
di Marcel Jousse
a cura di Antonello Colimberti
Mimesis Edizioni
«Il peccato originale e capitale della nostra civiltà di stile scritto è di credersi la Civiltà per eccellenza, l’unica civiltà. Tutto ciò che non “rientra” nella sua pagina scritta è, per essa, inesistente. I fatti antropologici sono dunque trascurati, e il più delle volte incompresi. Così, le scienze dell’uomo non possono essere l’approfondimento dell’antropologico nell’etnico, ma si limitano a sfiorare appena l’Etnico libresco.
Davanti a un tale atteggiamento, noi abbiamo tentato di cambiare metodo. Invece di restringere il nostro campo d’osservazione sulla lettera “morta” dei testi, abbiamo introdotto una metodologia che è anzitutto, e soprattutto, la presa di coscienza di uno strumento “vivo”: il gesto umano.
Poiché l’Anthropos essenzialmente è un complesso di gesti, ci troviamo a disporre, per l’analisi dell’uomo, dello strumento più penetrante, più efficace che si possa maneggiare: per così dire lo “Strumento per smontare gli strumenti”. Ora, questo strumento si elabora istintivamente in ciascuno di noi e si affina di continuo man mano che ne prendiamo una più chiara coscienza.
L’Anthropos, questa terra sconosciuta!, potremmo dire. Da alcuni anni, si parla di esploratori delle grotte e degli abissi sotterranei della terra. Non si parla abbastanza delle grotte e degli abissi sotterranei dell’uomo.
Ecco perché l’Antropologia del Gesto è ancora soltanto ai suoi primi passi. […]
Si direbbe che la nostra scienza occidentale abbia paura della vita. Quando si tratta di studiare l’uomo e la sua espressione, essa non s’interessa ai gesti vivi dell’uomo, ma ai residui morti di quei gesti. […]
Dobbiamo infatti studiare ciò che è vivo in quanto vivo, e allo studio finora esclusivo del libro morto, aggiungere uno studio approfondito del Gesto vivente, espressivo e ritmico.
Chi dice Antropologia del Gesto dice “Antropologia del Mimismo”. Tutto un laboratorio sperimentale si apre davanti a noi. Non è più lo strumento morto che smembra l’uomo, ma l’uomo che prende coscienza dell’uomo. Lo sperimentatore è diventato lo sperimentato. L’uomo non è più “questo sconosciuto”: è il proprio scopritore. Possiamo conoscere bene solo noi stessi.
Ma per conoscersi bene, bisogna osservarsi bene. Il vero laboratorio è un osservatorio, un osservatorio di se stessi. E quest’osservatorio è un laboratorio, poiché è dura fatica imparare a vedersi. Bisogna dunque creare quelli che potremmo chiamare per l’appunto “Laboratori di presa di coscienza”. Non potremo mai uscire da noi stessi, ma grazie al Mimismo, tutto ciò che viene rigiocato da noi è in noi. Ogni scienza è presa di coscienza. Ogni oggettività è soggettività.
Il vero Laboratorio è quindi il Laboratorio di se stessi, istruirsi vuol dire costruirsi. Non sappiamo che cosa siamo. Per questo è oggi sempre più importante il ruolo della memoria vivente e del suo adiuvante onnipresente, il ritmo.
L’Antropologo deve ricordarsene di continuo: la memoria non è, e non può essere altro, che il Rigioco dei gesti macroscopici o microscopici precedentemente montati in tutte le fibre diversificate dell’organismo umano. Un’immensa materia di studio si apre dunque davanti a noi nel gioco e nel Rigioco dei gesti viventi che costituiscono la memoria.
“Sapere a memoria non è sapere” dice l’uomo del libro, senza rendersi conto che questo significa annullare il 90% del sapere di tutti gli uomini.
Alla legge libresca: “Scientia cum libro”, l’antropologo del Mimismo risponde con un’altra massima: “Scientia in vivo”. È la vita stessa che dobbiamo studiare per comprendere l’uomo.
Tutte le nostre osservazioni saranno centrate e concentrate su quest’elemento vivente e gestuale. Nel corso del presente libro ci dedicheremo dunque a studiare la zona ancora inesplorata della memoria viva che analizzeremo e approfondiremo nel suo meccanismo operante, pensante e conoscente.
Nel Laboratorio antropologico ed etnico che ci offre l’ambiente palestinese – e particolarmente galileo – osserveremo quel gioco della vita intelligente e sublimata che è il gioco della memoria. Per principio antropologico, parlando di memoria, parleremo e tratteremo sempre di memorizzatori, e in essi ritroveremo naturalmente e fatalmente il duplice elemento onnipresente: l’Antropologico e l’Etnico.
I testi scritti e “morti” saranno per noi solo più ripieghi, con la funzione di farci risalire ai gestualizzatori “viventi”. Noi non lavoreremo nello spazio testuale, ma nella durata gestuale. Ci incontreremo così con dei fatti viventi che non sono mai stati immaginati da coloro che, con strumenti aridi, hanno cercato di comprendere e di spiegare quell’immenso e complesso Mimodramma antropologico ed etnico che è “la nostra Tradizione di Stile orale”.
Nella nostra qualità di antropologi sperimentali ci accosteremo dunque all’elaborazione intraetnica di una Tradizione di stile orale attingendo direttamente dalla vita innumerevole e inesauribile.
Ora, chi dice “Tradizione” dice automaticamente trasmissione di elementi viventi, ricevuti in precedenza ed elaborati di secolo in secolo all’interno dell’ambiente etnico. Qui, gli elementi tradizionali sono viventi Perle-Lezioni di Stile orale: perle lentamente “cristallizzate”, metodologicamente “infilate” in recitazioni ordinate e inventariate, al fine di favorire la loro vivente “utilizzazione”.
Per cominciare “dal principio”, analizzeremo in questo libro il fenomeno della “Cristallizzazione delle Perle-Lezioni”, Perle-Lezioni dapprima esclusivamente gestuali e che, per trasposizione del meccanismo espressivo, diverranno orali. Ma il meccanismo antropologico profondo resta lo stesso. Tutto parte da “intussuscepzioni”. Di fronte al Cosmo, inserito nel Cosmo, l’uomo, questo “Mimatore” incommensurabile, elabora la propria Tradizione.
Osserveremo dunque lentamente, “come in laboratorio”, la Cristallizzazione vivente delle Perle-Lezioni nell’Anthropos globale.
Le forze antropologiche ed etniche, che vedremo compenetrarsi vitalmente nell’Uomo per giungere alla cristallizzazione vivente delle Perle-Lezioni, possono classificarsi in tre meccani-
smi, che analizzeremo nel corso dei tre capitoli seguenti:
Capitolo I: il RITMISMO
Capitolo II: il BILATERALISMO
Capitolo III: il FORMULISMO»