“Islamisti d’Occidente. Storie di Fratelli Musulmani in Europa e in America” di Lorenzo Vidino

Dott. Lorenzo Vidino, Lei è autore del libro Islamisti d’Occidente. Storie di Fratelli Musulmani in Europa e in America edito da Università Bocconi: cos’è la Fratellanza musulmana in Occidente?
Islamisti d’Occidente. Storie di Fratelli Musulmani in Europa e in America, Lorenzo VidinoLa risposta è più difficile di quanto si possa pensare. I Fratelli Musulmani sono il movimento islamista più antico e influente al mondo, e fin dalla loro fondazione in Egitto nel 1928 hanno svolto un ruolo cruciale negli sviluppi politici, religiosi e sociali del mondo arabo. In ogni paese mediorientale opera un ramo locale della Fratellanza che si manifesta attraverso una struttura segreta e un apparato visibile che opera in quelli che sono i limiti consentiti dai singoli regimi.

Per quanto operi quindi in vari modi, la Fratellanza nel mondo arabo è comunque facilmente identificabile: magari non si possono conoscere i meccanismi interni, ma è spesso chiaro chi vi appartiene e quali sono le strutture ad essa riconducibili. Non è così in Occidente, dove le organizzazioni e gli attivisti legati al movimento, consapevoli dello stigma negativo che qualsiasi possibile legame con i Fratelli Musulmani può creare, hanno tradizionalmente fatto di tutto per minimizzare o nascondere tali legami. Ciò crea un’enorme confusione, con conseguenze pratiche importanti.

Proprio per questo una parte del mio libro è dedicata a tracciare la storia della Fratellanza in Occidente e a disegnare un quadro analitico per identificare i vari livelli di appartenenza al movimento. La storia inizia verso i primi anni ’60, quando alcuni leader dei rami egiziani e di altri paesi arabi dove la Fratellanza era perseguitata dai regimi locali trovarono rifugio in vari paesi europei e in Nord America. In quegli stessi anni le università occidentali cominciavano ad ospitare studenti dal mondo arabo, alcuni dei quali erano legati alla Fratellanza. L’unione di questi due elementi, entrambi fortuiti e non certo il frutto di un arcano complotto per islamizzare l’Occidente, come i più complottisti tra i critici della Fratellanza a volte pensano, portò alla nascita dei primi network dei Fratelli in Occidente, che si manifestano in due modi: struttura segreta e parte visibile (o, come dice uno degli ex membri della Fratellanza in Francia che ho intervistato per il libro: arrière-boutique e façade).

Per quanto riguarda la prima, in tutti i paesi occidentali la prima generazione di pionieri della Fratellanza provenienti dal mondo arabo ha messo in piedi strutture che rispecchiano, seppur in scala molto più ridotta, quelle dei paesi di origine. Istituendo, de facto, una piccola filiale della Fratellanza in ogni paese occidentale, hanno ricreato il sistema tradizionale dell’organizzazione di reclutamento selettivo, induzione formale, iscrizione a pagamento e la struttura piramidale che va dall’usra, l’unità nucleare di una manciata di attivisti che si incontrano settimanalmente a livello locale, a una leadership eletta che supervisiona le attività nel paese. Questa struttura è tenuta rigorosamente segreta e negata con veemenza (o, in alcuni casi, descritta come solo una cosa del passato) dai Fratelli Occidentali quando viene sollevata dalla critica.

Parallelamente, esiste una parte visibile/pubblica. Nel corso degli anni, i Fratelli Occidentali hanno creato un’ampia rete di entità dedite a una vasta gamma di attività (educazione, politica, lobbying…). Nessuna di queste organizzazioni si identifica pubblicamente come avere legami (se non, a volte, in termini puramente storici o ideologici) con i Fratelli Musulmani. Ma, in realtà, basta vedere chi ha fondato e controlla queste organizzazioni per capire che rappresentano la parte che fa avanzare l’agenda del gruppo nella società senza rivelarne la struttura segreta.

Va inoltre detto che, nonostante il fatto che le reti della Fratellanza in Occidente fossero inizialmente ispirate da quelle del mondo arabo, nel tempo si sono emancipate. Sebbene condividano una strategia ed esistano canali di comunicazione e strumenti di coordinamento, sono entità indipendenti. I diversi rami della Fratellanza in Occidente, in sostanza, si sono adattati alle loro diverse realtà. È pertanto corretto parlare di rami nazionali e come si parla di Fratellanza in Egitto, Giordania o in Tunisia, si può parlare di rami nazionali in paesi come Francia, Germania e, certamente, Italia.

Quali sono le motivazioni e i meccanismi con cui le persone decidono di aderire alla Fratellanza musulmana?
I Fratelli sono un gruppo di élite, non aperto a tutti ma solo a quella cerchia ristretta di soggetti che possiede determinate caratteristiche. Non si fa richiesta di adesione ai Fratelli. Si viene dapprima approcciati dopo un meticoloso periodo di osservazione attraverso il quale i reclutatori della Fratellanza identificano i candidati idonei. Inizia allora un periodo di coltivazione: la recluta viene inserita in attività formative sempre più ristrette, ma spesso senza che gli sia rivelato che il tutto fa parte del reclutamento per la Fratellanza. È un processo che dura alcuni anni e solo al termine di esso alla recluta viene offerto di prestare giuramento ed unirsi formalmente al gruppo. A quel punto il soggetto vede il passo come un onore altissimo, l’unirsi a un gruppo del quale fa ormai informalmente parte e che ritiene essere promotore della volontà di Dio in terra. È, volendo, una dinamica simile a quella di alcune confraternite cristiane di epoca medievale.

Come opera quello che rappresenta uno dei gruppi islamisti più influenti al mondo?
In Occidente gli scopi e le tattiche della Fratellanza sono ben diversi da quelli dei paesi a maggioranza islamica. Movimento pragmatico per eccellenza, non pensa certo a tramutare la Germania o la Spagna in regimi governati dalla sharia – perlomeno non in un futuro prossimo -, anche se Yussuf al Qaradawi, leader spirituale del movimento, ha ripetutamente detto che, alla fine, magari tra due secoli, quello sarà il risultato.

Ma la Fratellanza Occidentale oggi lavora a due obiettivi. Il primo è quello di portare le comunità musulmane ad adottare la propria visione politica e la propria interpretazione dell’Islam, ergersi insomma a leader della comunità, guidandola e plasmandola. Il secondo obiettivo è quello di essere visti come rappresentanti delle comunità islamiche dai governi e dalle élite occidentali, gli interlocutori principali (o unici) ai quali le autorità si rivolgono per qualsiasi questione inerente l’islam. In sostanza, mirano ad avere il mandato a insegnare l’islam nelle scuole, formare imam negli enti pubblici, avere l’autorizzazione a certificare carne halal, essere le “voci musulmane” intervistate dai giornali e sentite dai politici per questioni che vanno dal velo islamico al conflitto arabo-israeliano. Questo ruolo di interlocutori privilegiati porterebbe i Fratelli ad avere più influenza all’interno della comunità e ad influenzare politiche.

Queste ambizioni non sempre si trasformano in realtà. Ma è innegabile che la Fratellanza riesce in praticamente tutti i paesi occidentali ad esercitare un’influenza ben maggiore di quella che i propri numeri ridotti suggerirebbero. È un successo dovuto a vari fattori: la bravura dei Fratelli a proporsi come rappresentanti legittimi e moderati delle comunità islamiche; il loro amplio accesso a fondi provenienti dal Golfo, che ha storicamente permesso loro di operare con strumenti infinitamente maggiori rispetto alle altre organizzazioni musulmane; e, dulcis in fundo, un discreto livello di ignoranza e ingenuità da parte delle élite occidentali….

Quali tattiche utilizza la Fratellanza per reclutare e trattenere i propri membri?
Come detto, la Fratellanza cerca di influenzare le masse ma non si apre a tutti, è selettiva per eccellenza quando si tratta di nuovi membri. Per quanto riguarda il trattenerli, entrare nella Fratellanza non è come far parte di un club sportivo o di un partito politico, è molto di più: per entrarvi si passa attraverso una selezione che dura anni, una volta dentro la coesione è costantemente rafforzata sia dal punto di vista ideologico (attraverso un costante percorso educativo, la tarbiya) sia da quello sociale: spesso si sposa la sorella o la figlia di un altro membro, si lavora insieme ad altri membri, il tempo libero è insieme ad altri membri. Il tutto rafforzato dalla segretezza e dal senso di far parte di un’avanguardia che sta svolgendo una missione divina. Il rigoroso controllo e la lunga coltivazione che un membro subisce per entrare a far parte del gruppo gli danno un senso di orgoglio di appartenere a un’élite. È chiaro che uscire dalla Fratellanza è una scelta complessa con ripercussioni su tutti gli aspetti della vita dell’ex membro.

In quali modi e per quali ragioni i membri prendono la difficile decisione di uscirne?
È uno degli aspetti che ho voluto approfondire con la quindicina di ex membri della Fratellanza di vari paesi occidentali che ho avuto il privilegio di intervistare per questo libro. Le ragioni che spingono a lasciare la Fratellanza sono inevitabilmente molto complesse e profondamente personali. Esistono però dei tratti comuni e spesso il disincanto opera simultaneamente sul piano ideologico e su quello personale. Dal punto di vista ideologico, non sono pochi i membri della Fratellanza che lasciano il gruppo perché ritengono che il suo approccio sia problematico e non “islamicamente corretto.” Questo può funzionare in varie direzioni. Alcuni lasciano il gruppo perché lo ritengono troppo moderato e vengono attratti dal mondo del salafismo e del jihadismo. Altri fanno il passo opposto, ritenendo che anche forme più moderate di islamismo come quella adottata dalla Fratellanza siano deviazioni dell’islam, strumentalizzazioni della religione operate da una cricca per ottenere potere personale e politico, e per questo abbandonano ogni tipo di islam politico.

Non meno importanti nella decisione di lasciare il gruppo sono problematiche organizzative. Molti parlano di una totale mancanza di democrazia interna, di un sistema in cui pochi capi accentrano su sé stessi tutto il potere, con sfaccettature di nepotismo (una dinamica molto comune tra i Fratelli Musulmani in Italia). Alcuni ex Fratelli erano rimasti sconvolti anche dal vedere delle palesi discriminazioni razziali all’interno del gruppo (per esempio, nordafricani discriminati da levantini, convertiti afro-americani discriminati dalla leadership araba della Fratellanza in America…).

Tutti i soggetti che ho intervistato poi concordano che uno degli elementi che hanno contribuito ad allontanarli dal gruppo sia stata l’eccessiva segretezza che avvolge tutti gli aspetti della vita del gruppo, a partire dalla negazione dell’esistenza stessa della Fratellanza in Occidente. “Non stiamo vendendo oppio o droghe, stiamo facendo dawa [proselitismo, uno dei cardini dell’azione dei Fratelli,” mi ha detto Kamal Helbawy, uno dei fondatori della Fratellanza in Europa parlando della sua frustrazione al rifiuto del resto della leadership di essere trasparenti. Farid Abdelkrim, ex Fratello francese, descrive questa segretezza come un’omertà, il convertito americano Abdel Rahman Mohammed come un “qualcosa di subdolo, come se ti vergognassi di qualcosa”. Tutti concordano sul fatto che è una grande debolezza strategica del movimento.

Quali implicazioni politiche ha la presenza di nuclei di Fratelli musulmani in Occidente? Che posizione adottano i governi occidentali?
Le opinioni sulla natura dei Fratelli Occidentali sono tutt’altro che omogenee tra i decisori politici e gli studiosi europei. Alcuni adottano quello che definirei un approccio ottimistico, sostenendo che i gruppi della Fratellanza sposino semplicemente visioni conservatrici che possono a volte essere in contrasto con quelle della maggior parte degli europei, ma sono comunque legittime e innocue, e che le reti europee collegate al gruppo incoraggiano l’integrazione delle comunità musulmane europee, offrendo loro un modello in cui i musulmani possono vivere pienamente la loro fede e mantenere una forte identità islamica mentre diventano cittadini attivamente coinvolti.

Altri, a cominciare dalla maggior parte delle agenzie di intelligence europee, hanno una valutazione più pessimistica. I critici sostengono che i Fratelli Occidentali diffondono un’interpretazione dell’Islam che crea una netta divisione tra musulmani e non musulmani, contribuendo quindi alla polarizzazione e danneggiando l’integrazione. I Fratelli, secondo i pessimisti, starebbero attuando un lento ma inesorabile programma di ingegneria sociale mirato a islamizzare le popolazioni musulmane europee e, in ultima analisi, a competere con i governi europei per la loro fedeltà.

Secondo i pessimisti, i Fratelli Occidentali hanno capito che infiltrarsi nel sistema, piuttosto che attaccarlo frontalmente come fanno i jihadisti, è il modo migliore per ottenere ciò che vogliono. Diventando i partner privilegiati dell’establishment europeo, stanno approfittando del disperato desiderio delle élite europee di stabilire un dialogo con qualsiasi rappresentante della comunità musulmana e di proporsi come le voci dei musulmani europei, utilizzando successivamente il potere e la legittimità che nasce da tali interazioni per rafforzare la loro posizione all’interno della comunità. I pessimisti sottolineano anche una costante discrepanza nel discorso dei Fratelli Europei: moderano ed esprimono la loro adesione alla democrazia esternamente, odio radicale e vomitante verso l’Occidente internamente.

Queste sono le due interpretazioni estreme della Fratellanza Occidentale, e ci sono tante vie di mezzo. Ma nessun paese occidentale ha adottato una valutazione coerente seguita da tutti i rami del proprio governo. Non esiste un white paper emesso a livello centrale o una serie di linee guida interne inviate a tutti i funzionari governativi che descrivano in dettaglio come identificare, valutare e infine relazionarsi con le organizzazioni della Fratellanza Occidentale. Ciò porta a enormi incongruenze nelle politiche, non solo da un paese all’altro, ma anche all’interno di ciascun paese, dove le posizioni divergono da ministero a ministero e persino da ufficio a ufficio dello stesso organo.

La questione ha importanti implicazioni politiche, considerando la grande influenza che il piccolo ma altamente organizzato network di entità controllate dalla Fratellanza in Occidente possiede all’interno delle comunità musulmane e nel dibattito sull’Islam in Occidente in relazione a vari temi: integrazione, immigrazione, sicurezza, rapporti stato-gruppi religiosi. Ad esempio, è opportuno che i governi occidentali collaborino con organizzazioni legate alla Fratellanza nell’insegnamento dell’islam nelle scuole? Come giudicare il fatto che in molti paesi europei sono loro a formare gli imam per il sistema carcerario, l’esercito e le forze dell’ordine? Possono i Fratelli essere partner nella prevenzione della radicalizzazione jihadista? Sono domande sulle quali si discute molto in tutta Europa. Posso sperare che la versione italiana del mio libro dia un piccolo contributo ad un simile dibattito anche in Italia.

Lorenzo Vidino è il direttore del Programma sull’Estremismo alla George Washington University di Washington. Da venti anni si occupa di islamismo in Occidente, è autore di sei libri tradotti in varie lingue, ha insegnato in varie università in Europa e America, ed è consulente per vari enti governativi in entrambi i continenti. In Italia è stato coordinatore della Commissione Nazionale sulla Radicalizzazione Jihadista presso Palazzo Chigi (2016-17).

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