
Come è nata la sua ricchezza?
Soros come dicevo è diventato ricco speculando sulle valute, in sostanza nei primi anni della sua carriera era un grande trader di borsa e sopratutto del Forex, forse uno dei massimi, il che avvenne sfruttando appieno la sua ‘invenzione’ finanziaria, gli hedge funds, veicolo ideale di chi ha vasti patrimoni e punta a speculare sui mercati. Il suo Quantum Fund fu il primo fondo hedge macro del mondo. Eppure ricchezza e fama arrivarono solo nel 1992. Per noi italiani fu l’anno drammatico di Tangentopoli e delle efferate stragi in cui morirono Falcone e Borsellino per mano della mafia. Mi permetto di segnalare che in L’Affaire Soros, di interesse quasi storico è il capitolo dedicato all’attacco alla lira, nel settembre di quell’anno. Ricostruisco dettagli e testimonianze di cui il deep state bancario e politico-istituzionale non ha mai più parlato, ancor oggi quegli eventi sono tabù. Come le dimissioni segrete dell’allora presidente del Consiglio Carlo Azeglio Ciampi (futuro presidente della Repubblica); senza parlare della narrazione sul ‘prelievo forzoso’ (l’espressione ‘mani in tasca agli italiani’ nasce da lì) attuato dal premier Giuliano Amato; le incredibili dichiarazioni di Bettino Craxi e di Paolo Cirino Pomicino sui “soliti ignoti” che s’erano arricchiti sulla scia di Soros con la svalutazione della lira; la caotica uscita della nostra moneta dallo SME; le enormi tensioni geopolitiche dell’intero Occidente e dell’Europa scaricate su Roma. Soros divenne veramente ricco proprio in quei giorni, per l’esattezza il 16 settembre 1992, passato alla storia come ‘Black Wednesday’: alla fine di quella fatidica seduta di borsa, in cui Quantum Fund sbancò la Banca d’Inghilterra e provocò l’espulsione della sterlina dallo SME, Soros guadagnò in poche ore 1 miliardo di dollari. Fu il primo gradino di una straordinaria scalata al successo, un attacco speculativo senza precedenti, di enorme eco globale, fece tremare le borse e il sistema monetario mondiale. Va detto che l’intento di Soros non era politico, nessuna intenzione di far tracollare i regimi democratici a Roma o Londra: suo obiettivo era arricchirsi, fare soldi rapidamente e senza fatica, tramite pochi sell e short ben piazzati, speculando su monete deboli di paesi in precarie condizioni economiche.
Quali vicende hanno segnato la sua vita?
Direi che i capisaldi della vita di Soros non sono molti. Innanzitutto, è nato a Budapest nel 1930 da una famiglia ebrea ed è scampato sia al nazismo che al comunismo, eventi che hanno profondamente segnato il suo modo di pensare. Da ragazzo non aveva mire finanziarie ma soprattutto filosofiche, al punto che, lasciata clandestinamente l’Ungheria e trasferitosi a Londra, a chi gli domandava cosa volesse fare da grande, rispondeva che avrebbe voluto essere un Einstein o un Keynes. Nella fase degli studi universitari si convinse a coltivare l’economia mescolandola alla filosofia grazie a Karl Popper, suo professore alla London School of Economics, dal quale prese l’idea di Open Society; e infatti il gruppo filantropico di Soros si chiama prorio Open Society Foundations, in omaggio a Popper. Altra tappa importante fu il trasloco a New York, capitale finanziaria mondiale, dove il giovane ungherese cominciò a lavorare in banca e poi in finanza. Dopo qualche anno di brillante gavetta, il lancio del primo hedge fund mondiale, fu il momento di vera svolta per Soros. La grande abilità di trader, i colpi speculativi sui mercati, le scommesse azzardate ma non complicate, e i soldi arrivarono presto copiosi; fin troppo. Per questo, ad un certo punto, Soros decise di donare gran parte della sua fortuna (non secondarie le ragioni fiscali). In totale, a conti fatti, il magnate ha regalato per sostenere cause benefiche l’enorme somma di 32 miliardi di dollari, il che ne fa il terzo maggior filantropo del mondo dopo Bill Gates e Warren Buffett. Agli oltranzisti di destra questa attività di benefattore dà sui nervi perchè Soros finanzia cause progressiste, liberal, di sinistra o “buoniste”, come dicono i sovranisti con disprezzo. Se per assurdo finanziasse l’Isis, una fabbrica di armi o un cartello messicano della droga tipo El Chapo, non sarebbe accolto con lo stesso odio e veleno che gli viene riservato sul web.
Da dove nasce la leggenda nera su George Soros finanziatore occulto di trame eversive e capo della cupola che vorrebbe dominare il mondo?
George Soros è stato accusato, in certi particolari casi non senza fondamento, di essere responsabile di crisi economiche e di tracolli valutari, il che è vero come abbiamo visto nei casi della sterlina e della lira (ma operò anche contro il rublo ai tempi del passaggio dall’Unione Sovietica alla Federazione Russa, e contro le valute asiatiche, tra cui il ringgit della Malesia e il baht della Thailandia). Ma è sul fronte politico che si concentrano le accuse di complottisti e cospirazionisti contro l’ebreo nato a Budapest. Cosa dicono i militanti anti-Soros? Che fin dagli anni ’90, Soros avrebbe aiutato a finanziare rivolte di piazza e proteste di popolo, tra cui quella contro il presidente Slobodan Milosevic in Serbia. E ci sarebbe stato lui dietro i venti pro-democrazia che soffiano sulla Repubblica Ceca e in Slovacchia; e prima ancora dietro la “rivoluzione arancione”, il movimento di protesta sviluppatosi in Ucraina in occasione delle elezioni presidenziali del 2004, o la “rivoluzione delle rose” del 2003 in Georgia conclusasi con la sconfitta del presidente Eduard Shevardnadze. E la sua mano si sarebbe avvertita anche in varie Repubbliche della ex Jugoslavia. La verità è che nella vicenda di George Soros, un dato inconfutabile risulta con chiarezza: la narrativa dominante contro di lui viene da destra. E, sia in America che in Europa, dalla alt-right, la destra alternativa. Ovvero quei gruppi mossi da un’ideologia estrema, reazionaria, nazionalista, sovranista e spesso di stampo esplicitamente neo-fascista e neo-nazista, che ripudiano la politica dei partiti tradizionali e che prosperano grazie a un diluvio di propaganda a base di falsi, hate speech, antisemitismo, violenza verbale disseminata sul web e praticata nella vita reale. Alcune trasmissioni tv americane, veicolate dal canale di Rupert Murdoch Fox News (oggi organo ufficioso del Partito Repubblicano e del trumpismo) a partire dagli anni 2000 ingigantirono, senza alcun fondamento, la leggenda di Soros, tra fake news colossali alimentate prima da gruppi fringe ai margini della politica, e in tempi più recenti dalla destra di governo, con in testa Donald Trump alla Casa Bianca e il premier Viktor Orbàn in Ungheria. Campagne diffamatorie costruite su pochi spezzoni di verità, l’effettiva natura di un ricco filantropo con idee liberal. Da qui nacque l’identikit che gli è stato affibbiato di “pericoloso estremista della sinistra radicale”, simbolo del male assoluto, capo della cupola che vorrebbe dominare il mondo. Slogan che poggiano sui capisaldi concettuali (si fa per dire) della destra da internet, rilanciati da centinaia di blog e siti semi-clandestini e da schiere di troll anonimi. Concetti come “sostituzione dei popoli”, “rimpiazzo etnico” (tesi sostenuta pubblicamente anche dal leader della Lega Matteo Salvini, che ha affermato: «Posso combattere un miliardario speculatore che vuole riempire l’Europa di finti profughi? O sono un nazista?») o anche il famoso “piano Kalergi”, cioè la teoria – un falso storico acclarato – secondo cui esisterebbe un progetto, perseguito come ovvio da George Soros, volto a far fluire in Europa e in particolare in Italia i migranti africani e asiatici (ma anche masse di gay e musulmani) al fine di rimpiazzare le popolazioni locali e sovvertire così le sovrane radici di uomini bianchi cristiani abitanti nel Vecchio Continente, fomentando il caos. Una semplificazione per anime semplici e ignoranti, visto che in Italia nel 2019 sono entrati 9.600 immigrati su una popolazione di 60 milioni di persone, ovvero lo 0,016%. Di vero c’è che, sul fronte politico, Soros ha in effetti finanziato a suon di milioni di dollari non solo migliaia di piccole associazioni progressiste pro-democrazia, anti-discriminazione, a favore della libertà di parola e di commercio, che fanno del bene nei confronti di poveri, emarginati e “invisibili” ma ha dato soldi anche alle campagne elettorali presidenziali negli Stati Uniti dei democratici Barack Obama e Bill e Hillary Clinton, e in Italia, a suon di centinaia di migliaia di euro, ai radicali di Emma Bonino e nel 2019 ai rimasugli del partitino +Europa (nel libro c’è una lista dettagliata di tutti i finanziamenti). Ma al dunque se uno si chiede: da dove ha origine tutto questo odio contro George Soros? Ebbene, ripetiamolo, a destra non hanno dubbi: Soros è il nemico da abbattere perché con la Open Society Foundations da anni devolve con regolarità un budget di 1 miliardo all’anno per sostenere tutte – ma proprio tutte – le cause sociali care alla sinistra. La sua visione del mondo è progressista, globalista, favorevole all’immigrazione, ai porti aperti, alle Ong e a una miriade di piccole organizzazioni sul territorio impegnate nell’attivismo con impatto sociale: un “buonista” che va punito.
In che modo i social sono riusciti a far di lui un mostro?
L’Affaire Soros nasce proprio dal mio desiderio di studiare come nasce un mostro sul web, capire e illustrare i danni psicologici, culturali e politici dell’imbarbarimento derivante da un uso sbagliato e ormai degenerato delle piattaforme social come Facebook, Instagram, Twitter gestite dalle multinazionali di Silicon Valley. Per certi aspetti si tratta di fenomeno ancora nuovo e non ancora percepito nella sua pericolosità. Nel caso di Soros, il fatto che sia ebreo e ultraricco ha aumentato il suo karma tenebroso, facilitando le cose ai tanti odiatori di professione impegnati a diffonderne un cliché negativo universale. Il mio obiettivo era scrivere di questi temi senza opinioni preconcette. Non era facile. Ma la storia di come un ebreo miliardario sfuggito alla Shoah sia stato trasformato in una creatura orribile (come accadde nel 1894 appunto nell’Affaire Dreyfus, l’ufficiale napoleonico sottoposto a processo per nessun’altra colpa se non l’essere jewish) è descritta per esteso in tre dei diciannove capitoli in cui è diviso il libro, cioè: 1) Tutte le cospirazioni e i complotti minuto per minuto; 2) Genesi dell’odio da Larouche a Orbàn; 3) Casa Bianca e fake news: la carovana dei migranti. In questi tre capitoli decine di pagine sono ricche di documenti, analisi, fatti, eventi che dimostrano come un mostro mediatico possa essere concepito a tavolino grazie all’abile utilizzo e alle manipolazioni sui social e in tv. Come ho detto, le parole velenose degli haters contro Soros, sia in America che da noi, vengono dalla alt-right, la destra alternativa, spesso nazionalista, fascista, nazista e suprematista. Nell’attuale sub-cultura globale di internet che passa dalle pagine di Facebook, Twitter, Instagram e molte altre piattaforme, in cui le fonti sono suggestive e di rado verificabili (l’accertamento della veridicità non interessa a nessuno) non è difficile far sì che la leggenda reazionaria e antisemita del “nemico pubblico n.1” si alimenti, è una sorta di inarrestabile effetto domino. Qualche anno fa si diceva Rothchild, per indicare il campione di tutte le trame cospirazioniste globali, oggi si pronuncia il palindromo Soros e si va sul sicuro. È un fiume in piena, scatta il riflesso condizionato alla Pavlov: trama di sinistra = Soros. Accade poi che ogni attività che viene messa in campo per contrastare le fake news, su Soros e altri target simili, finisce per contribuire a rafforzare le teorie del complotto. Una conseguenza paradossale quasi impossibile da evitare, al punto che anche io mi sono chiesto se il mio libro, nonostante il debunking, non stia contribuendo indirettamente alla costruzione di questo Frankenstein. A meno che, e questo è un tema delicato, non si cominci a correre presto ai ripari. Come? Tramite un controllo serio ed efficace delle piattaforme social che fanno capo alle Big Tech di Silicon Valley, oggi sede e strumento di uno strapotere sovranazionale senza precedenti, spesso però preso in ostaggio da una piccola ma aggressiva mafia di minoranze faziose esperte nel diffamare. L’indifferenza uccide, come afferma la senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, alla quale si deve la recente nascita (il 30 ottobre 2019) di una Commissione straordinaria al Senato che indagherà proprio sull’odio digitale, l’intolleranza, il razzismo, l’antisemitismo e l’hate speech. E per questo, contestualmente alla pubblicazione de L’affaire Soros, mi fa piacere annunciare la nascita in Italia di un’associazione no profit di cui sono il portavoce a cui abbiamo dato una missione difficile e importante per i prossimi anni. Si chiama StopSocial.it, dovrà monitorare e cercare di contrastare l’odio e l’hate speech che hanno invaso la rete. Vaglierà gli aspetti tecnici, giuridici, costituzionali (l’articolo 21 della Costituzione dice che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, ma troppo spesso si va oltre il tollerabile) la tutela della privacy, il cyberbullismo, fino alla vendita e manipolazione dei dati personali degli utenti a fini politici ed elettorali. StopSocial.it è appena nata, non è di parte, è come Davide contro Golia ma ha le idee chiare: vuole combattere in Italia e in Europa l’ignoranza e l’oscurantismo veicolati dai colossi americani del web, senza nulla togliere a quel che di buono internet comporta (moltissimo) e sempre con il massimo rispetto della Costituzione.
Luca Ciarrocca, imprenditore del web, giornalista e scrittore, ha vissuto per molti anni a New York, dove è stato corrispondente di importanti testate. Nel 1999 ha fondato Wall Street Italia, il primo sito italiano indipendente di economia e finanza, che ha diretto per quindici anni fino alla vendita nel 2014 a un gruppo media quotato in borsa. Oltre a L’Affaire Soros (Chiarelettere 2019) è autore di I padroni del mondo (Chiarelettere 2013), Rimetti a noi i nostri debiti (Guerini e Associati 2015) e Intervista sulla Cina (Gangemi Editore 2018). Combatte per una riforma del capitalismo finanziario estremo e per un controllo dell’hate speech sui social media, tramite l’associazione StopSocial.it.