“L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari” di Paolo Battistel

Prof. Paolo Battistel, Lei è autore del libro L’arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari, edito da Oligo: dove affonda le proprie radici la fiaba?
L'arcolaio delle fiabe. Il femminile e la trasfigurazione nei racconti popolari, Paolo BattistelIn termini che potremo forse definire “tecnici” la fiaba rappresenta una narrazione ancestrale che ha origine con l’uomo stesso. Nel nostro viaggio verso le radici della fiaba dobbiamo risalire fino all’uomo preistorico che sedeva nella notte dinanzi a un fuoco circondato da un mondo ostile e a tratti incomprensibile. L’unico modo per renderlo meno “oscuro” e inconoscibile era appunto “raccontare storie” – che in origine nascono come storie sacre – che fossero in grado di rendere “familiari” gli elementi inspiegabili della vita di quelle popolazioni come la morte, gli astri, le belve feroci e tutto il mondo caotico che li accerchiava e perseguitava. Parliamo come ho detto di storie sacre narrate da un cantore/sciamano e pronunciate in notti speciali in modo che tutta la comunità le potesse ascoltare. Proprio simili storie ancestrali sono state il collante della comunità diventando le radici più profonde di quelle antiche popolazioni. Proprio da queste storie sono discese le narrazioni che noi chiamiamo fiabe e che hanno accompagnato l’essere umano, generazione, dopo generazione, come un filo invisibile in cui sorreggersi ed aggrapparsi nelle oscure notti d’inverno. Ogni nuova generazione, che nel ciclo inesorabile del tempo aveva preso il posto della precedente, ha guardato con un’intensa curiosità, simile a una “malia” di un incantesimo antico, il mondo affascinante della fiaba. Questo è venuto meno soltanto nell’attuale società, fondata sui mattoni razionalistici dell’Illuminismo, che ha esautorato l’antica funzione sacra di queste narrazioni trasformandole in storie “irreali” destinate, nella migliore delle ipotesi, a finire in soffitta o nel reparto “fantasy” o “ragazzi” di qualche polverosa libreria. Solo in una società post-capitalistica come la nostra, che sviluppa i suoi parametri nel liberismo sempre più esasperato dell’uomo divenuto oggetto, una simile categorizzazione può essere accettata senza eccessive remore. Tuttavia, questa linea di pensiero frana senza appello dinanzi al successo della fiaba come prodotto letterario, per quanto banalizzata e sporcata, il canto della fiaba risveglia l’essenza più profonda dell’essere umano (dal bambino all’anziano) riscuotendolo dalla sua opacità. Un simile richiamo dinanzi a questi prodotti non è un semplice risultato dell’industria d’intrattenimento ma anzi ha a che fare con il nucleo antico e sacro del mito e della fiaba, un nucleo che fa presa in modo quasi magico sulle giovani generazioni e su quelle più “vecchie” che in qualche modo non si sono adattate alla modernità non dimenticando le proprie “radici” autentiche.

La vita stessa pulsa dentro queste storie che, nel loro perenne scorrere temporale, si sono alimentate di ciò che potremo definire le paure e i bisogni primari dell’uomo. Le fiabe si sono modificate ad ogni giro della ruota – al passaggio inarrestabile dalle vecchie alle nuove generazioni – contagiandosi dall’infinito contatto tra esseri umani in perenne viaggio per il mondo nella ricerca di una “terra promessa” o semplicemente perché assetati della curiosità di oltrepassare l’orizzonte per scorgere un paesaggio mai accarezzato dagli occhi.

Cosa rivela, riguardo al loro significato, l’analisi di alcune delle più importanti fiabe, come La bella addormentata nel bosco e Il principe ranocchio?
Addentrarsi nel significato di una fiaba risulta essere molto simile allo sprofondare in una cripta sotterranea illuminati soltanto da una torcia nel continuo timore che da un momento all’altro si cada in fallo oppure si calpesti senza volerlo un tesoro inestimabile. Analizzare due narrazioni tanto meravigliose e complesse come La bella addormentata nel bosco e Il principe ranocchio ha rappresentato per me una sfida e un privilegio nella stesura del mio ultimo saggio. Sono innumerevoli, e sparse in ogni terra conosciuta, le versioni di queste due fiabe – la cui origine risale all’alba dell’umanità – e quando si percorre il sentiero di una nuova versione di queste fiabe sembra di poter scorgere qualche riflesso di un’immagine ormai perduta che si cerca con passione di riportare in vita perdendosi come dinanzi al velo della Veronica.

Rosaspina, la meravigliosa fanciulla che allo scoccare della pubertà sprofonda in un sonno di morte, da cui si sveglierà come donna matura pronta a sposarsi è uno dei molti volti della fanciulla divina tanto perfetta da non poter sopravvivere nella temporalità poiché il suo manto d’innocenza e perfezione suscita l’ira degli dèi (e degli uomini). Proprio come la tragica Scilla maledetta per gelosia da Circe la fata oscura maledice la neonata condannandola a un altrettanto tragico destino da cui soltanto la sua trasfigurazione finale potrà salvarla.

Una fanciulla ben diversa ci appare ne Il principe ranocchio. Apparentemente è dotata di una bellezza quasi soprannaturale – dai tratti divini, che la poneva nel novero delle “prescelte” – come la bella e dolce Rosaspina, ma il carattere delle due principesse risulta essere ben diverso: la protagonista di questa seconda fiaba è una ragazzina estremamente viziata e autoriferita, che al principio della storia risulta del tutto incapace di rapportarsi con il mondo degli adulti e con le sue responsabilità umane e regali.

Il tema portante della fiaba – da cui sono fiorite migliaia di rappresentazioni e rielaborazioni – è il medesimo che ha generato il successo secolare della fiaba di La bella e la bestia (nota soprattutto nelle versioni di d’Aulnoy/de Villeneuve) è quello dell’unione “impossibile” tra fanciulla divina e mostro. In termini più tecnici sono due fiabe che riguardano il noto tema dello “sposo-animale”. Quest’unione, sacra e sacrilega, tra l’animale dai tratti mostruosi o semplicemente inumani (come un serpente, un cavallo o un maiale) con una giovane protagonista “candida” e umana – inconsapevole dei “segreti” più intimi dell’uomo – condurrà la prescelta in un sentiero di un’iniziazione sessuale che la trasformerà in donna.

Il ranocchio può (e deve) infine trasfigurarsi nella sua forma compiuta di erede al trono del regno ma ciò potrà avvenire soltanto quando verrà accettato (e compreso) il suo aspetto più orrido e mostruoso, e l’antica ombra potrà finalmente essere parte di noi.

Che funzione svolge l’elemento femminile nelle fiabe?
Percorrendo l’antico sentiero della fiaba ci troviamo spesso a scorgere il ruolo fondante delle donne. In primo luogo, come raccoglitrici e narratrici, sono state potremo dire i “mezzi” con cui queste storie sono sopravvissute e si sono propagate attraverso i secoli, ma la loro importanza è destinata a crescere se le osserviamo attraverso il tessuto delle fiabe poiché ci rendiamo presto conto che sono proprio loro le protagoniste indiscusse di alcune delle fiabe più note. Con la veste di oscure divinità della foresta come la signora Trude, o con quella candida di vergini innocenti come Vasilissa la bella e Rosaspina, ci hanno incantato e terrorizzato, plasmando l’immaginario di tutti noi.

Le fiabe, nello scorrere dei secoli, non hanno mai smesso di modificarsi in un perpetuo sviluppo soggetto sia all’incontro tra i popoli e sia all’essenza dell’uomo in perpetuo divenire. Riguardo alle “metamorfosi” subite da alcune fiabe, sia esse giunte sino a noi dalle corti francesi attraverso il lavoro di Madame d’Aulnoy o di Perrault, oppure passate attraverso il libero mercato borghese del libro nell’Ottocento – come nel caso del lavoro dei Grimm o dell’altrettanto famosa raccolta scandinava di Asbjørsen e Moe – notiamo, da un lato, che il “perpetuo cambiamento” rappresenta una delle leggi non scritte di queste narrazioni e, dall’altro, appare evidente che dietro ai merletti e agli abiti d’epoca, proprio del periodi in cui queste storie sono state messe su carta, il femminile primeggia come un retaggio inconscio di un’epoca arcaica.

L’elemento maschile del divino, nella veste di dio solare (o dio dei fulmini), vola con le ali d’aquila alto sopra la terra che rappresenta una creatura viva che respira e pulsa nel suo cieco impulso ad esistere. L’elemento maschile, nel mito e nella fiaba, pone ordine e da regole al Creato secondo una linearità propria della ratio, ma che al contempo non tiene in considerazione delle leggi originarie (e pre-razionali) proprie della Terra, che appartengono alla sua controparte femminile, arcaica e lunare. In essa risiede un cieco impulso alla vita, proprio di una Natura intesa nel suo senso più romantico e letterario generato dell’intuizione di Herder e sviluppato nel pensiero romantico di Jena e Heidelberg. La Luna interpretata nella grecità più arcaica nella trinità misterica di Artemide-Selene-Ecate, cioè la vergine, la moglie e la morte, incarna il segreto più insondabile del femminile che si origina in epoca preistorica con le statuette steatopigie (dette anche veneri paleolitiche) nel mistero insondabile dell’esistenza in cui la vita viene strappata dalla medesima dea senza nome che nel meraviglioso volto di una fanciulla appena sbocciata aveva fatto sorgere il fiore dell’esistenza.

Paolo Battistel, scrittore, giornalista e docente, è profondo conoscitore dei miti e delle leggende precristiane. Vanta numerose collaborazioni giornalistiche e televisive con emittenti nazionali. Ha una rubrica radiofonica su Radio Giano Public History (Università Roma Tre). Tiene corsi universitari di Fenomenologia delle religioni e Mitologia. Ha lavorato come editor per diverse case editrici. Ha pubblicato numerosi saggi sul tema della fiaba e del mito: ricordiamo Lu Barban, il diavolo e le streghe; Il dio cornuto; La vera origine delle fiabe, diventato un bestseller. Vive e lavora a Torino.

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