“L’alfabeto della materia. Viaggio nel mondo degli elementi chimici” di Silvano Fuso

Dott. Silvano Fuso, Lei è autore del libro L’alfabeto della materia. Viaggio nel mondo degli elementi chimici edito da Carocci: quale ruolo svolgono gli elementi chimici?
L'alfabeto della materia. Viaggio nel mondo degli elementi chimici, Silvano FusoGli elementi chimici sono il costituente di tutto. Quelli conosciuti sono poco più di cento (118 per l’esattezza, di cui 92 si trovano in natura) e dalle loro combinazioni derivano tutti i possibili composti che, a loro volta, formano qualsiasi cosa sia fatta di materia. Quindi io, lei, il mio libro, il computer con cui sto scrivendo, la Luna, il Sole, i pianeti e qualsiasi altra cosa ci venga in mente è fatta di elementi. Se facciamo riferimento, ad esempio, al corpo umano, è stato stimato che esso è costituito dal 65%, in massa, di ossigeno, dal 18% di carbonio, dal 10% di idrogeno, dal 3% di azoto, dall’1,5% di calcio, dall’1% di fosforo, dallo 0,35% di potassio, dallo 0,25% di zolfo, dallo 0,15% di sodio, dallo 0,05% di magnesio, più tracce di rame, zinco, selenio, molibdeno, fluoro, cloro, iodio, manganese, cobalto, ferro, litio, stronzio, alluminio, silicio, piombo, vanadio, arsenico, bromo e persino di cobalto, mercurio, arsenico, uranio e altri.

Come si è evoluta l’idea di elemento dall’antichità a oggi?
L’idea che tutto ciò che esiste sia formato dalla combinazione di poche sostanze semplici è molto antica. Diversi pensatori greci sostennero che all’origine di tutti i corpi materiali vi fosse un unico principio che veniva chiamato arché (etimologicamente “principio, origine”). Per Talete di Mileto l’arché coincideva con l’acqua. Con Anassimene e soprattutto Empedocle fecero la loro comparsa i celebri quattro elementi aria, fuoco, acqua e terra. Insieme alla cosiddetta quintessenza di Aristotele, per secoli si pensò che fossero questi i costituenti del tutto. Con la nascita della chimica moderna però si ci rese conto che questi non erano affatto elementi, così come li intendiamo oggi.

Quando nasce la chimica moderna?
La chimica moderna nasce sostanzialmente nella seconda metà del Settecento e soprattutto a opera di Antoine Laurent Lavoisier, anche se già prima di lui furono forniti importanti contributi. Lavoisier ebbe il grosso merito di introdurre nello studio dei fenomeni chimici il metodo quantitativo, già introdotto da Galilei nello studio dei fenomeni fisici. In pratica Lavoisier introdusse l’uso della bilancia. Può sembrare banale, ma l’uso di questo strumento consentì di scoprire le leggi di base che regolano le trasformazioni chimiche (le cosiddette leggi ponderali) e di chiarire moltissimi concetti. Tra questi proprio quello di elemento. Fu Lavoisier, infatti, che per primo definì elemento una sostanza non ulteriormente decomponibile in sostanze più semplici. Lo stesso Lavoisier dimostrò che l’acqua e l’aria, ad esempio, non soddisfacevano affatto questa definizione. Nel suo Traité élémentaire de chimie, del 1789, Lavoisier individuò 33 elementi, anche se tra questi comparivano, ad esempio, la luce (lumière) e il calorico (calorique) che oggi sappiamo non essere affatto elementi.

Quando è nata e come si è evoluta la tavola periodica?
La tavola periodica è nata ufficialmente il 1° marzo (17 febbraio secondo il calendario russo) 1869. In tale data infatti Dmitrij Ivanovič Mendeleev inviò per la pubblicazione i risultati da lui raggiunti nel suo progetto di classificazione dei 63 elementi chimici allora conosciuti. Per questo motivo l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2019 “Anno internazionale della tavola periodica degli elementi chimici”. La decisione è stata supportata da più di 150 importanti istituzioni scientifiche in tutto il mondo.

Prima di Mendeleev altri chimici avevano avuto intuizioni simili. Ma l’opera del chimico russo fu di fondamentale importanza. Mendeleev ordinò gli elementi conosciuti secondo il valore crescente del loro peso atomico. La determinazione di quest’ultima grandezza fu resa possibile, con precisione adeguata, grazie alla fondamentale opera del chimico italiano Stanislao Cannizzaro, che Mendeleev ebbe modo di ascoltare in occasione del primo congresso internazionale dei chimici, tenuto a Karlsruhe nel 1860. Quindi, se vogliamo, c’è anche un po’ di Italia nell’intuizione di Mendeleev.

Successivamente ci si rese conto che il modo corretto di ordinare gli elementi non era quello basato sul peso atomico, bensì sul numero atomico. Quest’ultima grandezza corrisponde al numero di protoni contenuti nel nucleo di un atomo (che coincide pure con il numero dei suoi elettroni). All’epoca di Mendeleev tuttavia si ignorava ancora il concetto di numero atomico. Nonostante ciò, Mendeleev si rese conto che nella tabella da lui realizzata vi erano, per così dire, dei buchi. In altre parole capì che dovevano esistere degli elementi, con certe caratteristiche, che però non erano ancora conosciuti. Mendeleev ne previde l’esistenza e, puntualmente, in seguito tali elementi vennero effettivamente isolati, confermando le straordinarie previsioni del chimico russo.

Con lo sviluppo delle conoscenze sulla struttura degli atomi, si comprese poi quali fossero le ragioni fisiche per cui periodicamente compaiano elementi che presentano proprietà chimiche simili. In questo senso la nascita e lo sviluppo della meccanica quantistica sono stati determinanti.

Nel corso degli anni poi sono stati trovati (spesso creati) nuovi elementi: dai 63 elementi dei tempi di Mendeleev, ora ne conosciamo 118, gli ultimi tre dei quali sono stati inseriti ufficialmente nella tavola periodica solamente nel 2016, dalla IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry).

È possibile trasmutare gli elementi?
La trasmutazione degli elementi è stato il sogno millenario degli alchimisti (Grande opera o Opus alchemico). Al di la delle leggende, tuttavia, il sogno degli alchimisti era totalmente illusorio. Con le normali trasformazioni chimiche non è infatti neppure immaginabile riuscire a trasformare un elemento in un altro. Per ottenere questo obiettivo, infatti, è necessario modificare il numero atomico e, quindi, occorre agire direttamente sul nucleo degli atomi. Ricordiamo invece che le reazioni chimiche coinvolgono solamente la parte esterna degli atomi, ovvero gli elettroni, lasciando del tutto inalterati i loro nuclei.

Le trasmutazioni avvengono spontaneamente nei processi di decadimento radioattivo, scoperti da Henri Becquerel nel 1896. Nella radioattività spontanea, alcuni nuclei sono instabili e si trasformano quindi in altri maggiormente stabili.

Esattamente da un secolo, l’uomo ha tuttavia imparato a creare artificialmente processi radioattivi. Il merito della scoperta si deve al fisico di origine neozelandese Ernst Rutherford. Nel 1919 Rutherford osservò che bombardando l’azoto con un fascio di particelle α (emesse da un isotopo del polonio), si otteneva ossigeno (in particolare l’isotopo con numero di massa 17), con emissione di un protone. Alla prima reazione nucleare indotta da Rutherford ne seguirono molte altre.

Dicevamo che per trasmutare un elemento occorre modificare il suo numero atomico. Per fare questo occorre bombardare il suo nucleo con protoni (o deutoni). Tali particelle, tuttavia, essendo cariche positivamente, sono soggette alla forza repulsiva elettrostatica esercitata dal nucleo dell’atomo bersaglio, anch’esso positivo

Enrico Fermi ebbe l’idea di utilizzare come proiettili i neutroni che, essendo neutri, non presentavano queste limitazioni. L’idea risultò estremamente feconda. Con i neutroni potevano essere bombardati anche elementi pesanti, ottenendo isotopi radioattivi artificiali. In tal modo Fermi e i suoi ragazzi di via Panisperna riuscirono a creare una radioattività indotta in molti elementi.

Questi studi consentirono in seguito, tra l’altro, la creazione in laboratorio di molti nuovi elementi. Il primo elemento prodotto artificialmente fu il tecnezio (dal greco tecneto = artificiale) (in realtà successivamente si scoprì che il tecnezio esiste anche in natura).

Quali novità ha introdotto la teoria dei quanti?
La meccanica quantistica, sviluppatasi nei primi trent’anni del Novecento, si è rivelata l’unica strada per descrivere efficacemente tutti i fenomeni che riguardano la realtà fisica microscopica. Quindi l’unico modo per descrivere la struttura interna di un atomo è quello suggerita da questa disciplina (si tratta di una descrizione essenzialmente matematica, piuttosto astratta, ma estremamente efficace). La trattazione quantistica delle configurazioni elettroniche degli atomi dei vari elementi ha consentito di razionalizzare molti aspetti della tavola periodica. A cominciare dalla stessa legge della periodicità, formulata originariamente da Mendeleev, secondo la quale le proprietà degli elementi sono funzione periodica del loro peso atomico (o meglio, come oggi sappiamo, del loro numero atomico). La meccanica quantistica consente inoltre di comprendere perché e come gli atomi si leghino per formare le molecole: problema fondamentale per tutta la chimica.

Quanti elementi mancano ancora da scoprire?
Noi conosciamo gli elementi con numero atomico che varia da 1 (idrogeno) fino a 118 (oganesson). All’interno di questo intervallo non ce ne possono essere altri. Potrebbero invece esistere elementi con numero atomico superiore a 118: non lo possiamo escludere. Anzi, certe teorie lo ipotizzano. Tentativi sperimentali sono stati fatti per creare gli elementi 119, 120, 122, 124 e 126, ma i risultati finora sono incerti. Secondo alcuni il limite teorico massimo sarebbe il numero atomico pari a 173. Ma è più probabile che non si possa andare oltre il 126.

Si parla molto di antimateria e di materia oscura: cosa sono realmente?
L’antimateria è una realtà ben conosciuta. La materia oscura invece per ora è solo un’ipotesi.

L’esistenza delle antiparticelle è stata prevista teoricamente da Paul Adrien Maurice Dirac agli inizi degli anni trenta del Novecento. Si tratta di particelle, analoghe a quelle della materia ordinaria, ma con carica elettrica opposta. Negli anni seguenti queste particelle vennero effettivamente osservate: nel 1932 venne osservato l’antielettrone (positrone) e nel 1955 l’antiprotone.

Viene da chiedersi se con le antiparticelle si possano costruire antiatomi e quindi antielementi. La risposta è sì. A partire dalla metà degli anni sessanta, vennero realizzati nuclei di anti-deuterio (antideutoni), di anti-trizio e di anti-elio. Il 17 novembre 2010, al CERN di Ginevra, fu possibile intrappolare per la prima volta 38 atomi di anti-idrogeno per alcuni decimi di secondo. Lo stesso gruppo di ricerca, il 4 giugno 2011, riuscì a creare e a intrappolare circa 300 atomi di anti-idrogeno per il tempo record di 1.000 secondi (oltre 16 minuti).

L’antimateria trova oramai anche applicazioni pratiche. La cosiddetta PET (Positron Emission Tomography, ovvero Tomografia a Emissione di Positroni), importante tecnica diagnostica, sfrutta proprio l’emissione di positroni, ovvero antielettroni.

L’esistenza della cosiddetta materia oscura per ora è stata invece solamente ipotizzata. Se si fanno calcoli della massa deducibile dai movimenti delle galassie vicino al loro bordo e si confronta il valore trovato con quello che si può dedurre dalla loro luminosità, quest’ultimo risulta essere di gran lunga più piccolo rispetto al primo. Si può quindi dedurre l’esistenza di una massa invisibile derivante appunto da una ipotetica materia oscura. La comunità scientifica concorda in larga maggioranza con questa ipotesi. Occorre tuttavia osservare che sono anche state sviluppate teorie che ne fanno a meno (anche se presentano qualche difficoltà).

Se l’ipotesi della sua esistenza è plausibile, non sappiamo però nulla sulla natura di questa materia e sulle sue proprietà. L’unica sua proprietà certa, ammesso che esista, è che essa debba essere in grado di interagire gravitazionalmente con la materia ordinaria. Questa proprietà, infatti, è all’origine dell’ipotesi della sua stessa esistenza. Sono state formulate varie ipotesi sulla sua natura, ma si tratta di un filone di ricerca ancora totalmente aperto.

Silvano Fuso, chimico e divulgatore, ha pubblicato di recente: Chimica quotidiana (2014), Naturale = buono? (2016), Strafalcioni da Nobel (2018), L’alfabeto della materia (2019). È membro del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), della Società Italiana per il Progresso delle Scienze e della Società Chimica Italiana. Fa parte del Comitato di Redazione della rivista La chimica nella scuola della Società Chimica Italiana e del Consiglio Scientifico del Festival della Scienza di Genova. È stato intitolato a suo nome l’asteroide 2006 TF7.

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