“L’appello” di Alessandro D’Avenia: riassunto trama e recensione

L’appello, Alessandro D’Avenia, trama, riassunto, recensioneA dieci anni dall’enorme successo di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, Alessandro D’Avenia, scrittore, blogger e docente, torna in libreria con un nuovo romanzo, intitolato L’Appello ed edito da Mondadori.

Omero Romeo, professore di scienze cieco come il suo celebre omonimo greco, viene chiamato a prendere in carico una classe quinta liceo la cui insegnante è improvvisamente mancata. Si tratta di una classe problematica, di cui l’insegnante dice, con metafora sonora, che “canta una infelicità corale, a cui ciascuno partecipa con un timbro inconfondibile”. È in questo modo che il professore ha imparato a conoscere il mondo da quando è diventato cieco, attraverso un acuirsi degli altri sensi, udito, tatto, odorato. Ed è così che entra in contatto con la sua nuova classe, il primo giorno di lezione: “commenti sussurrati urtano contro le pareti e mi aiutano a capire esattamente come si dispongono i corpi nell’aula, il loro odore si mescola a quello di alcol e vernice, e a poco a poco lo sovrasta in un ventaglio di profumo, sudore, attesa, seduzione, fragranza, abbandono, amarezza e tutti gli odori di corpi in fermento come l’uva a settembre. Accarezzo il registro aperto con i polpastrelli fino a sentire i nomi scritti a mano nella colonna di sinistra, come se potessi impararli a memoria toccandoli”.

Romeo non è un professore tradizionale e la sua idea della scuola è bel lontana dal puro nozionismo o dalla formazione finalizzata esclusivamente al futuro successo professionale. Già dai primi istanti della sua prima lezione emerge chiaramente che è più interessato a conoscere davvero i ragazzi che ha di fronte e che il suo obiettivo è guidarli verso la crescita, per aiutarli a diventare ciò che ciascuno di loro è destinato ad essere. La prima avvisaglia di come cambierà, con il nuovo professore, il rapporto insegnante-allievo è appunto l’appello che dà il titolo al romanzo. Invece di svolgere questo compito in maniera meccanica, come normalmente accade, il professore dà a questo momento un significato più profondo, e gli dedica molto tempo, quasi di più che alla lezione stessa. Sono gli allievi a pronunciare il proprio nome, quindi si alzano e raccontano che cosa di quel nome li definisce al meglio, come se dovessero “descrivere un minerale nelle sue manifestazioni essenziali: la conformazione fisica, la struttura cristallina, l’origine, le proprietà”.

In questo modo il professore, e con lui il lettore, può davvero imparare a conoscere i ragazzi, comprendendone difficoltà, desideri e sogni, e poiché l’appello non si limita alla prima giornata ma si ripete come un rito nel corso di tutto l’anno scolastico, egli può seguire l’evolversi delle loro personalità e farne emergere i lati più nascosti.

C’è Elena, nata sotto le aspettative del padre che la immaginava bellissima; Cesare detto Ruggine, che si presenta con una sorta di rap poetico in rima; Achille, il genio del computer che soffre d’asma; Stella, ingabbiata dal lutto del padre morto quando lei aveva solo dieci anni; Oscar che si sente se stesso solo sul ring con i guantoni; Caterina che fa volontariato con le persone con handicap perché sono i soli che non possono fingere di essere diversi da ciò che sono; Ettore, arrabbiato con il nonno che è appena morto e l’ha lasciato da solo; Elisa che ama viaggiare e perdersi nei boschi ma che detesta il suo corpo; Mattia irregolare e vagabondo come Rimbaud e come lui schiavo delle droghe e Aurora che cerca il lato luminoso delle cose e preferisce non prendersi troppo sul serio.

Non sono solo i ragazzi a crescere ed evolversi nel corso del romanzo. Anche Romeo, come ogni bravo insegnante, cambia ed evolve nel corso del tempo, come testimoniano le pagine del suo diario che intervallano la trattazione.

Perché il mare è salato? Perché di notte il cielo diventa scuro? Il professore non spiega scienze in modo arido, ma spinge i ragazzi a interrogarsi sul mondo che li circonda. “La cosa importante è non smettere mai di interrogarsi. Non si può fare a meno di provare riverenza quando si osservano i misteri dell’eternità, della vita, la meravigliosa struttura della realtà”.

Il modo poco tradizionale di condurre le lezioni e di interagire con i ragazzi crea malumori sia nei genitori sia negli altri membri del corpo docente. Più interessati a misurare le competenze degli allievi nelle diverse materie, gli altri professori si rendono conto di non conoscere affatto i ragazzi a loro affidati, ma continuano a disinteressarsene poiché “Non siamo psicologi né investigatori”, dicono, “Noi non siamo i loro genitori. Noi dobbiamo istruirli e basta”.

Ma nemmeno i genitori sembrano essere granché interessati alla vita interiore dei loro figli. Dalla scuola si aspettano che dia ai loro ragazzi quelle nozioni che permetteranno loro di superare gli esami, ottenere un titolo di studio e infine trovarsi un lavoro. Sperano talvolta che possa dare loro la disciplina che in famiglia non sono riusciti a fornire. Ai colloqui, il professor Romeo prova compassione per questi genitori che “mossi da un misto di orgoglio e senso di colpa, vengono a fare un bilancio della loro vita, ascoltando il giudizio sulla loro discendenza, che purtroppo, o per fortuna, non risponde mai alle aspettative: riprodursi non è riprodurre individui uguali a noi, anzi, è generare chi metterà in crisi proprio quelle aspettative per costringerci a rivedere chi pensavamo di essere o di voler essere.”

La storia si dipana come una sorta di “Attimo fuggente”: i ragazzi, affascinati dal nuovo professore, si scontrano con la scuola tradizionale, tra note disciplinari e richiami dal preside che li invita a non perdere tempo con velleità adolescenziali e concentrarsi invece sul programma, sullo studio e sulla maturità che li attende alla fine dell’anno. Quando cercano di diffondere la pratica dell’appello in tutta la scuola, tramite un’iniziativa che vorrebbe essere festosa e nel contempo “sovversiva”, la cosa sfugge di mano, un professore finisce con il naso rotto e una folla di giornalisti e genitori intasa le linee telefoniche della scuola. Eppure la “rivoluzione” non accenna a fermarsi, esce dalla scuola per raggiungere altre scuole ed altri istituti, fino a che i ragazzi non sono invitati a incontrare il Ministro e l’appello non diventa la prima notizia di tutti i telegiornali. Arriva infine luglio e con esso la fine dell’anno scolastico e la maturità. Non un punto di arrivo nelle vite dei ragazzi, ma al contrario un punto di partenza, e di cui poco rimane da dire :“dei voti, come di quasi tutte le nostre imprese sopravvalutate, non si ricorderà nessuno, se non il nostro ego.” Ciò che invece ha avuto importanza, per il professor Romeo come per gli studenti, è stato “aver custodito i loro nomi, nient’altro, perché ogni nome che salviamo è un pezzo di mondo che salviamo”.

Un romanzo sulla scuola e sugli adolescenti in un periodo come questo in cui della scuola si parla continuamente ma in cui gli alunni, con le loro necessità e i loro desideri, sembrano davvero restare inascoltati. Eppure tutti, genitori, politici, insegnanti, dovrebbero probabilmente iniziare a concedere più tempo ai ragazzi per raccontarsi, per spiegarsi, poiché, come scrive D’Avenia nell’epilogo, “in questi anni sono loro che mi hanno costretto, a volte in modo doloroso, a guardare dove io non sapevo o non volevo guardare, perché avevo le mie idee, le mie convinzioni, le mie ipocrisie”.

Silvia Maina

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