
Un altro punto fondamentale dell’indagine di Bernays consiste nel collegare la catarsi aristotelica con certi fenomeni del misticismo religioso e dell’irrazionalismo, in particolare con rituali estatici del culto dionisiaco. Da questo punto di vista Bernays ha concorso a far affiorare quegli aspetti sotterranei e oscuri della civiltà greca antica su una linea culturale che da Schelling porta fino a Nietzsche.
Qual era il modello ermeneutico allora dominante della catarsi aristotelica?
Direi che nell’Ottocento il principale modello di spiegazione della catarsi tragica era quello fissato da Gotthold Ephraim Lessing in alcuni capitoli della Drammaturgia d’Amburgo (1768), per il quale la tragedia doveva avere in sé un “effetto finale di tipo morale” e la catarsi coincide precisamente con tale effetto, da intendere come purificazione delle passioni: assistendo allo spettacolo tragico si verifica una “trasformazione delle passioni in disposizioni virtuose“ con un conseguente miglioramento morale dello spettatore. Un altro modello era quello sostenuto da Goethe in un saggio del 1826 che dà della catarsi un’interpretazione non già “moralistica”, bensì “estetica”: la catarsi non produce una purificazione, bensì un “riequilibrio” o “bilanciamento” (tedesco: Ausgleichung) emotivo che non riguarda gli spettatori, ma i protagonisti stessi dell’azione tragica. Va detto che sia Lessing che Goethe non sono interessati a dare un’interpretazione filologicamente corretta di quello che intendeva Aristotele, quanto piuttosto ad esprimere una prospettiva propria – in quanto drammaturghi – sul modo di concepire l’arte drammatica.
Quali reazioni suscitò, all’interno del mondo accademico e culturale, la spiegazione proposta da Jacob Bernays?
Il saggio di Bernays suscitò un ampio dibattito tra gli studiosi, anche se bisogna dire che non riuscì affatto ad affermarsi. Nella discussione intervennero filologi classici, ma anche letterati e drammaturghi. Le contestazioni erano per lo più frutto dell’irritazione per l’idea che Aristotele potesse avere subordinato l’arte tragica ad una disciplina pratica come la medicina, e non alla morale o all’estetica. Inoltre si contestava l’equiparazione sostenuta da Bernays tra la catarsi della tragedia (catarsi poetica o tragica) e quella di cui Aristotele parla nell’ottavo libro della Politica, ritenuta di natura strettamente musicale. Un altro punto ritenuto da molti inaccettabile era il nesso tra catarsi tragico-musicale e pratiche coribantiche di guarigione, su cui si sofferma Bernays nel suo saggio dimostrandone la sostanziale affinità. Con ogni evidenza l’interpretazione di Bernays appariva come una minaccia per la dominante immagine classicistica della grecità.
Quale importanza riveste il saggio di Bernays, nella storia degli studi sulla Poetica di Aristotele e la tragedia greca, in relazione al nesso tra rappresentazioni drammatiche e rituali dionisiaci?
Bernays è convinto che Aristotele per la sua teoria della catarsi tragica fosse partito dall’osservazione di certi fenomeni d’estasi (nel senso letterale di “uscire da sé”) che sono attestati in grande quantità nell’antichità greca e orientale: rituali nel corso dei quali si suscita l’entusiasmo e il successivo acquietamento, come nelle danze coribantiche, nell’esecuzione dei canti sacri e nelle celebrazioni di cerimonie orgiastiche del culto dionisiaco. Coloro che sono sottoposti alle sollecitazioni emozionali prodotte dalle musiche e dai rituali entusiastici, dopo aver raggiunto il punto massimo di delirio, si placano “come se avessero ricevuto una cura medica e una catarsi” (così scrive Aristotele nell’ottavo libro della Politica). Il parallelismo che Bernays teorizza tra rituali dionisiaci e spettacoli tragici fa riemergere, dietro il concetto di catarsi, quella dimensione di misticismo religioso che Aristotele e dopo di lui una lunga tradizione di stampo classicistico avevano cercato di cancellare. Si tratta di un attacco alla tradizionale prospettiva idealizzante con cui si era soliti guardare alla cultura greca.
Quale influenza ebbe il saggio del 1857 su Friedrich Nietzsche e sulla sua lettura “dionisiaca” del tragico nonché sull’elaborazione del cosiddetto “metodo catartico” di Joseph Breuer e Sigmund Freud?
Fu Bernays stesso a dire, dopo avere letto La nascita della tragedia di Nietzsche, che si trattava delle sue stesse tesi, solo con qualche esagerazione. E di certo il giovane Nietzsche aveva letto il saggio di Bernays sulla catarsi, tant’è che in più passaggi vi allude ricorrendo, per esempio, al termine tedesco Entladung (“scaricamento”) per indicare la catarsi. Ciononostante Nietzsche respinge il modello ermeneutico medico-patologico; per lui l’effetto della tragedia è di tipo dionisiaco e consiste nella dissoluzione dell’individualità. L’influsso di Bernays su Nietzsche si vede se mai nell’idea di ricollegare il significato originario e autentico della tragedia greca alle sue origini dionisiache.
Quanto alla psicanalisi di Breuer e Freud, basti ricordare che nei loro primi tentativi di curare le pazienti nevrasteniche i due medici viennesi chiamavano “metodo catartico” la loro terapia consistente nel far rivivere l’evento traumatico alla radice dei disturbi con l’effetto di annullare le emozioni correlate a tale evento. Negli Studi sull’isteria (del 1893) si trovano molte consonanze lessicali e concettuali con il saggio di Bernays, ed è molto probabile, anche se non dimostrato, che Freud lo avesse letto, tanto più che la moglie di Freud, Martha Bernays, era nipote di Jacob.
Il libro contiene anche la prima traduzione in italiano (e in ogni altra lingua moderna) del saggio del grecista tedesco: quali caratteristiche presenta il testo?
È abbastanza incredibile che il saggio di Bernays sulla catarsi aristotelica, tanto citato nelle bibliografie, non sia mai stato finora tradotto integralmente né in italiano, né in altre lingue. La lingua e lo stile non presentano caratteristiche particolari, mentre le modalità dell’argomentazione riflettono il suo metodo di indagine fondato sulla ricostruzione di testi classici perduti (o parti di testi perduti) attraverso fonti e testimonianze tardo-antiche. Nel caso specifico Bernays ricostruisce la teoria della catarsi aristotelica sulla base di autori della tarda letteratura neoplatonica (in particolare Giamblico e Proclo). Va detto che la prospettiva di Bernays non ha mai nulla di antiquario, ma tende costantemente a conciliare la profondità del punto di vista storico con le esigenze della modernità. La scrittura è brillante e a tratti tagliente. In fondo si può dire che Bernays ha dato vita ad un tipo particolare di trattazione filologica, nella quale l’esposizione dei risultati delle ricerche è condensata in poche pagine, con una discussione serrata e compatta, e con un corredo di approfondimenti molto tecnici e specialistici posti in appendice, ciascuno dei quali si caratterizza come una mini-trattazione autonoma. È precisamente questo il tipo di esposizione adottato nel saggio sulla catarsi. Metodologicamente Bernays coniuga la rigorosa indagine sulle fonti, quella che la filologia classica tedesca chiama Quellenkritik, con le esigenze di una spiegazione teorica generale che egli stesso definiva di tipo “ermeneutico”. In questo senso supera il pretestuoso dualismo che si supponeva esistesse tra la scienza filologica da un lato e interpretazione filosofica dall’altro.
Quali interpretazioni della catarsi tragica sono oggi predominanti?
Oggigiorno il problema della catarsi tragica continua a rimanere quanto mai aperta e discussa. L’interpretazione di tipo medico-patologico alla Bernays (catarsi come eliminazione delle passioni) è del tutto minoritaria negli studi di antichistica, anche se non sono mancati nel XX secolo grandi studiosi che hanno provato a riprendere quella prospettiva (Schadewaldt, Flashar). Un modello ermeneutico da sempre molto diffuso è quello che intende la catarsi come un procedimento di “purificazione” o “nobilitazione” delle passioni, di tipo quantitativo (si elimina l’eccesso delle passioni) o qualitativo (le passioni vengono depurate dagli elementi impuri). In questa prospettiva il processo catartico viene inquadrato in una concezione globale che considera il teatro un’istituzione con finalità educative. Un’altra interpretazione ampiamente diffusa vede nella catarsi un processo di “chiarificazione intellettuale” per cui lo spettatore arriva a comprendere il significato generale ed esistenziale della trama con un movimento che va dal particolare (i casi di pietà e paura rappresentati sulla scena) all’universale (il significato generale di quei casi). Se ne ricava un piacere di tipo cognitivo. C’è pure una lettura “strutturale” della catarsi, che non sarebbe da intendere come un effetto della tragedia prodotto sugli spettatori, bensì la risoluzione della tensione drammatica all’interno della vicenda rappresentata.
Gherardo Ugolini è Professore associato all’Università di Verona, dove insegna Filologia classica, Storia della tradizione classica e Storia del teatro greco e romano. Formatosi all’università di Pavia e di Monaco di Baviera, è stato docente all’università di Heidelberg (1993-1999) e alla Humboldt-Universität di Berlino (1999-2008). È vicedirettore del Centro di Ricerca Skenè – Studi Interdisciplinari sul Teatro. Tra le sue monografie: Untersuchungen zur Figur des Sehers Teiresias (Tübingen 1995), Sofocle e Atene (Roma 2000), Guida alla lettura della “Nascita della tragedia” di Nietzsche (Roma-Bari 2007). Ha curato Catharsis, Ancient and Modern («Skenè» 2.1, 2016). Il volume che ha curato insieme con Diego Lanza, Storia della filologia classica (Roma 2016), ha conseguito il Premio Nazionale Editoria Accademica, edizione 2016.