“L’Africa è di tutti ma non per tutti. Storia coloniale italiana in Africa” di Martina Guadalti

Dott.ssa Martina Guadalti, Lei è autrice del libro L’Africa è di tutti ma non per tutti. Storia coloniale italiana in Africa edito da Effigi: qual è la situazione attuale delle ex colonie italiane in Africa?
L’Africa è di tutti ma non per tutti. Storia coloniale italiana in Africa, Martina GuadaltiLa situazione attuale delle nostre ex colonie, non è certo delle più rosee: si pensi alla guerra tra Eritrea ed Etiopia, conclusasi nel 2018 dopo anni di sanguinosi e disastrosi eventi bellici. La situazione libica invece, è ancora oggi sotto gli occhi di tutti noi. L’Italia in tutto questo ha sempre mostrato flebile interesse, e anche per questo, le nostre ex colonie sono divenute, nel tempo, i talloni d’Achille dell’intero Continente africano.

La Somalia, di cui ultimamente abbiamo sentito molto parlare per il rapimento della nostra connazionale Silvia Romani, è considerata uno dei “failed state” in preda ad un governo militare tribalista; Eritrea ed Etiopia hanno concluso la guerra più massacrante del continente e ora sono entrambi in fase di timida ripresa ma con dittatori al potere senza precedenti. In Etiopia soprattutto la situazione è molto tesa: le proteste popolari per il malcontento generale si fanno sempre più pesanti. Situazione da non credere, se si pensa ai più recenti avvenimenti: il primo ministro etiope infatti è stato anche insignito del premio Nobel per la pace, dato il suo ruolo chiave nell’aver concluso la guerra con la confinante Eritrea. Eppure, nonostante ciò, l’Etiopia è attualmente un paese sull’orlo di una guerra civile. L’Eritrea poi, detiene un triste primato: quello di essere uno dei primi 10 paesi al mondo da cui i cittadini fuggono per chiedere asilo.

Quali furono le peculiarità e le cause delle diverse fasi di espansione europea?
Il colonialismo, in senso lato, è una pratica antichissima (culminerà con le conquiste di Gengis Khan condottiero mongolo che costruì, anche se per breve periodo, un impero vastissimo nel 1200) se si tiene in considerazione il comune denominatore di tutti i casi, che è stato la volontà di sopraffazione e sfruttamento.

La prima fase della colonizzazione moderna è stata definita mercantilistica. La data di inizio la si può sancire al 1415, anno in cui il Portogallo strappò ai mori d’Africa la fortezza di Ceuta per rivendicare la religione cristiana durante le crociate contro il nemico musulmano; Questa prima fase, non a caso, fu riassunta con tre G: gold- glory- good. La seconda fase, tipicamente inglese, iniziò tra il 1550 e il 1600 ma ebbe il suo culmine in concomitanza con la rivoluzione industriale della seconda metà del ‘700.

La rivoluzione industriale infatti, porta con sé maggiore richiesta di materie prime, necessità di nuovi mercati e più impiego di forza lavoro, ed è proprio qui che la seconda espansione coloniale trova il suo perché.

La terza fase, quella di nostro interesse, prende avvio nella seconda metà del XIX secolo e, seppur con le dovute eccezioni e particolarità, durerà fino al secondo dopoguerra. Gli imperi che si sono creati in questo momento avevano caratteristiche nettamente diverse da quelle degli imperi precedenti: da un punto di vista geografico anzitutto, queste nuove mire espansionistiche puntavano a nuovi territori come Africa, Asia e Pacifico; se le vecchie colonie erano colonie di popolamento, le nuove erano quasi sempre di occupazione in cui una piccola minoranza europea esercitava il controllo politico. Infine, caratteristica saliente di questa nuova fase, è la rapidità con cui gli imperi europei riuscirono a penetrare e conquistare i territori d’oltre mare. Non a caso, i quattro decenni che seguono il periodo 1870-1880 sono stati definiti “età dell’imperialismo”.

Le particolarità e le cause di questa nuova fase di espansione sono interconnesse tra loro, tanto che ci sono state successive discordanze ed interpretazioni divergenti tra gli storici e gli studiosi.

Una prima ed importante causa va ricercata nel contesto storico, che è quello della seconda rivoluzione industriale, la quale, con l’introduzione della produzione di massa, delle linee di assemblaggio e dell’energia elettrica, aumenta vertiginosamente la produzione, costringendo le potenze europee a ricercare ancora nuovi mercati, nuove terre per i contadini e materie prime quali, ferro, rame e petrolio. Ma le cause nuove e più interessanti da analizzare riguardano i caratteri socio-politici e culturali. Infatti, se fino a questo momento le cause principali dell’espansione europea erano da ricercare in obiettivi economici, adesso le mire espansionistiche sono incentivate da nuovi obiettivi: anzitutto strategici a livello politico- culturale, poiché possedere molte terre era simbolo di una nazione forte, da temere, ed inoltre garantiva un esercito assai numeroso; è proprio questo uno dei cardini dell’idea nazionalista che si divulgherà rapidamente, sia tra i governi che tra i cittadini, in questo periodo. Ma la particolarità di questa fase è che la colonizzazione veniva teorizzata e giustificata delle potenze europee come “missione civilizzatrice”, poiché queste, superiori a livello culturale e razziale, avevano l’importante compito di civilizzare il mondo barbaro trasmettendo la cultura occidentale.

Quali vicende segnarono la colonizzazione del Continente africano, dai primi tentativi portoghesi fino ad arrivare al cosiddetto Scramble for Africa?
Il caso africano è un caso emblematico per quanto concerne la colonizzazione del periodo imperialista in cui si inserisce. La brama di conquista del XV secolo, infatti, si inizia ad estendere anche all’Africa ma con risultati deludenti. La costa occidentale venne raggiunta per prima dai portoghesi, quando nel 1485 tentarono di costruire una colonia in Angola ma rinunciarono, per le molte avversità tra cui l’ostilità della popolazione e l’impenetrabilità a livello naturale. Per iniziare a vedere dei fragili e piccoli successi si dovrà attendere la metà del XIX secolo, quando ergeranno fortificazioni lungo la costa della Mauritania, ma senza riuscire ad entrare nei territori interni, per molteplici fattori: primo tra tutti la resistenza dei nativi, che mise in serie difficoltà i portoghesi e i loro successori; le barriere ecologiche poi, rendevano il territorio restio alle potenze europee, e le malattie endemiche di quelle zone sconosciute agli europei erano temute ancor di più.

Proprio l’esperienza portoghese scoraggiò a lungo le altre potenze nell’impresa, e per questo il continente africano rimase largamente sconosciuto.

La svolta si ha quando gli europei, con il progresso tecnologico e scientifico, iniziarono ad acquisire nuove conoscenze in alcuni fondamentali ambiti: armi, medicina e navigazione, che permisero di iniziare la penetrazione. Così, se prima del 1870 l’Africa era interessante solo sotto l’aspetto di nuovi mercati, nuove materie prime e nuovi schiavi, dopo tale data la penetrazione europea diviene una vera e propria corsa all’Africa.

Il colonialismo europeo in Africa, non a caso, è un colonialismo a se stante: l’Africa è il primo continente in cui gli europei incontrano serie e insormontabili difficoltà, superate solo grazie al progresso industriale che ha permesso, ad esempio, con i battelli a vapore, di esplorare e risalire fiumi come il Niger, e di sconfiggere malattie come la malaria. Si pensi che, tanto per citare un esempio, ci sono voluti anni e anni di studi per capire la provenienza della malaria che inizialmente si credeva fosse causata dalle zone putride e palustri delle città (da cui, non a caso, deriva il nome “mala aria”, ovvero, “cattiva aria”).

Come si sviluppò il colonialismo italiano?
La storia coloniale italiana è una storia coloniale recente e poco gloriosa. Nel periodo delle grandi esplorazioni geografiche del XV secolo infatti, alcuni paesi europei iniziarono ad estendere i propri domini oltreoceano creando dei veri e propri imperi.

Ferdinando I Granduca di Toscana intraprese l’unico tentativo italiano di creare colonie in America organizzando nel 1608 una spedizione nel Nord del Brasile, sotto il comando del capitano inglese Robert Thornton. Tuttavia, al suo ritorno dal viaggio preparatorio nel 1609 trovò Ferdinando I morto e il suo successore, Cosimo II, abbandonò il progetto. Per iniziare a vedere l’attività coloniale italiana bisognerà dunque aspettare la creazione del Regno d’Italia (1861) dato che, a differenza delle altre potenze europee, l’Italia nel suo complesso mostrò scarso interesse per l’Asia, dove la sua attività coloniale si limitò alle piccole concessioni cinesi di Tientsin e Shangai e all’occupazione dell’Anatolia sudoccidentale. Il neonato Regno d’Italia puntava a stabilire il proprio dominio sulla vicina Tunisia, paese sulla sponda opposta mediterranea, in cui si era stabilita da qualche anno una proficua comunità di connazionali. Tuttavia, la Francia se ne impadronì nel 1881, provocando una indispettita reazione del governo Depretis. Fu proprio per l’azione improvvisa della Francia che l’Italia intraprese i contatti diplomatici con la Germania e l’Impero Austro Ungarico che portarono alla firma del trattato della Triplice Alleanza nel 1882.

Indubbiamente quindi, quello italiano è stato un colonialismo peculiare: iniziato come detto, in ritardo appena dopo l’Unità, e ristretto nel tempo, quando oramai per le altre potenze si andava sempre più verso la decolonizzazione. I possedimenti italiani erano più piccoli ed economicamente meno vantaggiosi. È da considerare inoltre che il governo incitava molti connazionali a trasferirsi nelle colonie, anche per diminuire l’enorme flusso di emigrazione verso i più disparati angoli del mondo (soprattutto dal Mezzogiorno, che, già povero, non di rado considerava quello piemontese di per sé un colonialismo).

Tutto questo però non vuol dire che i nostri soldati e amministratori furono “brava gente”. Il colonialismo in generale ha seguito un meccanismo di esportazione del modello di civiltà europea mediante l’uso di imposizione, altrettanto fece quello italiano in Etiopia, Eritrea, Libia, Somalia, esercitato con massacri, deportazioni, stermini, leggi razziali. Una delle fasi iniziali della storia colonialista, come si vedrà, inizia sul finire dell’Ottocento con l’occupazione italiana della città portuale di Assab. Propagandata con la retorica di aprire scenari di grandezza alla giovane nazione, dietro l’impresa si celavano in realtà interessi di molti armatori, soprattutto genovesi, che volevano l’espansione del porto.

Nel 1896 con la famosa battaglia di Adua, dove l’esercito italiano fu pesantemente sconfitto da quello abissino guidato da Menleik Ii, le ambizioni coloniali italiane si fermarono nuovamente in una situazione di stallo e incertezza. Altra tappa importante del colonialismo nazionale è l’esperienza in Somalia ed Etiopia, dove però la colonizzazione non si realizzò mai del tutto.

Se poi si pensa al fatto che, l’epilogo del colonialismo italiano lo si può sancire dal ’43, con l’invasione britannica dei possedimenti italiani, si capisce quando il colonialismo nostrano sia stato breve e poco glorioso ma non per questo poco distruttivo per le civiltà native.

Come furono conquistate Eritrea ed Etiopia e quali investimenti economico-sociali attrassero, soprattutto durante il periodo fascista?
Brevemente possiamo dire che non è un caso se la storia coloniale italiana in Etiopia ed Eritrea sia quella del periodo fascista, questo perché fino a quel momento i successi coloniali erano stati timidi e imprecisi soprattutto in queste zone. Per quanto concerne l’Etiopia possiamo dire che tutto ebbe inizio in seguito ai fatti di Ual Ual, uno scontro armato avvenuto nel dicembre del 1935, che vide contrapposte truppe etiopiche che attaccarono il presidio italiano occupato da truppe coloniali, per il possesso della omonima località di confine. La guerra fu la campagna coloniale più grande della storia: la mobilitazione italiana assunse dimensioni straordinarie, impegnando un numero di uomini, una modernità di mezzi e una rapidità di approntamento mai visti fino ad allora. Fu un conflitto altamente simbolico, nel quale il regime fascista impiegò una grande quantità di mezzi propagandistici con lo scopo di impostare e condurre una guerra in linea con le esigenze di prestigio internazionale e di rinsaldamento interno del regime stesso, voluto da Benito Mussolini, con l’obiettivo a lungo termine di orientare l’emigrazione italiana verso una nuova colonia popolata da italiani e amministrata in regime di apartheid sulla base di una rigorosa separazione razziale. L’Etiopia fu così annessa all’Africa Orientale Italiana e con questa conquista venne simbolicamente sancita la nascita dell’Impero italiano. L’occupazione relativamente breve di 5 anni, e le difficoltà di pacificazione della zona, non permisero il completamento dei progetti che puntavano a far diventare la zona «il fiore all’occhiello dell’Impero Italiano»: nelle campagne proseguì infatti la resistenza dei guerriglieri etiopi guidata da numerosi ras, nonostante le dure azioni repressive di risposta delle forze italiane.

La storia coloniale italiana in Eritrea invece, risale a molto prima del periodo fascista. Nel 1885 infatti, l’Eritrea divenne la prima colonia italiana, per questo denominata anche, in accezione gloriosa, “colonia primogenita”. Inizialmente il successo fu fortemente criticato soprattutto per il dispendio economico ritenuto esagerato poiché si trattata di territori lontanissimi e poverissimi. Questa iniziale posizione fu una delle cause per cui il rapporto con le popolazioni locali fu difficile e aspro; si pensi che nel 1933 gli indigeni erano 150.000 e gli europei appena 3.600. Durante il Fascismo poi, la colonia prese parte ad un progetto di modernizzazione che cercò di tramutarla in un importante centro per la commercializzazione di prodotti e materie prime. In questo periodo divenne la colonia con la maggiore presenza italiana, e vi fu anche un notevole sviluppo del cattolicesimo. Vennero sviluppati servizi sanitari e ospedalieri; l’agricoltura e le infrastrutture. Fino al 1936, anno della conquista dell’Etiopia e della creazione ufficiale dell’Impero, nonostante le molteplici varietà etniche, il governo fascista riuscì a mantenere uno stabile equilibrio. Ma con la creazione dell’Impero, Mussolini cercò di assoggettare alle sue ideologie anche le popolazioni locali, soprattutto per motivi militari. Venne così scelta come sede per le industrie nell’Africa Orientale italiana, soprattutto per la creazione di armi e munizioni; venne introdotta come lingua ufficiale l’italiano, e la moneta divenne la Lira dell’Africa Orientale italiana.

Quali correlazioni esistono tra le problematiche di vario genere presenti nelle nostre ex colonie e l’opera colonizzatrice italiana?
Sono evidenti e non si possono nascondere le problematiche attuali delle nostre ex colonie, che quantomeno in parte, smascherano il mito degli “Italiani brava gente”. L’Italia è responsabile ed ha giocato un ruolo importante nella creazione delle situazioni drammatiche delle ex colonie (come chiaramente anche le altre ex potenze coloniali, in particolare Francia e Gran Bretagna). Le responsabilità italiane vanno dal non aver perseguito una decolonizzazione consona ai luoghi dominati, che ha quindi portato al susseguirsi di guerre civili e dittature, perché è chiaro che un popolo colonizzato per molto tempo con violenza e sopraffazione non è in grado di formare un nuovo governo diverso da quello coloniale che anche solo lontanamente si possa avvicinare ad una forma democratica; la scarsità di infrastrutture create, nonostante gli ambiziosi progetti, ha prodotto delle discrepanze e delle falle enormi; la scelta poi, di non dare a tutti una pari istruzione, ha portato alla situazione di analfabetismo dilagante che ancora oggi questi paesi si trovano a dover vivere. Si pensi anche al conflitto da poco concluso tra Eritrea ed Etiopia: non che si voglia addossare di questo la colpa all’Italia, ma di certo negli anni a questa guerra è stata data pochissima importanza, ed è proprio questa, a mio avviso, una delle più grandi colpe italiane: il silenzio assordate che è calato attorno alle ex colonie, come se d’un tratto, con la loro perdita, queste non fossero mai esistite. Ci sono voluti infatti storici dal calibro di Angelo del Boca per cercare di sfatare il mito degli “Italiani brava gente”, per portare alla luce anche i misfatti e le crudeltà del periodo coloniale, a partire proprio dalla strumentalizzazione becera e intollerabile della figura femminile. Sono ormai ben noti gli episodi di violenze e stupri dei militari italiani in Somalia, così come nelle altre colonie. Lo stesso Indro Montanelli dichiarò con entusiasmo maschile di aver sposato una dodicenne quando era soldato in Abissinia.

Ecco, in conclusione, la più grande colpa dell’Italia è stata quella di aver rinnegato per troppo tempo la sua storia creata attorno al mito della colonizzazione giusta e civilizzatrice, andata male per fortuiti eventi avversi, quando in realtà la colonizzazione italiana, al pari delle altre, non era affatto nobile o ideologica ma solo mossa da mire espansionistiche e brama di sopraffazione, con annesse tutte le carenze che il nostro Paese ha sempre vissuto.

Martina Guadalti, 26 anni, di Magliano in Toscana, piccolo borgo della maremma grossetana, aspirante giornalista, scrive per diverse testate, tra cui il giornale indipendente Libero Pensiero. È laureata in scienze politiche presso la facoltà Cesare Alfieri di Firenze con una tesi sulla guerra del Vietnam raccontata da alcuni illustri giornalisti, e attualmente sta concludendo il CDLM in pubblica amministrazione presso la Facoltà di Siena, con una tesi che tratta del rapporto tra stato e regioni nella gestione dell’emergenza da Coronavirus. In questo suo primo libro ha unito la passione per la storia con quella per l’Africa, cercando di dare voce e dignità ad un periodo del nostro passato su cui ancora gravano molte ombre.

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