
Vanno aggiunte poi altre due ragioni che interessano nello specifico il profilo di Calvino. Lo studio della circolazione internazionale di un’opera o di un autore impone una riflessione preliminare sui caratteri distintivi della tradizione italiana: dobbiamo prima di tutto chiederci come funziona nella nostra memoria letteraria la costruzione del canone e verificare se questo resiste o si modifica fuori dai confini nazionali. Un simile approccio è particolarmente valorizzato dalla vicenda biografica e intellettuale di Calvino, che ha interpretato in maniera fortemente consapevole e personale tanto la condizione di scrittore italiano quanto quella di scrittore cosmopolita. Cubano solo di nascita, sanremese di origine, torinese di formazione, newyorkese per elezione, eremita a Parigi, l’autore da un lato rifiuta i tratti regionalistici propri di tanta letteratura italiana, dall’altro esercita la sua vocazione al cosmopolitismo come il vero (l’unico) modo per essere davvero italiano. Quindi non rifiuta la propria appartenenza nazionale ma la declina criticamente in un contesto mondiale, ne considera i mezzi e le proprietà specifiche in confronto con quell’orizzonte universale a cui attinge in qualità di lettore, editore e scrittore e in cui costruisce le proprie costellazioni di classici (fra tutte quella affidata alle pagine delle Lezioni americane).
Infine il profilo di Calvino si distingue per la centralità del suo secondo mestiere, quello di editore. Impegnato per tutta la vita nell’attività editoriale presso Einaudi, Calvino guarda ai libri, i suoi e quelli degli altri, non solo come opere d’ingegno ma come artefatti funzionali che coinvolgono competenze ed esigenze differenti. Coinvolto in prima persona nei processi di mediazione editoriale, l’autore intreccia rapporti decisi con i suoi agenti letterari, i suoi editori stranieri e i suoi traduttori con i quali discute la collocazione, l’allestimento paratestuale, la promozione e la ricezione delle sue opere. Questa forte esposizione e l’insolito grado di consapevolezza dell’autore permettono di approfondire il ruolo dei singoli attori e dei processi coinvolti nella circolazione dei libri.
Come si è sviluppata la nascita di Italo Calvino come classico universale?
Osservando la storia della diffusione di Calvino in senso diacronico è possibile riconoscere una fase dell’esordio (1955-1970), una dell’affermazione definitiva (1971-1985) e l’ultima in cui Calvino si attesta come classico internazionale (1986-2020).
Il viaggio dei suoi libri inizia nel 1955 con la prima traduzione francese del Visconte dimezzato che inaugura la stagione dell’incontro e della scoperta. Nel decennio che segue i titoli di immediato successo sono le Fiabe italiane, la trilogia dei Nostri antenati e Le Cosmicomiche, mentre molto più trascurati sono i racconti e la produzione di matrice realista. Calvino viene presentato con un giovane autore erede di Vittorini, Pavese e Moravia e come un ex combattente partigiano interprete dell’esperienza neorealista. Il grande successo del Barone rampante, primo caso editoriale internazionale, consolida col tempo l’immagine di uno scrittore bizzarro e fiabesco, dai motivi allegorico-fantastici e accessibile ad un ampio pubblico di lettori. Negli anni Settanta si apre una nuova fase segnata dall’impatto mondiale delle Città invisibili e di Se una notte d’inverno un viaggiatore. Cambia il profilo pubblico di Calvino sulla scena internazionale, sempre più spesso associato ai nomi di Cortázar, Perec e Borges, ai dibattiti sul romanzo contemporaneo, sul post-strutturalismo e sul post-modernismo. Calvino diventa noto nel mondo come autore sperimentale, si moltiplicano gli inviti a tenere conferenze negli istituti e nelle università, si diffonde l’immagine di un narratore difficile che si rivolge ad un pubblico colto e intellettuale.
Negli anni che seguono la sua improvvisa scomparsa, pubblico e critica riconoscono con sempre maggiore evidenza di abitare il secolo di Calvino: un tempo di accelerati cambiamenti (non solo nel modo di fare e fruire la letteratura, ma nelle stesse capacità di immaginazione e espressione dell’essere umano) che l’autore delle Lezioni americane aveva avvertito nella prima metà degli anni Ottanta. Il potere di presentimento che abita le sue opere contribuisce alla vasta fortuna di Calvino nel tempo che non ha conosciuto, quando i suoi libri raggiungono una misura definitivamente globale con importanti risultati anche sul mercato asiatico e in lingua araba. Il grande segnale di svolta che dagli anni Novanta apre le prospettive del nuovo millennio è proprio il riconoscimento di Calvino come classico universale. Lo dimostrano, sul piano della diffusione, le scelte degli editori che lo inseriscono in prestigiose collane di classici e, sul piano difficile e irrisolto della resa linguistica, la scelta di ri-tradurre Calvino negli anni Duemila (come hanno iniziato a fare Ann Goldstein negli Stati Uniti e Martin Rueff in Francia) per restituire una voce del nostro tempo ad un classico che continua a interrogare il presente.
Che relazione ebbe lo scrittore con i suoi traduttori e con le diverse realtà geografiche e linguistiche?
Nel rapporto con i traduttori dell’Einaudi, con le traduzioni degli altri, con i traduttori dei propri libri Calvino ha costruito nel corso degli anni importanti riflessioni sulla traduzione e sulla traducibilità. Tradurre per Calvino è il sistema assoluto di lettura, un’operazione conoscitiva che interessa il senso e i tessuti connettivi più̀ profondi del testo, un varco per raggiungere l’essenza segreta dell’espressione linguistica e, quindi, delle opere letterarie. Per questo l’autore riconosce un valore eccezionale al lavoro dei traduttori, con cui intrattiene importanti relazioni personali: è il caso dell’americano William Weaver, dell’argentina Aurora Bernárdez, del tedesco Heinz Riedt e dell’israeliano Gayo Sciloni. Calvino corregge personalmente i testi riprodotti in inglese, spagnolo e francese, cioè nelle lingue che conosce, ma riesce ad intervenire anche negli idiomi per lui inaccessibili proprio grazie al dialogo con i traduttori. Nelle lettere lo scrittore invita i suoi interlocutori a porgli molte domande e proprio dalle difficoltà e dai dubbi espressi dai traduttori riesce a farsi un’idea dell’accuratezza e del valore del loro intervento. Non va poi trascurato il ruolo svolto da alcuni agenti letterari stranieri, fra tutti Helen Wolff e François Wahl che determinano la diffusione di Calvino in due paesi fondamentali, gli Stati Uniti e la Francia. Qui, a partire dalla fine dagli anni Sessanta, si combinano una serie di fortunati fenomeni: una prestigiosa esposizione critica (fra tutti da parte di Gore Vidal e Roland Barthes), un crescente successo di pubblico, la stabilità delle relazioni intellettuali e della promozione editoriale (anche attraverso le trascinanti tirature delle collane tascabili) e una forte integrazione nel panorama culturale di riferimento. Nella maggioranza degli altri paesi la presenza di Calvino resta a lungo precaria e incompleta, come avviene per buona parte degli autori tradotti, per poi consolidarsi e diventare stabile e pienamente integrata solo dopo la sua morte.
Che valutazione si può dunque trarre della ricezione di Calvino nel mondo?
Il viaggio di Calvino nel mondo è fatto di incontri folgoranti e di incerte sintonie, di ampi e sistematici progetti editoriali e di iniziative isolate, di ritardi e accelerazioni, di scrupolosa dedizione e spregiudicate manipolazioni, di grandi successi e di silenzi: contraddizioni che definiscono, nella loro molteplicità, l’immagine dell’autore e la fortuna mondiale dei suoi testi. Nell’insieme di questa storia così articolata e aperta, arricchita ogni giorno da nuove traduzioni e nuovi lettori, è possibile affermare che Calvino ha contribuito come nessuno scrittore prima di lui a collocare l’Italia al centro del dibattito letterario internazionale. Allo stesso tempo, essere un autore molto tradotto e molto apprezzato all’estero ha avuto delle conseguenze decisive sul suo percorso creativo e intellettuale. Mentre è impegnato a definire le sembianze dei suoi libri che circolano nel mondo, in uno scambio attivo, il ritorno delle sue traduzioni (cioè la possibilità di rileggersi in versione tradotta) inizia via via a influenzare i libri che deve ancora scrivere attraverso il confronto con le proposte degli editori, le prospettive della critica internazionale, il dialogo con i traduttori e gli agenti letterari. Lo stesso rapporto con le proprie opere diffuse in lingue diverse negli anni diventa sempre più importante e più interno alla ricerca letteraria, secondo un percorso che va da un iniziale confronto dialettico (l’opera originale italiana che si adatta al contesto internazionale) ad una sottesa corrispondenza (l’opera originale italiana pensata in rapporto al contesto internazionale).
Infine studiare la fortuna di Calvino fuori dall’Italia contribuisce a chiarire il suo statuto di classico del nostro tempo. Le sue opere, che noi lettori italofoni siamo abituati a considerare uniche e insostituibili, circolano nel mondo in 56 lingue diverse, senza contare che numerosi titoli sono stati tradotti più volte anche nella stessa lingua. Eppure, sottoposte a continue trasformazioni nel tempo, nello spazio e nelle lingue, le pagine dell’autore mantengono inalterata la loro identità e riconoscibilità e rinnovano un dialogo esclusivo con le nuove generazioni. Nel XXI secolo si traduce e si legge Calvino perché la sua scrittura continua a porre delle domande che interessano gli uomini e le donne del mondo, perché sanno rovesciare le prospettive indotte o inerti e pretendere in chi legge uno slancio di desiderio e di intelligenza. Pochi libri possono farlo a distanza di molti anni, e di molti, molti chilometri. Forse possono farlo solo i classici.
Francesca Rubini è assegnista di ricerca in Letteratura italiana contemporanea alla Sapienza Università di Roma. Ha pubblicato Fausta Cialente. La memoria e il romanzo (Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2019) e saggi su Pavese, Calvino, Banti e Bellonci.