
a cura di Augusto Ciuffetti e Roberto Parisi
FrancoAngeli
«Questo volume raccoglie gli atti di un convegno nazionale (L’archeologia industriale in Italia 1978-2008. Ricerca, didattica e formazione) svoltosi nei giorni 5 e 6 dicembre 2008 presso la sede di Termoli dell’Università degli studi del Molise. […] L’idea di affrontare di nuovo questioni di carattere epistemologico e storiografico, a distanza di trent’anni dalla piena affermazione in Italia dell’archeologia industriale, è derivata dalla necessità di opporre una pausa di riflessione storico-critica alla proliferazione di eventi (mostre, convegni, seminari ecc.) che nell’ultimo decennio hanno privilegiato soprattutto i temi del riuso e della patrimonializzazione, con risvolti operativi non sempre condivisi dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. […]
Ciò […] ha consentito di trasmettere […] non un’immagine univoca ed esaustiva di una particolare tipologia di patrimonio culturale, benché ancora in gran parte poco nota, quanto, piuttosto, solo alcuni dei possibili e potenziali percorsi interpretativi, tra molteplici modalità d’uso e di riuso delle testimonianze dell’età proto-industriale e industriale sopravvissute nelle varie regioni italiane. Un patrimonio di paesaggi, di architetture, di macchine e di comunità di uomini che attende ancora oggi non solo una catalogazione sistematica e un piano politico di conservazione e di tutela integrata, da sviluppare in maniera organica su tutto il territorio nazionale, ma anche e soprattutto un più articolato e più ampio programma di indagini storiche, da condurre con metodo scientifico, scevro da resistenze e pregiudizi culturali ancorati a letture cristallizzate della storia industriale del nostro Paese. Un patrimonio di oggetti e di tracce che dunque non dovrebbe essere conservato per veicolare storie già consumate, ma che dovrebbe essere studiato con metodologie condivise e comparato con le fonti più tradizionali a disposizione della storiografia contemporanea, con l’obiettivo di formulare nuove ipotesi di lavoro e di appropriarsi di adeguate chiavi interpretative per comprendere la storia dell’Italia industriale. […]
Il convegno […] muoveva innanzitutto dalla necessità di sottolineare l’importanza delle forme visibili nella lettura del processo di industrializzazione dello spazio urbano, a cominciare proprio dall’architettura, nell’accezione prevalente di prodotto edilizio piuttosto che di “prodotto artistico” e dunque anche di documento d’interesse storico-economico e sociale, oltre che come luogo privilegiato per l’applicazione di innovazioni tecnologiche (delle macchine, come dei materiali edilizi), di strategie di comunicazione e di promozione imprenditoriale, di sperimentazioni tipologiche per la ottimizzazione dei processi produttivi, degli standard igienico-sanitari e di sicurezza.
In secondo luogo perché si è consapevoli che l’industrializzazione intesa come modello di organizzazione territoriale, nell’immaginario collettivo come nelle strategie e nelle pratiche d’uso dello spazio urbano, non sembra più appartenere alla cultura del nostro Paese. Ormai da tempo la fabbrica non è più considerata il motore dello sviluppo economico di un territorio, neanche nelle politiche di rilancio del sistema produttivo del Mezzogiorno, dove a stento sopravvivono le ultime “moderne” città segnate dalla presenza della “grande industria” e non ancora riconosciute dalla storiografia contemporanea (Termoli, Melfi), mentre Torino celebra, a distanza di quasi tre decenni dalla chiusura del Lingotto, la sua avvenuta trasformazione in una città specializzata nel turismo per i grandi eventi culturali.
Da qui è derivata la necessità di ritornare su alcuni nodi critici del dibattito storiografico su città e industria in Italia, ripercorrendo alcune tappe fondamentali della ricerca storica degli ultimi tre decenni, a cominciare dalla graduale messa in questione del concetto tradizionale di via unica all’industrializzazione e dell’origine dell’urbanistica come prodotto diretto della rivoluzione industriale, da cui l’immagine canonica della “città manchesteriana” come modello univoco di lettura e di comparazione, non solo morfologica, delle trasformazioni urbane. Necessità di riflettere sui tempi e sui principi di una metodologia che ha permesso la revisione critica di una concezione basata sul carattere progressivo delle tecnologie, mettendo in luce discontinuità nei processi di acquisizione scientifica e gestionale e resistenze in quelle di omologazione e meccanizzazione, e di superare in qualche caso la canonica visione dualistica del sistema produttivo italiano, a cominciare dal reale peso della protoindustria nei diversi contesti regionali o dal complesso rapporto urbano-rurale prima e dopo l’unificazione.
Questioni e revisioni storiografiche alimentate da un progressivo ampliamento dei campi d’indagine oltre l’approccio politico-istituzionale, verso la storia sociale e delle mentalità, ma anche, in tempi più recenti, da un’apertura crescente verso la storia ambientale (la città sanitaria, la città risanata, la segregazione territoriale delle attività inquinanti e tutto il dibattito otto-novecentesco su presunte o reali antinomie tra igiene e industria) e una sempre più efficace capacità di comprensione dei dati quantitativi, oltre che qualitativi, sui temi dell’edilizia (l’housing sociale, i villaggi industriali e i quartieri operai, il ruolo dell’industria delle costruzioni nella storia dell’imprenditoria italiana), della mobilità sociale e professionale, del ruolo dei tecnici-imprenditori, dell’ingegneria finanziaria e gestionale (nell’uso delle risorse, anche umane, come dell’organizzazione scientifica dello spazio del lavoro, ma anche del tempo libero e quindi del consumo), della dismissione e/o della delocalizzazione (modalità e dinamiche di trasformazione dello spazio urbano-rurale non più lette come prodotto esclusivo di processi di industrializzazione del territorio), del riuso (non solo come pratica professionale, ma anche come categoria interpretativa).
Queste sono le tematiche sulle quali gli autori del presente volume sono stati invitati a riflettere e le ragioni che hanno motivato i curatori nel lavoro di organizzazione del convegno e di preparazione dei relativi atti. Naturalmente, non tutte le questioni poste al centro della riflessione sono state affrontate o adeguatamente analizzate. Alcuni interventi ne hanno autorevolmente rimodulato l’impostazione di fondo, sollecitando nuovi o differenti approcci critici alla materia di studio; altri hanno preferito rimettere in gioco punti di vista già collaudati o casi-studio precedentemente indagati in contesti disciplinari più consolidati, sollecitando in tal senso ulteriori percorsi di contaminazione storiografica. Tutti, infine, hanno inteso condividere pienamente quest’esperienza, legittimandone il taglio interdisciplinare e offrendo al lettore attento motivi validi per entrare nel mondo, per certi aspetti ancora inesplorato, dell’archeologia industriale.»