“L’alloro e la porpora. Vita di Pietro Bembo” di Marco Faini

Dott. Marco Faini, Lei è autore del libro L’alloro e la porpora. Vita di Pietro Bembo pubblicato dalle Edizioni di Storia e Letteratura: quale importanza riveste, per la storia del Rinascimento italiano, la figura di Pietro Bembo?
L’alloro e la porpora. Vita di Pietro Bembo, Marco FainiNel 2013 si tenne a Padova una splendida mostra dedicata a Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento. Del Rinascimento il Bembo non fu certo l’inventore ma una delle personalità di maggior spicco certamente sì. Bembo fu definito dall’amico letterato Benedetto Varchi «il comun padre delle Muse, il comun maestro delle lettere, il comun padrone de’ letterati». La definizione cattura molto del ruolo che Bembo ebbe nella letteratura italiana nei primi decenni del Cinquecento: un maestro e un padrone quasi (e sottolineo questo ‘quasi’: il suo primato fu anche sfidato) universalmente riconosciuto. Una posizione, insomma, di assoluto rilievo. Bembo ha dato alla letteratura italiana una lingua stabile che si è configurata nei secoli a venire come lingua d’elezione; il suo modello di poesia è stato variamente imitato in Italia e non solo. Bembo è stato però anche un raffinato collezionista, un mecenate e, non ultimo, un uomo di chiesa, un cardinale e un protagonista della politica ecclesiastica sullo scorcio degli anni Trenta del secolo. Bembo fu anche, e inevitabilmente, un idolo polemico per coloro che non si riconoscevano nelle sue proposte linguistiche e letterarie. Bembo fu, infine, uno dei due re del Parnaso veneziano, secondo una felice metafora di Paolo Procaccioli, l’altro essendo Pietro Aretino. E se Aretino non fu mai tenero con i seguaci del Bembo, con quest’ultimo si dimostrò sempre perlomeno guardingo se non amichevole. A causa delle innumerevoli relazioni che lo legarono ad artisti, letterati, mecenati del nostro Rinascimento Bembo è figura ineludibile per chiunque s’interessi, da qualunque punto di vista, al Rinascimento italiano.

Qual era la personalità di Bembo?
A me pare di poter dire che Bembo fu un uomo complesso, pieno di sfaccettature. Fu descritto come un uomo «di natura amorevole, et senza fele» da Ludovico Beccadelli ma il giudizio è forse troppo generoso. Bembo fu un attentissimo amministratore dei propri affari, capace di slanci di generosità ma anche accumulatore di prebende e benefici. Fu uomo amante della solitudine studiosa, quella della propria famosa biblioteca, ma anche personaggio mondano e astuto “carrierista”; polemista e incline a profonde e durature amicizie. Indubbiamente fu, a detta di personaggi a lui vicini, uomo di grande fascino. Bembo ebbe a soffrire per avvenimenti dolorosi, compreso un tentativo di avvelenamento da parte di un nipote ma si trovò anche al centro di polemiche feroci, compresa quella che portò alla morte precoce di un giovane poeta, Antonio Brocardo che avrebbe osato criticare il Bembo venendo attaccato ferocemente da Pietro Aretino che scese in campo in favore di Bembo. Aretino si vantò che i suoi sonetti spinsero Brocardo alla morte È una vicenda poco chiara, nella quale il ruolo del Bembo resta un po’ in ombra; ma è anche una vicenda che apre uno squarcio sulle polemiche letterarie e sull’altissima posta ch’esse mettevano in gioco. Non fu questo l’unico contrasto con i colleghi letterati in cui Bembo si trovò implicato, a testimonianza che, a differenza di quanto Beccadelli voleva farci credere, un po’ di fiele lo aveva anche lui!

Come si sviluppò la sua attività letteraria?
L’attività letteraria di Bembo non fu precocissima. La sua prima opera a stampa di una certa ampiezza è il De Ætna, un dialogo in latino in cui egli racconta al padre Bernardo un’ascesa al monte Etna compiuta durante il giovanile suo soggiorno siciliano. L’opera fu stampata a Venezia da Aldo Manuzio nel 1496, quando Bembo aveva ventisei anni. Il giovane autore dimostra di avere le idee molto chiare: l’opera è un prodotto elegante, in un bel carattere, quello ora noto come “Bembo type”. L’esplosione letteraria del Bembo avviene però nei primissimi anni del 1500 e i primi frutti della sua attività sono edizioni di testi piuttosto che opere originali. Mi riferisco naturalmente alle edizioni – di capitale importanza – dei Rerum vulgarium fragmenta del Petrarca e alle Terze rime di Dante, ossia alla Commedia, entrambe date alle stampe, ancora una volta, da Manuzio. Con queste due edizioni, innovative in molti aspetti, Bembo sancisce il primato dei classici volgari della letteratura italiana. Segue a breve distanza un dialogo amoroso gli Asolani, ambientato nella reggia asolana di Caterina Corner, regina di Cipro, espropriata del proprio regno e relegata nella Terraferma veneta. Si dovrà aspettare fino al 1525 per l’opera maggiore del Bembo, le Prose della volgar lingua, opera nella quale, come accennato, si codifica la lingua scritta italiana proprio basandola sulle Tre Corone trecentesche, Dante, Petrarca e Boccaccio. Le Rime del Bembo escono invece nel 1530, molto tardi dunque, se si pensa che l’autore aveva sessant’anni. Avevano però circolato in forma manoscritta e attraverso altre opere – non ultimi gli Asolani stessi. La vocazione letteraria di Bembo dà insomma frutti relativamente tardi ma si era manifestata molto presto: il Bembo poco più che ventenne aveva già ben chiaro di non voler seguire la strada che era stata del padre Bernardo, ossia quella di un patrizio e funzionario della Repubblica di Venezia per cui gl’interessi umanistici dovevano essere subordinati al cursus honorum. Per questo, dopo un apprendistato filologico che si era giovato della lezione del geniale Poliziano, Bembo aveva voluto viaggiare in Sicilia per perfezionare la propria conoscenza del greco. Bisogna ricordare anche che alla propria attività in volgare Bembo affiancò un’audace produzione poetica in latino; senza dimenticare prove di più ampio respiro come la sua Historia veneta, da lui tradotta in volgare. Insomma, Bembo fu un letterato versatile capace di muoversi tra la trattatistica d’amore e quella sulla lingua, tra la poesia latina e quella volgare, tra la storiografia e la filologia (latina e volgare, come dimostra il De corruptis poetarum locis): tutto questo senza trascurare i suoi interessi scientifici.

Quali vicende segnarono la vita di Pietro Bembo?
Da un punto di vista generale la vita di Bembo incrociò e attraversò i grandi rivolgimenti storici che segnarono il tardo Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento: la fine dell’equilibro politico italiano, l’invasione francese del 1494 e le successive guerre, l’incontro con nuove genti provocato dai viaggi di esplorazione, lo scoppio della Riforma e i successivi tentativi di dialogo e, infine, l’acuirsi del conflitto religioso. Dal punto di vista personale è importante sottolineare la già ricordata decisione di rifiutare il modello paterno di politico-umanista – in parte anche conseguente a una serie d’insuccessi – per perseguire una carriera integralmente letteraria. Importanti furono certo il soggiorno siciliano al principio degli anni Novanta del Quattrocento, un periodo d’intensa felicità, e i soggiorni presso la corte urbinate e quella romana e certamente la nomina a cardinale. Dal punto di vista infine amoroso, tre legami mi paiono significativi: quello con Maria Savorgnan, quello con Lucrezia Borgia e, infine, quello con la Morosina.

Che relazioni intrattenne con le famiglie dei Medici e dei Borgia?
Bembo ebbe modo di conoscere i Medici da bambino allorché seguì il padre Bernardo nei suoi viaggi fiorentini in qualità di rappresentante della Serenissima. Fu proprio alla corte di Lorenzo che Bembo ebbe modo di conoscere il meglio della cultura fiorentina, a partire dal Poliziano. Di certo il padre Bernardo fu in rapporti di amicizia con numerosi degli intellettuali medicei, dal Landino ad Alessandro Braccesi. Bembo rimase poi sempre vicino ai Medici, dedicando ad esempio le Prose della volgar lingua a Clemente VII. Pietro fu poi legato da profonda amicizia a Giuliano de’ Medici, il Magnifico Giuliano, figlio di Lorenzo, poeta in proprio e anche protagonista delle Prose bembiane.

Quanto ai Borgia difficile non ricordare l’intenso rapporto epistolare che legò Pietro a Lucrezia: un rapporto probabilmente amoroso che di certo si nutrì di letteratura. A Lucrezia Pietro dedicò rime volgari e componimenti latini, oltre che gli Asolani – perlomeno alcune delle copie stampate recavano una dedica a lei. Non va però dimenticato che proprio in apertura di secolo il fratello di Lucrezia, Cesare, muoveva guerra al ducato di Urbino, costringendo i duchi Guidubaldo ed Elisabetta, da Bembo amatissimi, a un temporaneo esilio veneziano.

Bembo fu sempre molto sensibile alla bellezza femminile: di quali donne si circondò?
Come accennato, Bembo ebbe nel corso della sua vita una lunga e stabile relazione con una donna, Ambrogina Faustina Della Torre, meglio nota come Morosina. La relazione occupò circa un ventennio, fino al 1535 quando lei, che fu la madre dei suoi tre figli, Lucilio, Torquato ed Elena, morì. Prima e dopo numerose furono le donne con cui Bembo ebbe relazioni profonde, fossero esse amorose o di semplice amicizia e corrispondenza intellettuale. Tra queste donne troviamo alcune tra le più brillanti patrone delle arti e/o intellettuali del primo Cinquecento, da Isabella d’Este a Vittoria Colonna, da Caterina Cornaro a Lucrezia Borgia. Donne capaci di raccogliere attorno a sé cerchie d’intellettuali, grandi intendenti delle arti e, spessissimo, produttrici di cultura in prima persona. Lucrezia Borgia fu ad esempio donna colta, versata nella musica e nella poesia. Maria Savorgnan, protagonista di uno straordinario scambio epistolare con Pietro negli anni attorno al 1500-1501 fu, seppur meno nota di Lucrezia, altrettanto capace di tener testa a Bembo, anche letterariamente, non esitando ad esempio a criticarne i versi. Fondamentale poi il lungo rapporto con Elisabetta Gonzaga, duchessa d’Urbino e dedicataria del primo canzoniere bembiano nonché protagonista di una sua opera, il De Urbini ducibus una sorta di monumento postumo a lei e allo scomparso marito Guidubaldo da Montefeltro.

Come maturò la sua nomina cardinalizia?
La nomina al cardinalato – Bembo fu nominato cardinale in pectore nel dicembre 1538 e poi proclamato nel marzo dell’anno successivo – fu il frutto di un lungo processo di avvicinamento che passò anche attraverso la creazione di stretti legami con Alessandro Farnese, il cardinale nipote del papa regnante Paolo III. L’elezione coincise con un momento di acuite speranze in un rinnovamento della Chiesa, una fase in cui grandi umanisti e religiosi di ampie vedute vicini al Bembo ascesero alla porpora cardinalizia. Fu una fase però destinata a venir meno molto presto: già nel 1542 l’istituzione del Tribunale dell’Inquisizione romana preludeva a tempi difficili, sfociati poi nel rigorismo del pontificato di Paolo IV Carafa. L’ascesa al cardinalato di Bembo fu il risultato di calcoli e strategie ma io non credo che tutto si risolvesse nella ricerca di potere e legittimazione. Incapace in età giovanile di seguire le scelte eremitiche di alcuni tra i suoi più cari amici, nella tarda sua stagione Bembo fu molto probabilmente sensibile alle istanze di rinnovamento espresse dalle cerchie degli spirituali italiani, molti dei quali erano a lui molto vicini.

Come si sviluppò la collaborazione con Aldo Manuzio?
La collaborazione con Aldo è, come accennato, piuttosto precoce e si colloca alla fine del Quattrocento. Aldo aveva famigliarità con Bernardo Bembo, come Aldo stesso ricorda nella prefazione alla sua edizione di Virgilio del 1514 in cui leggiamo un affettuoso encomio di Bernardo. Furono proprio alcuni manoscritti di piccolo formato messigli a disposizione da Bernardo a ispirare ad Aldo il formato tascabile del suo Virgilio. Le tappe salienti della collaborazione con Aldo sono quelle già ricordate: il De Ætna del 1496 e poi il Petrarca del 1501 e il Dante del 1502. Tutti questi episodi si collocano anche all’insegna dell’attenzione all’oggetto libro, in particolare per quanto riguarda il formato e i caratteri, accuratamente scelti nonché per l’attenzione all’interpunzione e ai segni paragrafematici, per la prima volta usati proprio nel De Ætna. Prima ancora della pubblicazione di quest’opera però Bembo aveva collaborato con Aldo anche mettendogli a disposizione il manoscritto di una grammatica greca, gli Erotemata, di Costantino Lascaris, stampato da Aldo nel 1495.

Qual è l’eredita culturale di Pietro Bembo?
L’eredità culturale di Bembo va ritrovata nella sua proposta di una lingua italiana scritta e in quella di una forma poetica plasmate sui classici trecenteschi, al contempo elevate ed imitabili. Alla lunga questo si dimostrò un limite: già Leopardi si dimostra insofferente di uno stile poetico percepito come artificioso e retorico, privo di vera poesia. Ma è indubbio che per secoli il Bembo rappresentò un modello tanto di stile quanto di un più generale “buon gusto” letterario. Nel 1830 Bartolommeo Gamba introduceva una scelta di lettere del Bembo presentandolo come il «sì grande restitutore e padre d’ogni bel sapere». Oggi del Bembo apprezziamo anche aspetti come la competenza filologica dimostrata nelle edizioni dei classici, la sua attenzione all’ oggetto-libro, alla sua materialità tipografica nonché il gusto e l’intelligenza messi in campo tanto nella sua collezione di opere d’arte quanto nell’allestimento della sua biblioteca personale. Negli ultimi anni c’è stato un revival bembesco, inaugurato dalla mostra padovana sopra ricordata. Bembo è stato riscoperto come mecenate, come uomo dalla biografia affascinante, come esempio di un’età contraddittoria, tanto splendida quanto recante in sé i germi della propria dissoluzione. Bembo non è oggi forse più il letterato un po’ pedante che ha proposto un modello di lingua e di poesia sostanzialmente monocordi ma un uomo ricco di fascino e di chiaroscuri le cui opere conoscono rinnovato interesse, anche grazie a una serie di magistrali edizioni e a un rinnovato lavoro critico. E, cosa credo impensabile fino a non molto tempo fa, Bembo è oggi una figura familiare anche al grande pubblico.

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