“L’arte della guerra” di Sun Tzu

L'arte della guerra, Sun TzuL’arte della guerra
di Sun Tzu
a cura di Leonardo Vittorio Arena
Biblioteca Universale Rizzoli

«L’opera che qui presentiamo, corredandola d’un ampio commento filosofico, è il più antico trattato cinese di arte militare. Il suo titolo completo è Sun-tzu Ping-fa: «L’arte della guerra del maestro Sun». Prima di introdurre il lettore alle sue tematiche basilari, sarà il caso di spendere qualche parola sull’autore, abbastanza trascurato dagli storici della filosofia cinese.

Sun Wu era uno stratega del periodo «primavere e autunni» (722-481 a. C.), e il suo pseudonimo letterario era Ch’ang Ch’ing. Proveniva dallo Stato di Ch’i, e fu assunto da He Lü, sovrano di Wu, il quale rimase favorevolmente impressionato dalla lettura della sua opera immortale. He Lü pose Sun al comando della sua armata, e il maestro fu l’artefice del notevole successo di Wu nella guerra contro Ch’u, uno Stato rivale. […]

Ma è il suo libro a parlare per Sun-tzu. Il titolo dell’opera può essere tradotto in vari modi. Di fatto, la maggior parte dei traduttori lo rende con «l’arte della guerra». Fa significa «modello», «arte», «tecnica»; ping, «strategia», «guerra», «truppa» — indicando tanto l’uso della guarnigione, quanto la guarnigione stessa. Anche in questa sede si è preferito renderlo con «l’arte della guerra», anche se gli assunti dell’opera non si limitano alla metodologia del combattimento, bensì risultano validi nell’ambito di qualsiasi tattica (non necessariamente militare). Del resto, basterebbe riflettere sull’assunto centrale del libro, di per sé eloquente: Sun consiglia di dare battaglia solo in extremis, quando non se ne può fare a meno; e sottolinea, per altri versi, che il vero stratega sconfigge il nemico prima ancora di impegnarlo nel combattimento.

Certe convinzioni denunciano l’influsso del Taoismo. Il combattente ideale è colui che non lotta, né attacca per primo, a meno che le circostanze non lo costringano a farlo: sono assunti che anche i maestri taoisti, Lao-tzu in particolare, potrebbero tranquillamente sottoscrivere. […]

L’opera si presenta, innanzitutto, come un trattato d’arte militare. Ciò va precisato, nonostante il fatto che certi consigli risultino validi anche in altri contesti. Se fosse altrimenti, non si spiegherebbe l’interesse dei più grandi strateghi della storia nei suoi confronti, a partire da Napoleone […]. E anche Mao Tse-tung mostrò di interessarsi ai princìpi del Ping-fa, applicandoli nella Lunga Marcia che lo avrebbe portato al potere.

Sun-tzu esordisce ammettendo che la strategia è l’affare più importante dello Stato (cap. I). Si deve tener conto del fatto che l’esistenza presenta sempre una coppia di polarità: vita/morte, vittoria/sconfitta, vantaggio/danno, eccetera. È necessario prendere posizione, dunque, parteggiando per uno degli opposti, e rifiutando l’altro. La strategia ha il compito di facilitare i nostri movimenti.

Ci si dovrà ispirare al tao, principio-guida del comportamento, da cui lo stratega non può prescindere. Il tao rappresenta la perfetta modalità esecutiva di qualsiasi compito: ecco perché, anche nell’ambito della politica militare, non si potrà trascurarlo.

Da un altro punto di vista, si dovrà tener conto del tempo, cioè la condizione atmosferica; e del terreno, elemento strategico su cui Sun-tzu si dilunga in particolare. Se al tao, al tempo e al terreno aggiungiamo il comandante, al quale l’autore rivolge preziosi consigli, e la tattica, cioè l’indispensabile modello di riferimento — nulla dovrà essere affidato al caso — avremo i «cinque elementi concreti» (wu-shih), posti a fondamento dell’opera.

Sun cerca di evitare — come già osservato — che si arrivi alla battaglia. Egli mira alla vittoria, certamente, e prenderebbe le distanze da alcune esaltazioni della sconfitta, che attecchirono in Giappone; tuttavia, ritiene che il trionfo possa, e debba essenzialmente, essere ottenuto senza combattere. Una volta che il piano d’attacco venga perfezionato, la battaglia è già vinta nel quartier generale: muovere le pedine, cioè i soldati, si rivela, a questo punto, un gioco da ragazzi. Inoltre, tutto dev’essere compiuto in fretta: la strategia vincente è rapida, e si sbarazza del nemico senza neppure dargli il tempo di capire che sarà sconfitto.

Altri spunti taoisti si evidenziano nell’opera. Non è necessario che i soldati conoscano i fondamenti della strategia — anzi, è meglio che li ignorino completamente! Potrebbe essere deleterio se disponessero delle stesse cognizioni del comandante. Anche i Taoisti, Lao-tzu per primo, insistevano sulla necessità di mantenere il popolo in stato d’ignoranza. Questo perché si voleva che l’individuo rimanesse semplice e naturale: l’ignorante ricorre alla spontaneità (tzu-jan). Alla stessa spontaneità sembra fare appello Sun-tzu: posti in situazione di pericolo, i soldati devono ricorrere alle proprie capacità innate di autodifesa. Laddove la cultura e le nozioni li danneggerebbero, costituendo un fardello inutile, l’ignoranza, invece, li mantiene puri.

Da un altro punto di vista, e per altre motivazioni, è necessario che anche il nemico sia tenuto all’oscuro della nostra strategia. Egli non dovrà assolutamente intuirne i fondamenti, né percepire le nostre possibilità di vittoria. Diversamente, non godremmo nemmeno di un trionfo vero e proprio: Sun-tzu ammonisce severamente coloro che si vantano delle facili vittorie, evidenti anche al nemico.

Il vero stratega non sfrutta la propria forza, bensì quella dell’avversario. Gli sottrae i viveri, i territori, e quanto ha di più caro: è questo il modo per sottometterlo. Sun ha modo di ricordarlo a un allievo cadetto, che lo interroga sul da farsi, in occasione dello scontro col nemico. «Colpiscilo negli affetti» — è il senso della sua risposta.

Un forte cinismo pervade l’opera. In effetti Sun adotta sempre un atteggiamento pragmatico, assolutamente concreto. Per questo, avrà molti detrattori; d’altra parte, egli vuole soltanto insegnarci a perseguire l’utile — con un forte anticipo sul nostro Machiavelli. […]

In effetti, la compassione è assente nel Ping-fa, malgrado gli sporadici accenni alla categoria confuciana della «solidarietà» (yen). L’uomo solidale sarebbe colui che si sente vicino all’altro, in un ideale rapporto di fratellanza. Certi valori interessano anche Sun-tzu, ma egli li rilegge a modo suo, subordinandoli sempre — come dubitarne? — alla vittoria e al profitto. È essenziale andare diritti allo scopo: mettere in difficoltà il nemico, catturarlo e ucciderlo. Sono questi, in sintesi, gli obiettivi della strategia.

Il comandante ideale non ha cedimenti: è sicuro di sé e dei suoi uomini. Sembrerebbe soltanto un’osservazione pragmatica; in realtà, però, apre il varco a interessanti risvolti, che travalicano l’angusto ambito della dottrina militare.

Si valutino, in quest’ottica, certe affermazioni: «conoscere l’altro e se stessi — cento battaglie, senza rischi; non conoscere l’altro, e conoscere se stessi — a volte, vittoria; a volte, sconfitta; non conoscere l’altro, né se stessi — ogni battaglia è un rischio certo».

Sun cita queste parole, a conclusione del cap. III, come «un detto di altri», ma non abbiamo motivo di dubitare che siano invece farina del suo sacco. Lo stratega ideale ha sondato in profondità il suo cuore, imparando a conoscerne i difetti. Solo un fine psicologo sarà in grado di disorientare il nemico, spacciando l’illusione per realtà. […]

Ingannare il nemico – è questo il principio della tattica. «Apparire», piuttosto che «essere» — o meglio: «apparire», al fine di «essere». Infatti: «La strategia si fonda sull’astuzia» (cap. VII).

Dovremo dunque evitare di rivelare su quale terreno si darà battaglia, cosicché il nemico impegni altrove le sue forze. […] E se decidesse di impegnarle su tutti i territori? Niente paura. In tal caso risulterebbe inerme, poiché l’uomo in stato d’allerta su tutti i fronti risulta impreparato ovunque. È un altro insegnamento del maestro, la cui portata travalica l’ambito della strategia militare.

Si richiede, soprattutto, una certa flessibilità. Dovremo essere in grado di cambiare strategia, se il nemico mostra di averne intuito le basi; o se invece, più semplicemente, essa non produce i frutti che vorremmo. È questo il punto più spinoso dell’opera: i consigli dell’autore sono indirizzati a coloro che, nel corso della campagna militare, dovrebbero manipolarli all’occasione. In altri termini, Sun insegna ciò che, teoricamente, non sì può imparare. Stimola l’attenzione dell’uditorio, solo per comunicare che ciascuno deve affidarsi a se stesso, e alle proprie risorse, nel tumulto della battaglia. Impartisce i princìpi della tattica, nella speranza che gli allievi possano talmente assimilarli da farne una seconda natura, a cui attingere spontaneamente, in caso di bisogno. […]

Mostrarsi deboli, mentre in realtà si è forti. Apparire come donnette pavide, per poi mostrare i denti all’occasione propizia, quando il nemico ha manifestato le sue risorse e crede di avere a che fare con dei buoni a nulla. È sempre la tattica dell’astuzia e del raggiro, consigliata di norma.

Questo tipo di strategia, non lo si sottolineerà mai abbastanza, è imparentato col Taoismo, ed era già stato insegnato da Lao-tzu. In effetti i filosofi confuciani non perdonarono al filosofo di aver svelato una tattica che, quantunque invincibile, si fondava sull’inganno. Il saggio ideale, propugnato dal presunto autore del Tao-te ching, si mostra incapace, quando invece è il più abile; oppure inerme, mentre in realtà è dotato di una forza eccezionale. Certe convinzioni sono riprese quasi alla lettera da Sun: «La strategia è la via del paradosso (kuei-tao). Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, affabile» (cap. I).

Niente è duraturo, o definibile in assoluto. È un ulteriore, prezioso insegnamento che l’autore del Ping-fa ci fornisce: un handicap può diventare un vantaggio, un punto di forza, se soltanto riusciamo a considerarlo in un’altra prospettiva — facendovi perno, magari, anziché tentare di rifiutarlo. Perché sono i rudimenti dell’arte di trasformare se stessi che Sun-tzu ci impartisce.

Infatti, dopo aver letto questo libro, nessuno combatterà più come prima — contro se stesso, magari! Forte di una nuova consapevolezza, saprà valutare meglio le disfatte che l’esistenza, quotidianamente, ci infligge. È reagirà opportunamente, nello scontro coi suoi avversari di ogni giorno.»

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