
di Enrico Benelli
«Le iscrizioni etrusche a tutt’oggi conosciute sono circa 10.000; il numero preciso può variare, oltre che per il continuo apporto di nuove scoperte (e in qualche caso anche di revisioni che permettono di eliminare testi spuri), anche per le diverse modalità di conteggio adottate nei diversi repertori. Esiste, infatti, una quantità notevole di “sigle” (ossia lettere isolate, o gruppi di due o tre lettere), iscritte su supporti di ogni genere (soprattutto vasi), che possono essere conteggiate o meno fra le iscrizioni. Il significato delle sigle non può essere interpretato in modo univoco: in qualche caso si tratta certamente di abbreviazioni di nomi di proprietari (soprattutto quando si trovano servizi di vasi con la medesima sigla nel medesimo contesto), in altri possono servire per distinguere lotti di materiali nel ciclo produttivo, come nel caso delle sigle solcate nella ceramica prima della cottura, con un significativo addensamento della lettera a (= 1?; inizio serie?) e della χ (= 50); ancora, le sigle possono servire come indicazioni per l’assemblaggio di pezzi (per esempio: le terrecotte architettoniche del santuario di Portonaccio a Veio, quelle del santuario dei Fucoli a Chianciano, o anche le parti del letto di bronzo deposto nella tomba Regolini-Galassi), oppure possono aver indicato la destinazione degli oggetti.
Le iscrizioni vere e proprie sono catalogabili, nella larghissima maggioranza dei casi, in precise classi epigrafiche; questo è un fenomeno ricorrente in tutte le produzioni epigrafiche dell’antichità, e trova la sua spiegazione nel fatto che i documenti iscritti a noi pervenuti sono stati concepiti di norma per una loro persistenza nel tempo, e non in modo estemporaneo, ma seguendo i criteri di una ben definita cultura epigrafica. Questo modo di scrivere si distacca dalla pratica corrente e quotidiana della scrittura, che faceva uso di supporti in materiale organico (papiro, pergamena, tavolette cerate, corteccia e altri ancora), conservati solo in rarissimi casi, lì dove le condizioni ambientali di giacitura (estremamente secche o estremamente umide e costanti nel tempo) lo hanno permesso; esistono anche altri tipi di scritture estemporanee (graffiti su pareti), che comunque sono sopravvissuti anch’essi in modo occasionale. Quello che noi possediamo di scritto, in conclusione, è per lo più proprio ciò che fin dall’inizio fu previsto per una lunga durata; questo uso della scrittura rappresenta una anomalia rispetto alla pratica scrittoria normale, e segue metodi e moduli che se ne differenzia no anche di molto. In estrema sintesi, si può dire che si definisce cultura epigrafica, l’insieme dei criteri che guidano nella redazione di un testo epigrafico (motivo e/o occasione dell’iscrizione, sue forme monumentali, grafiche e sintattiche, suo contenuto, scelta del suo supporto, sua collocazione).
Non tutte le civiltà antiche in possesso della scrittura svilupparono una cultura epigrafica; alcune lingue trovarono espressione epigrafica saltuaria, anche in casi in cui il livello di sviluppo della scrittura indica una pratica usuale certamente non trascurabile; in questi casi vi possono essere iscrizioni realmente estemporanee, o riprese dei criteri della cultura epigrafica propria di aree culturali confinanti.
Prima di iniziare a entrare nell’argomento, è necessario fare una breve premessa cronologica. Tutte le date alle quali si farà riferimento vanno intese avanti Cristo, salvo diversamente indicato. Infatti la storia dell’epigrafia etrusca si conclude sostanzialmente attorno alla metà del I secolo a.C., con pochissimi testi che si possono far risalire alla seconda metà di quel secolo; a tutt’oggi è nota solo una iscrizione etrusca (o forse due) certamente databile all’inizio del I secolo d.C.
Nella storia dell’epigrafia etrusca si distinguono due fasi cronologiche caratterizzate da particolarità ben precise: vi è una fase arcaica, che corrisponde ai periodi orientalizzante e arcaico della periodizzazione archeologica (VII-V secolo), e una fase recente (IV-I secolo). Il discrimine tra le due fasi è rappresentato dal V secolo, nel quale la documentazione conosce una vistosa contrazione e si verificano dei mutamenti piuttosto profondi nell’intera cultura epigrafica: cambiano il modo di scrivere, i supporti, le formule, cambiano le forme delle lettere, e cambia l’ortografia delle parole e dei nomi. Il V secolo, convenzionalmente inserito nella fase arcaica, è in realtà un periodo di transizione, nel quale possono convivere (al limite anche all’interno della medesima iscrizione) forme caratteristiche della fase arcaica e forme della recente: segno, questo, che i cambiamenti dovettero essere graduali.»