
«Nel corso degli anni, soprattutto nell’epoca vittoriana, vennero prodotte numerose mappe del pianeta, molte delle quali hanno una nomenclatura suggestiva e romantica. Se scorriamo quella attuale leggiamo Arcadia Planitia, Olympus Mons, Amazonis Planitia, Syrtis Major, Valles Marineris… nomi che rievocano la Terra, la foresta amazzonica, gli oceani (Marineris), ma anche luoghi enigmatici come Noctis Labyrinthus. Eufemismi per luoghi che, come oramai sappiamo, sono molto più simili ai nostri deserti che a oceani e foreste pluviali. Forse i nomi più belli per il paesaggio di Marte li aveva trovati Giovanni Virginio Schiaparelli alla fine del Diciannovesimo secolo: Mare Australe, Sinus Acidalius, Syrtis Major… nomi che ricordano la geografia terrestre e ci danno un primo indizio di quello che sarà uno dei principali atteggiamenti nei confronti del pianeta, tanto nell’osservazione come nell’immaginazione letteraria: vederlo come una seconda Terra, uno specchio attraverso il quale osservare la propria società.»
Marte, infatti, «continua a essere il pianeta del sistema solare più simile al nostro: ha le stagioni, un giorno di durata molto vicina a quella del nostro (24 ore, 39 minuti), calotte polari e un’atmosfera, anche se molto rarefatta, composta per il 95 per cento da CO2.» Ragioni per le quali Marte «è anche il pianeta-rifugio dove si potrebbe trasferire parte dell’umanità una volta esaurite le risorse fisiche della Terra e quando le condizioni di abitabilità del nostro pianeta diverranno estremamente difficili a causa del cambiamento climatico e della distruzione dell’ambiente.»
«Verso la fine del Diciannovesimo secolo, in coincidenza con le scoperte di Schiaparelli e Lowell venne creata una vera e propria “mitologia marziana”, alimentata dall’idea che vi fosse vita intelligente. È proprio in quel momento che si moltiplicano libri, racconti e articoli pseudoscientifici che immaginano la civiltà extraterrestre, oltre a progetti per stabilire un qualche tipo di contatto, sia visuale sia via radio. L’entusiasmo si andò calmando negli anni, soprattutto dopo che la missione del Mariner 4 del 1965 inviò le prime ventidue immagini che ne descrivevano il paesaggio arido, con numerosi crateri e apparentemente senza vita, molto più simile alla Luna che alla Terra.»
Eppure oggi, l’interesse per il pianeta rosso è rinato, dando vita ad una nuova corsa allo spazio: «L’inizio della prima corsa spaziale si fa generalmente risalire al 4 ottobre 1957, quando l’Unione Sovietica annunciò il lancio del satellite artificiale Sputnik-1, e in genere la sua fine si fa coincidere con gli anni Settanta, quando, una volta portato l’equipaggio americano sulla Luna grazie all’Apollo-11, l’interesse ideologico e propagandistico cominciò a venire meno. Negli ultimi anni una serie di progetti sembrano avere rilanciato l’esplorazione dello spazio con nuovi obiettivi e soprattutto con attori radicalmente differenti […] imprese private con a capo multimiliardari come la SpaceX di Elon Musk, la Breakthrough Starshot di Yuri Milner, la Blue Origin di Jeff Bezos e la Virgin Galactic di Richard Branson.»
«L’interesse che si presta al pianeta Marte si può ritenere ancora in gran misura eredità della mitologia marziana, nata e sviluppatasi in epoca vittoriana. Il mito di Marte si sviluppò e mutò nel tempo adattandosi alla cultura occidentale e riflettendone i timori e le speranze. Nel Diciannovesimo secolo l’osservazione del pianeta dipendeva dalle sue condizioni di visibilità che miglioravano quando questo si trovava più vicino alla Terra ed era “in opposizione”, ovvero quando Marte e Terra si trovano allineati nello stesso lato rispetto al Sole, cosa che accadeva ogni 26 mesi. Nel 1877, quando si manifestò la “grande opposizione” e i due pianeti si trovavano alla loro distanza minima, Schiaparelli approfittò delle circostanze speciali per osservare e cartografare il pianeta rosso. L’astronomo italiano raccontò nei suoi scritti dell’esistenza di una serie di “canali”, la cui notizia, una volta diffusa attraverso numerosi articoli e rappresentata su mappe, fu causa di una lunga serie di speculazioni sulla possibilità che il pianeta ospitasse vita intelligente. Dentro la comunità scientifica (e pseudoscientifica) si accese un infuocato dibattito che ebbe per protagonisti numerosi astronomi, fra i quali Percival Lowell, difensore della natura artificiale dei segni osservati. L’ipotesi di una vita extraterrestre ebbe un profondo impatto sull’immaginario collettivo e alimentò una vasta letteratura. A partire della fine del Diciannovesimo secolo, infatti, Marte è protagonista di numerosi romanzi e racconti: da La guerra dei mondi (1898) di Herbert George Wells, passando per Cronache marziane (1950) di Ray Bradbury, fino ad arrivare alla recente trilogia dedicata al pianeta dallo scrittore Kim Stanley Robinson: Il rosso di Marte (1992), Il verde di Marte (1993) e Il blu di Marte (1996). Le speculazioni sulla vita aliena si riprodussero in molteplici formati, dai racconti pubblicati sui giornali alle figurine e ai fumetti, fino ad arrivare, a partire dagli anni Cinquanta, a conquistare gli schermi cinematografici di tutto il mondo.»
«Gli interessi che spingono queste imprese sono diversi: in primo luogo la ricerca scientifica, ma anche la creazione di un’industria turistica spaziale, la vendita di tecnologia ai governi e, come lontano traguardo, la possibilità di sfruttare le risorse minerarie di altri pianeti, ovvero il capitalismo estrattivo.»
Enormi sono però i dubbi: «Il progetto di realizzare su Marte una specie di pianeta di salvataggio si inquadra perfettamente nel contesto di espansione del capitalismo e fa sorgere immediatamente un dubbio: perché non impiegare questa tecnologia nella soluzione dei numerosi problemi che minacciano la Terra, anziché nella modificazione delle condizioni di un pianeta lontano milioni di chilometri?»
«Forse questo recente volgere lo sguardo verso lo spazio esterno è un modo per eludere le nostre responsabilità nei confronti della Terra, oppure l’utopia marziana non rappresenta altro che il logico destino di una civiltà che non può fare a meno che espandersi e occupare nuovi territori. Il giorno che avrà inizio l’antropocene anche su Marte si potrà dire che il pianeta rosso sarà finalmente “l’altra Terra” tanto desiderata, con il pericolo che piuttosto che un’utopia sia la realizzazione della distopia che ben conosciamo.»