La nuova presidente della BCE, Christine Lagarde, si trova ad affrontare una profonda spaccatura all’interno del Consiglio direttivo tra coloro che hanno appoggiato Draghi per tutto il suo mandato e quelli che non hanno risparmiato critiche alle sue politiche più aggressive. La sfida, per Lagarde, sarà ricreare l’unità e il consenso necessario per le decisioni future. Non le mancano le carte per farlo: prima donna alla guida della BCE, prima presidente non laureata in economia e con un background in politica.