“Kitchen” di Banana Yoshimoto

Kitchen
di Banana Yoshimoto
Feltrinelli Editore

«Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra meglio che pensare che sono rimasta proprio sola.»

Mikage Sakurai è una giovane studentessa universitaria che – da tempo orfana di madre e padre – in seguito alla scomparsa dell’amata nonna, si ritrova sola al mondo. Sola ma almeno in compagnia della cucina, ultimo rifugio in una casa troppo vuota e silenziosa che non può più riconoscere come sua. Travolta da una perdita tanto brutale e completamente abbandonata a se stessa, la ragazza vive un momento di stordimento completo: ormai divenuta insonne, affronta le giornate in uno stato catatonico, senza le energie mentali necessarie per continuare a frequentare i corsi accademici, provvedere alle sue necessità di base o cercare una nuova abitazione in cui trasferirsi a vivere da sola.

Mentre tutto sembra andare inesorabilmente alla deriva, come un’apparizione divina nella vita di Mikage arriverà Yuichi Tanabe – semisconosciuto compagno di università e impiegato part-time nel negozio di fiori prediletto dalla defunta nonna – che, a conoscenza della condizione della ragazza, le apre le porte della casa che condivide con la madre.

Nonostante l’iniziale incredulità, Mikage si sente immediatamente avvolta dal tepore di casa Tanabe dove trova innanzitutto una nuova cucina da amare e abitare e, poi, una nuova – per quanto non convenzionale – famiglia a cui affidarsi. Con Yuichi, dolce e mai invadente compagno di tè notturni e implicite tenerezze ed Eriko, madre (in origine padre) di Yuichi e donna transessuale dal fascino indimenticabile, la giovane orfana riesce a creare quel nucleo familiare sempre desiderato: grazie al loro sostegno, infatti, sarà in grado di affrontare l’onda di dolore del lutto e a trovare una nuova strada da percorrere nella vita che, com’è inevitabile, passerà finalmente attraverso la cucina.

Dopo l’inizio di un nuovo lavoro come assistente di una maestra di cucina e il trasferimento in una casa tutta per sé, tuttavia Mikage si allontana sempre più da Yuichi – con cui nel frattempo il rapporto si è fatto sempre più ambiguo – fino a quando la notizia di una nuova tragedia inaspettata non porterà i due a fare i conti per l’ennesima volta ciascuno con la propria solitudine, alla ricerca di un modo per farle incontrare così da creare, da tanto dolore, nuova vita e nuovo amore.

Delicato e insieme intenso, Kitchen è il romanzo d’esordio dell’autrice giapponese Banana Yoshimoto (pseudonimo di Mahoko Yoshimoto), con il quale ha riscosso in Italia e nel mondo un successo formidabile che, ancora a distanza di più di trent’anni dall’inizio della sua carriera letteraria, non accenna a tramontare.

Le ragioni di una tale popolarità sono probabilmente da attribuire alla capacità della Yoshimoto di trattare con un linguaggio accessibile a tutti temi universali come la perdita, il dolore, l’assenza di legami e la solitudine, calati all’interno del contesto – spesso straniante – del Giappone contemporaneo.

Ciò risulta particolarmente evidente all’interno delle vicende di Mikage e Yuichi, due ragazzi molto giovani eppure estremamente soli, che, prima ancora dei lutti che li colpiscono nel corso del romanzo, potevano contare solo su un fragilissimo equilibrio familiare: entrambi, infatti, hanno un’unica figura di riferimento nella vita e nessuna rete di rapporti affettivi su cui fare affidamento in caso di necessità : nel caso di Mikage, la nonna; nel caso di Yuichi, Eriko – il padre poi divenuto madre per scelta in seguito alla morte, avvenuta molti anni prima, della madre biologica del ragazzo.

Questo stato di costante precarietà è descritto con grande lucidità dalla stessa Mikage: «anche quando ero pazzamente innamorata, o allegra per aver bevuto molto, dentro di me avevo sempre la consapevolezza che tutta la mia famiglia era una sola persona. […] Anche per Yuichi è stato così, credo. Quanti anni avevo quand’ho capito che su quel sentiero buio e solitario l’unica luce possibile era quella che io stessa avrei emanato? Anche se sono stata allevata con amore, mi sono sempre sentita sola».

Al di là dei rapporti familiari, poi, Mikage e Yuichi non possono neanche contare neanche su una rete di amicizie e rapporti sociali: entrambi, infatti, hanno un’indole poco estroversa che li porta a collezionare conoscenze e fidanzati qua e là, ma mai nulla di davvero profondo.

Essendo queste le premesse, è evidente che la perdita delle uniche figure genitoriali nelle loro rispettive vite – la nonna ed Eriko – avrebbe inevitabilmente portato alla perdita di ogni interazione umana e, dunque, all’isolamento completo. Ed è questo, infatti, ciò che inizialmente succede a Mikage – sola in una casa troppo silenziosa e completamente persa – almeno fino all’intervento provvidenziale di Yuichi; è questo che sarebbe successo, poi, a Yuichi – determinato a scappare dalla città, sempre ubriaco, per fuggire da un dolore incomprensibile – se già non avesse avuto nella sua vita Mikage in grado di mettere da parte il suo stesso lutto per Eriko pur di tendere una mano al giovane che, a suo tempo, le aveva salvato la vita.

Sta proprio in questo il cuore pulsante del romanzo che non è solo una storia di solitudine giovani, ma è la narrazione della ricerca disperata di un legame con l’altro, la cui costruzione implica il superamento della propria sofferenza personale per accogliere e guarire quella dell’altro. Non sempre la sofferenza è comunicabile, non sempre è in grado di unire perché a volte chi ha sofferto una perdita vorrebbe solo lasciarsi andare al proprio dolore per sempre, senza provare mai più ad aprirsi a nuovi rapporti per la paura di soffrire di nuovo. Eppure, nella maggior parte dei casi, la cura passa proprio da lì. Però ci vuole coraggio, un coraggio che per fortuna non manca ai nostri personaggi. Per questo c’è tanto dolore in Kitchen, ma c’è anche tanta famiglia. Ci sono quelle naturali che, purtroppo per i protagonisti, si disgregano troppo presto; e poi ci sono le famiglie ri-create, quelle inverosimili e sgangherate ma non per questo meno amorevoli: Mikage e la nonna ed Eriko e Yuichi, Mikage, Eriko e Yuichi e, infine, a fatica, Yuichi e Mikage.

E se questo è un romanzo che parla di famiglia, quale titolo è più calzante di Kitchen? Quale altro luogo è vissuto da un nucleo familiare quanto la propria cucina? Nessuno. Lo sa bene Mikage la cui ossessione per le cucine altro non è che il tentativo commuovente di ritrovare uno spiraglio di calore familiare sempre desiderato e quasi mai raggiunto. Un calore che, forse, sarà in grado di creare davvero solo con Yuichi.

Giada Schiavino

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