
La morale cattolica intervenne sin dagli inizi sul tema: in che modo?
Anche qui, occorre tornare all’Ottocento per cogliere gli esordi di questa storia. Fu infatti nel 1896 che il Sant’Uffizio, vale a dire la Inquisizione romana, la congregazione più importante della chiesa cattolica, intervenne su questa operazione. Lo fece in un momento in cui di fecondazione artificiale pochi sapevano e ancora meno parlavano in pubblico, perché era ritenuta moralmente e deontologicamente problematica, senza contare che non pochi ritenevano che non fosse fisiologicamente possibile. Il primo intervento del Sant’Uffizio fu una risposta a un quesito dell’arcivescovo di Parigi, che avendo sentito dai medici cattolici di tale operazione chiese agli inquisitori romani se fosse lecita e moralmente accettabile. Quella di Parigi non fu l’unica richiesta di chiarimento che arrivò a Roma, altre ne arrivarono, tutte più o meno dello stesso tenore, tutte lasciavano intendere una difficoltà dei cattolici a confrontarsi con una possibilità fino ad allora impensata. Peraltro, non pochi tra i preti e i teologi che se ne occuparono sostenevano che quella fosse in realtà operazione moralmente accettabile, perché in fondo realizzava concretamente il primo fine del matrimonio, la procreazione. Il Sant’Uffizio invece adottò una risposta negativa. Considerò tale pratica non ammissibile, perché contraria alla morale sessuale e al suo ordine, dal momento che richiedeva l’uso della masturbazione e, in secondo luogo, perché mutava la natura dell’atto riproduttivo, facendone un evento pubblico, a cui partecipava un terzo, il medico, che si faceva vero garante della riproduzione.
Quali vicende giuridiche ha attraversato l’inseminazione artificiale?
Proprio la natura di atto fra tre persone rendeva in fondo la fecondazione artificiale problematica per la legge. Sembrava mettere in discussione i legami di parentela con tutto ciò che ne conseguiva a livello giuridico, sociale ed economico. Se vogliamo, tale intervento obbligava a riflettere su cosa definiva i legami parentali: la biologia, come nella concezione giuridica prevalente in Italia, o la volontà e la cura, come nella legislazione soprattutto statunitense. La riproduzione artificiale infatti modificava alcune certezze consolidate della generazione: il fatto che la riproduzione di un essere umano fosse un atto privato, tra due persone, coniugi per gran parte della storia, e che passasse attraverso la sessualità. Ora la riproduzione non era più solo un atto privato, ma pubblico, in un ambulatorio o in una clinica; non era più un’azione tra due persone, ma fra tre, e il terzo soggetto, il medico maschio, era considerato l’elemento determinante per la riuscita della riproduzione, perché era colui che materialmente raccoglieva il seme e lo inseriva nella donna. Infine non era più l’esito di un atto sessuale tra i due genitori futuri. Dal punto di vista giuridico i problemi investivano in prima istanza la certezza della paternità, con tutto le implicazioni ereditarie e patrimoniali che ne seguivano. Non a caso la fecondazione artificiale arrivò in tribunale, a partire dagli anni ’10 del Novecento in Germania attraverso processi per adulterio. E ci arrivò anche attraverso la denuncia della deontologia del medico, che nell’operare questo intervento si esponeva alla condanna per scandalo o per modifica di paternità. E adulterio e paternità furono precisamente le cause per le quali la fecondazione artificiale entrò per la prima volta nei tribunali italiani negli anni ‘50.
Quali implicazioni eugenetiche ha avuto e ha oggi l’inseminazione artificiale?
Il discorso è complicato, perché servirebbe definire precisamente cosa si intende con eugenetica, un termine oggi inflazionato per stigmatizzare molti aspetti del rapporto tra medicina e cura. Certamente, fin dall’inizio, la fecondazione artificiale si è confrontata con l’idea di poter incidere sulla generazione, determinando i caratteri dei nascituri attraverso la selezione delle persone sulle quali operare questo intervento. Nell’Ottocento alcuni medici si interrogarono se fosse lecito applicare la fecondazione artificiale su malati di sifilide, tubercolosi, o sugli alcolizzati. Con il secolo successivo l’ipotesi eugenetica si fece più definita, soprattutto negli Stati Uniti, dove alcuni medici la proposero come strumento per incrementare la fertilità delle classi più agiate della società e contrastare così l’alta fertilità dei ceti più bassi. Diciamo che per gran parte della storia la prospettiva eugenetica è stata cercata, ma concretamente poco realizzata. Lo sviluppo delle tecniche genetiche ha reso più concreta la possibilità di selezionare i soggetti per la riproduzione. Ma, di nuovo, si torna all’interrogativo sull’eugenetica in quanto tale. Un esempio della complessità di questo termine e dei rischi delle semplificazioni è nel caso della selezione preventiva di embrioni per l’impianto. Indubbiamente, scegliere tra gli embrioni quelli che non siano portatori di malattie degenerative o gravi, come la talassemia, può essere considerato una prospettiva o un movente eugenetico. Come tale, peraltro, è stato discusso in Italia in questi anni. Però si può notare, che grazie a una diagnosi più precisa e precoce è ora possibile identificare molte malattie future altamente invalidanti. Verrebbe da chiedersi se con una tale conoscenza, agire o non agire definiscono realmente una responsabilità etica così diversa.
Qual è il panorama storico e attuale dell’inseminazione artificiale in Italia?
L’Italia è stata uno dei paesi in cui la fecondazione artificiale si è sviluppata, non solo per i remoti promotori Spallanzani e Mantegazza, ma anche perché con la veterinaria italiana si sono sviluppate tecniche e procedure poi applicate sugli esseri umani. L’Italia è stata poi uno dei paesi in cui questa pratica si è maggiormente sviluppata dal punto di vista medico e scientifico, con una crescente diffusione sociale. L’approvazione della legge 40 nel 2004, segnata da una rigidità ideologica che non aveva pari a livello internazionale ha determinato innanzitutto lo sviluppo di quello che è stato chiamato turismo procreativo: migliaia di coppie si sono viste obbligate a cercare all’estero, a pagamento, quello che in Italia era improvvisamente diventato reato. Insieme a questo, si è determinata una difficoltà crescente per medici e scienziati di sviluppare e migliorare questa tecnica, che, ricordiamolo, ha il suo fondamento nella cura della infertilità. La legge 40 era contraddittoria, con molti conflitti con l’ordinamento giuridico esistente, era scritta male e di essa è rimasto molto poco, perché le sentenze dei giudici italiani ed europei l’hanno gradualmente, ma inesorabilmente smontata. È significativo notare che quel poco che è rimasto riguarda i medici e gli scienziati. L’unica parte infatti che non è stata ancora modificata di quella legge sono le pesanti pene e le aggravanti per quegli scienziati o medici che agiscono sugli embrioni congelati, soprannumerari e abbandonati, che sono destinati a rimanere nei congelatori dei centri di fecondazione artificiale. Una permanenza che pare il segno di una diffidenza di fondo verso la scienza molto radicata nella cultura e nella politica italiana.
Emmanuel Betta è professore associato di Storia contemporanea presso il Dipartimento di Storia culture religioni della Sapienza Università di Roma