“Keep watching. Piccola guida alle serie televisive” di Nazzareno Mazzini

Dott. Nazzareno Mazzini, Lei è autore del libro Keep watching. Piccola guida alle serie televisive pubblicato da Ledizioni. Le serie TV sono diventate una presenza importante nella nostra vita, modificando le abitudini dei telespettatori: quali sono le ragioni alla base del successo planetario della serialità televisiva? E in che modo il mondo del telefilm si sposa perfettamente con i new media?
Keep watching. Piccola guida alle serie televisive, Nazzareno MazziniParlare di serie significa occuparsi in prima istanza di intrattenimento, di quel tempo (libero?) che dedichiamo elettivamente a “divertirci”, dopo le ore di fatiche e gli impegni lavorativi. Ho messo il punto di domanda dopo libero perché uno degli effetti della rivoluzione digitale è questo tracimare delle visioni seriali in tutti gli angoli della giornata, a volte anche durante il tempo-lavoro. Diversi miei studenti mi confessano di guardare “sempre” le serie durante le giornate in cui lavorano cui loro progetti grafici, illustrativi, di animazione o di CGI (Computer-Generated Imagery).

La pandemia mondiale ha contribuito sensibilmente alla crescita (si legge del 60% di aumento nel primo semestre 2020) dei servizi di streaming online, come Netflix e Amazon Prime (ma non dimentichiamo la sponda web della Rai, Raiplay, Sky Go, lo streaming video di Sky e ovviamente Youtube), crescita già evidente nel decennio precedente con un’impennata dal 2015, data d’esordio di Netflix, che ha in qualche modo trainato gli altri e dato un taglio drastico allo streaming illegale. Esiste, per ora, un Auditel parziale dello streaming perché riguarda solo le emittenti “tradizionali”: Sky è in testa, seguita da Mediaset e Rai. Amazon Prime e Netflix si sono chiamati fuori.

Quello che si è consolidato è l’inesorabile, radicale cambiamento dei canali della distribuzione/ricezione dei contenuti audiovisivi, film e serie televisive (telefilm), che si sono dislocati dagli originari luoghi di fruizione (sale cinematografiche e televisori casalinghi) agli strumenti tipici del web, monitor dei computer, tablet, smartphone.

Parallelamente registriamo un vero e proprio boom dei prodotti seriali, la cui offerta segna un’espansione massiccia, proprio perché fruibili in tempi sganciati dalla normale programmazione televisiva e su quella vasta gamma di supporti, che permettono la visione dei telefilm sostanzialmente sempre e ovunque. Perché proprio le serie cavalchino più di altri format questo passaggio storico è oggetto di riflessioni e studi, ma si possono fare ragionevolmente una serie di ipotesi e considerazioni motivate. Interessante a questo proposito è la distribuzione degli schermi in Italia. Secondo Auditel vi sono oltre 112 milioni gli schermi che possono accedere a contenuti video o TV, di cui circa 42 milioni sono TV tradizionali, 43 milioni smartphone, 7 milioni i tablet e 7 milioni le smart TV connesse. Infine, 19 milioni i PC, a cui si aggiungono anche le piattaforme per il gaming (https://www.auditel.it/wp-content/uploads/2020/12/Auditel_29-novembre-2020-05-dicembre-2020.pdf).

Come dicevo prima, la nuova golden age delle serie televisive è uno degli effetti mediatici più eclatanti della rivoluzione digitale, che si è affermata nel nuovo millennio.

Come suggerisce, appunto, Alessandro Baricco nel suo brillante saggio The Game (2015), possiamo collocare l’inizio di questa nuova era il 22 settembre 2004 (lo stesso anno in cui nasce Facebook), quando in USA va in onda sulla rete statunitense generalista ABC la prima puntata di Lost. La vedono quasi venti milioni di statunitensi. Perché Lost? Perché una serie? Perché probabilmente rappresenta il momento in cui la “forma narrativa” di quel telefilm appare e poi non scompare più. Le serie televisive si rivelano subito un caso emblematico di matrimonio tra un vecchio medium, la televisione, e un nuovo medium, i computer, la rete. Baricco: Il loro accecante successo planetario non si spiega se non ricorrendo al codice genetico dell’insurrezione digitale, di cui le serie sono la più riuscita espressione artistica.

Il passaggio dal cinema alle serie tv è l’esempio più chiaro di una transizione generazionale: le nuove serie tv, o il nuovo telefilm, come possiamo chiamarle, sono una sorta di cinema nativo digitale, un animale nuovo, geneticamente compatibile con la rivoluzione digitale, perché, intanto, non bisogna uscire per vederle e poi le si guarda quando si vuole e come si vuole, per lo più usando un device che può fare mille altre cose, mentre una sala cinematografica ne fa, tendenzialmente, una sola.

Ovviamente questo discorso si adatta anche al cinema, o meglio al film, prodotto audiovisivo con precise caratteristiche indirizzate al grande schermo delle sale cinematografiche, anche se si fanno sempre più frequenti – non solo per i lockdown – le première e la diffusione in streaming di film anche d’autore.

Bisogna osservare al contempo la crescita esponenziale della qualità della serialità televisiva negli ultimi vent’anni anni, la cosiddetta trasformazione “cinematografica” delle serie, dove, nell’aggettivo virgolettato, il riferimento al cinema può risultare riduttivo perché è ormai sul terreno della serialità che più si sperimenta e si osa, in termini sia di spettacolarità sia di ibridazioni di generi e stili sia di una complessità narrativa, che è possibile solo nel racconto lungo delle serie.

Che si stia vivendo una vera golden age non ci sono dubbi: molti la considerano la terza della breve vita della tv, quando si consideri che la prima era stata l’esplosione di creatività agli esordi del medium (grosso modo i ’50), quando si iniziava sperimentando su un il pubblico più ristretto, più selezionato e più colto (anche per motivi di classe: a lungo i televisori hanno avuto prezzi alti) e la seconda un breve periodo di eccellenza dei network statunitensi verificatosi durante gli anni Ottanta.

Come dice il critico americano Brett Martin, aver già avuto ben tre età dell’oro è: … un ottimo risultato per un medium considerato, in termini qualitativi, leggermente inferiore alle strisce a fumetti sui quotidiani e appena superiore agli opuscoli religiosi. Vi ricordate “la cattiva maestra televisione” di Karl Popper? In questi ultimi anni è nato – risultato e causa ad un tempo della crescita della nuova serialità – un nuovo spettatore tipo di telefilm che non è il classico telespettatore del secolo scorso, anche perché contempla giovani e vecchi, bambini e nonni, uomini e donne, laureati e semianalfabeti. Non è in caso che l’emittente USA via cavo a pagamento HBO abbia adottato all’origine lo slogan: It’s Not TV: it’s HBO.

Ma qui devo rimandare alle pagine dei primi capitoli del mio libro.

Quale impatto ha avuto sul panorama televisivo l’esplosione delle serie TV?
Mi ritengo più un esperto di cinema e sono arrivato a occuparmi di serie dopo decenni di corsi e studi sul linguaggio e sulla storia del cinema, meno sui generi televisivi, anche se da più di un decennio svolgo un corso allo Ied che tratta di Televisione come Medium (Teoria e Metodo dei Mass Media, corso previsto dal MIUR per le accademie AFAM).

La risposta alla domanda è comunque sotto gli occhi di tutti: investimenti massici, ricche coproduzioni internazionali, coinvolgimento di attori e registi di fama, campagne di promozione sontuose, aumento di fandom e merchandising.

È impressionante l’offerta seriale quasi quotidiana, sia sui siti di streaming dedicati sia sulle emittenti tradizionali. Si dovrebbe fare un discorso per ogni singolo soggetto emittente. Potrei limitarmi ad alcuni punti.

  • Un tempo si distinguevano rigidamente da un lato i serial (alla Beautiful per capirci, o Un posto al sole) che erano per principio “infiniti”, dalle serie “normali”, che erano a termine (13 o 22 episodi a stagione per un certo numero di stagioni, 5 o 6 mediamente). Questo valeva soprattutto per la grande produzione USA. Molti telefilm si strutturavano generalmente in episodi autoconclusivi che permettevano una visione non continuativa, tipicamente nelle serie Le serie italiane erano più brevi, spesso centrate su biografie o vicende storiche limitate nel tempo.
  • Oggi – con qualche notevole eccezione, s’intende – si parla quasi solo di miniserie, composte da tre a otto/dieci puntate/episodi. In caso di successo delle stagione (non più episodio come una volta) pilota, la serie può proseguire, generalmente navigando a vista. Sta di fatto che l’offerta si compone di una caleidoscopica varietà di prodotti audiovisivi televisivi in qualche caso di qualità scarsa o standardizzata, in altri di ottima qualità, di durata ragionevole, di impianto narrativo medio-lungo, di sperimentazioni diegetica molto raffinata.
  • L’altro fenomeno eclatante che riguarda quasi solo i siti streaming, Netflix in testa, è quello dell’apertura alle altre serialità, quelle non italiane o americane. Possiamo ora vedere e apprezzare le serie scandinave, quelle spagnole (pensate allo strabiliante successo de La casa de papel), quelle cinesi, coreane, egiziane, israeliane, australiane, ecc. Questo è davvero un fatto innovativo, se ci aggiungiamo la possibilità di vedere tutto in lingua originale coi sottotitoli.
  • Rimando ancora al mio libro per le considerazioni sulle emotional communities indotti dalle serie, sui rapporti parasociali con gli attori/personaggi, sul passaggio alla serialità di grandi “maestri del cinema”.

Quali serie, a Suo avviso, hanno segnato più profondamente la storia della TV?
La serialità ha radici precise collocate alla fine del secolo scorso. Opera dopo opera, piccole rivoluzioni su piccole svolte, le produzioni seriali sono maturate e hanno raggiunto un grado di complessità (vedi il testo fondamentale di Jason Mittel, Complex TV) e altissimo valore a livello sia produttivo, sia autoriale (vedi le complesse dinamiche della writing room e il ruolo degli showrunner), sia drammaturgico: le articolazioni narrative e le sperimentazioni “linguistiche” dell’attuale cinematografia posso espletarsi solo nel racconto lungo seriale. In ogni caso, come già detto, l’affermazione della nuova serialità si deve all’avvento del web veloce e alla diffusione dei device portatili, quindi a partire grosso modo dai primi anni duemila.

Citerò, rimandando al mio libro per gli approfondimenti, alcune delle opere seriali fondamentali per aspetti diversi collocate in quel periodo.

La prima serie antologica che ha segnato un’origine seminale è stata senz’altro Ai confini della realtà (The Twilight Zone), 1959-1964.

Le grandi serie divenute media franchise, come Star Trek (dalla serie classica del 1966, fino ad oggi) o il Doctor Who (dal 1963), hanno lasciato segni profondi.

Forse le vere innovazioni iniziano con Hill Street giorno e notte (Hill Street Blues), trasmessa dalla NBC per 7 stagioni dal 1981 al 1987. È comunque il 1990 di Twin Peaks di David Lynch che segna una svolta: e X-File (’93) che segue di poco. Tra le sit com ineluttabile è Friends (1994-2004). E I Simpsons

Poi: E.R. – Medici in prima linea (1994-2009), alle serie HBO più importanti, a partire I Soprano (The Sopranos) (1999-2007), Six Feet Under (2001-2005), The Wire (2002-2008), alle serie di J.J, Abrams: Felicity (1998-2002), Alias (2001-2006), Lost (2004-2010), Fringe (2008-2013). E qui mi fermo.

Quali ritiene le serie migliori?
Domanda impossibile a cui non mi sottraggo sapendo di calpestare un terreno in parte minato. Nel panorama degli ultimi anni posso solo segnalare in ordine sparso quelle serie che mi sembrano meglio rappresentare al contempo la qualità e l’innovazione.

Stendo un elenco in ordine alfabetico, rimandando ancora al mio libro gli approfondimenti:

  • Black Mirror (2011- in corso)
  • Boris (2007- 2010)
  • Breaking Bad (2008-2013)
  • Downton Abbey (2010- 2015)
  • Fargo (2014- in corso)
  • Game of Thrones (2011- 2019)
  • Gomorra – La serie (2014- in corso)
  • House of Cards (2013- 2018)
  • I papi di Sorrentino (2016- 2020)
  • In Treatment (USA: 2008- 2010, Italia: 2013-2017)
  • L’amica geniale (2018- in corso)
  • The Leftovers – Svaniti nel nulla (2014- 2017)
  • Mad men (2007- 2015)
  • Modern Family (2009- 2020)
  • Peaky Blinders (2013- in corso)
  • Shameless (2011- in corso)
  • The Crown (2016- in corso)
  • The Handmaid’s Tale (2017- in corso)
  • The Knick (2014- 2015)
  • True Detective (2014- in corso)
  • Vikings (2013- in corso)

Quale futuro, a Suo avviso, per la serialità televisiva?
Il futuro è sicuramente roseo, con alcuni rischi impliciti nell’affollamento e nel moltiplicarsi dell’offerta. Cambieranno ulteriormente i formati e la ricerca di nuovi concept, oltre al fatto che le serie che hanno raggiunto qualche risultato di audience proporranno nuove stagioni o nuovi sequel, prequel, reboot. Per questo è necessario attrezzarsi per navigare in questo mare. Il mio libro dovrebbe adempiere a questa funzione di bussola.

Nazzareno Mazzini, una laurea in filosofia con Enzo Paci, regista di video e ideatore di campagne di comunicazione nello studio da lui fondato (Studio Calabiana), insegna da trent’anni allo IED di Milano, dove è anche relatore di tesi di diploma. È docente presso IES Abroad Milano, istituto universitario statunitense, dove tiene i corsi su cinema e Filmmaking. Ha organizzato numerosi cineforum, tenuto vari laboratori, conferenze e incontri in diverse sedi pubbliche e private. Tra l’altro, nel 2015 ha pubblicato un libro sul cinema di Milano: La nebbia non c’è più.

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