
Come si svolse la sua giovinezza?
Newton nasce nel 1642 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri a un paio d’ore di macchina da Cambridge (il giovane Newton non percorse questo tragitto né in macchina né a cavallo, ma a piedi, quando si immatricolò nel 1661 al Trinity College). Vale la pena andare a visitare la sua casa natale a Woolsthorpe, dove è allestito un piccolo museo con tanto di albero di mele. Newton quindi viene al mondo allo scoppio delle guerre civili che dilaniano l’Inghilterra, la Scozia e l’Irlanda. La famiglia e la piccola comunità sono dolorosamente divise su questioni che riguardano la fedeltà al Re e alla Chiesa d’Inghilterra. Che cosa sappiamo del Newton bambino? Poco di certo e molta fantasia. Sappiamo che il padre muore prima della sua nascita, che la madre lo lascia alle cure dei nonni quando dopo tre anni si risposa, che Newton alloggia presso un farmacista di simpatie puritane quando frequenta una Grammar School. Sappiamo anche che legge un libro sulla Mathematical Magic, un repertorio di invenzioni che, secondo le testimonianze raccolte dopo la morte di Newton, i manoscritti sopravvissuti e le incisioni di disegni geometrici ancora ammirati dai visitatori della casa natale a Woolsthorpe, devono aver destato un precoce gusto per l’invenzione tecnica e la destrezza manuale nel piccolo Isaac. Ma quello che nel mio libro mi preme sottolineare è appunto il contesto politico e religioso, a dir poco incendiario, nel quale cresce questo ragazzo un po’ scontroso, pensieroso, destinato a cambiare la scienza del suo tempo. Non dobbiamo mai dimenticaci che le sue idee, anche le più astratte, sono concepite in un contesto fortemente instabile: nella sua vita Newton vedrà una guerra civile, un re decapitato, una repubblica teocratica, la restaurazione di una monarchia filocattolica, il rovesciamento della stessa per opera di un esercito calvinista, una cisi economica senza precedenti, l’ascesa al trono di un re tedesco che non spiccicava una parola di inglese. La matematica, la fisica e l’ottica di Newton trascendono questo contesto, sono ancora significative per noi, ma ne sono anche condizionate: in una certa misura sono una risposta alle domande che la società cui Newton apparteneva si poneva con ansia e turbamento.
In che modo Newton si avvicinò all’alchimia?
Forse già nella bottega del farmacista che lo ospitava durante i suoi studi giovanili. Sappiamo per certo che nel 1669 si procura fornaci, minerali, solventi, ecc., per intraprendere la ricerca della trasformazione dei metalli vili in oro e forse anche per tentare di produrre farmaci. Gli studi teorici e le ricerche sperimentali in campo alchemico intrapresi da Newton sono attestati da un gran numero di manoscritti, dalla corrispondenza, e dalla presenza nella biblioteca newtoniana di opere pazientemente annotate dedicate all’alchimia. L’immagine di un Newton chino su un alambicco fumante alla ricerca della trasmutazione dei metalli fa a pugni con l’immagine ricevuta dalla tradizione illuminista e positivista dello scienziato attento a non formulare ipotesi non suffragate dall’evidenza empirica. Ma in gran parte il paradosso deriva dal fatto che siamo portati ad applicare a Newton categorie di scienza e di alchimia che non sarebbero state condivise dai suoi contemporanei. All’epoca lo scienziato era piuttosto un “filosofo della natura” la cui ambizione andava ben al di là di quanto si prefigge oggi un fisico o un chimico. D’altro canto, l’alchimista non era, come vorremmo oggi, un ciarlatano. La denigrazione dell’alchimia è un atteggiamento che comincia a radicarsi in modo diffuso a partire dal Settecento. Nel Seicento, gli alchimisti si dedicavano alla produzione di farmaci, pigmenti e tinture, alla purificazione dei metalli, e spesso le loro competenze nel campo della metallurgia erano ricercate nelle miniere fiorenti nell’Europa centrale. Si può presumere che molti filosofi della natura, come Boyle e Newton, fossero interessati ad entrare in contatto con questi tecnici, i quali possedevano effettivamente conoscenze empiriche sulle proprietà della materia. Nel Seicento l’alchimia era praticata a corte, nelle miniere, nelle farmacie, nei laboratori di pittori e tintori, e a volte nelle università. Era una disciplina integrata nella cultura del tempo, non necessariamente proibita o clandestina (anche se si ebbero condanne contro la magia e frequenti sono le parodie del mago ciarlatano) e non necessariamente associata a correnti culturali quali l’ermetismo o il misticismo neoplatonico. Si dedicarono all’alchimia importanti contemporanei di Newton, come Locke e Boyle. Insomma, Newton non era “strano”, era un uomo del suo tempo e sappiamo che era in contatto con una rete di “adepti”. Era certamente convinto che fosse possibile trasmutare i metalli: la sua concezione atomistica della materia d’altronde suggeriva, a lui come a Boyle, che fosse possibile modificare l’arrangiamento dei corpuscoli fondamentali di cui è composta la materia per passare da un metallo all’altro.
Che rapporto ebbe Newton con la religione?
Newton era profondamente religioso. E sappiamo molto della sua religiosità dato che ci ha lasciato milioni e milioni di parole sull’argomento, incluse confessioni molto personali su temi come il peccato e la redenzione o suggerimenti sullo stile di vita da tenere per evitare le tentazioni della carne. Newton era un protestante radicale, anticattolico fino al midollo, vicino a correnti eretiche come quella dei sociniani. La sua è una posizione molto personale e che condivise con pochissimi corrispondenti di cui poteva fidarsi. Infatti, le sue convinzioni lo avrebbero escluso dalla società civile, e forse lo avrebbero portato in carcere o addirittura sul patibolo. L’aspetto più “eretico” del pensiero di Newton è l’antitrinitarismo: egli negava la Trinità. Un fatto grave all’epoca. Sono numerosi i suoi scritti, privatissimi, dedicati a temi quali la storia della Chiesa, l’arianesimo, l’interpretazione delle profezie e dell’Apocalisse, le dimensioni del Tempio. Dedico molto spazio a questi tempi nel mio libro. Quello che forse mi preme di più osservare in questa intervista è che Newton non era un teologo, anzi non voleva esserlo. La sua religiosità è molto essenziale, di un letteralismo biblico quasi mimimalista: “sola scriptura”! Egli sostiene che partendo dal testo sacro si deduce che esiste un unico Dio, e che dobbiamo adorare l’unico Dio, non Cristo. Cristo è mediatore ed è anche di natura divina, ma sottomesso al Padre. Inoltre sappiamo che dobbiamo amare il prossimo. I due comandamenti bastano al fedele che vuole aderire alla religione delle origini. Il resto è una superfetazione, anzi peggio: è un inquinamento dovuto al piano diabolico messo in atto nel primo Concilio di Nicea. La Trinità, appunto, è un dogma intriso di metafisica platonica pagana. Chi difende la dogmatica trinitaria è colpevole di eresia, secondo la lettura newtoniana. Newton è avverso al culto dei santi, delle reliquie, ai sacramenti, alla vita monacale: insomma guarda alla Chiesa Cattolica come alla nuova Babilonia. Ma non è un teologo: non scrive di predestinazione o della dottrina della grazia. Della teologia non sa che farsene: basta la Bibbia. Che Newton studia a fondo alla ricerca di interpolazioni che corrompono il testo sacro. Che studia a fondo per interpretare le profezie: ma questo è un tema troppo complesso. Mi permetto di rimandare al libro.
Come si articolò il suo programma di ricerca scientifica?
Grosso modo. Newton comincia la sua attività di scienziato creativo con la matematica (il calcolo infinitesimale) e l’ottica. Successivamente scopre la teoria della gravitazione che elabora nel suo capolavoro, i Principi matematici della filosofia naturale pubblicato nel 1687. Solo nel 1704 pubblicò l’Ottica. Ma ormai Newton non era più uno sconosciuto professore di Cambridge, ma il Presidente della Royal Society, e come tale esercitò un’influenza enorme sulla ricerca scientifica britannica. Seguire la biografia intellettuale di Newton vuol dire anche studiare la trasformazione di un matematico attivo in una università, e tutto sommato non così conosciuto, in un personaggio pubblico. Dopo il 1687 le sue idee venivano dibattute da tutta la Repubblica delle Lettere europea.
Quale visione aveva Newton del ruolo delle discipline da lui praticate?
Newton è stato uno dei matematici più creativi della storia. Il presupposto – forse il pregiudizio – da cui parto è che l’opera di Newton debba essere letta a partire dai successi (e anche gli insuccessi!) che Newton ha incontrato nel corso della sua complessa biografia intellettuale. Così nel mio libro la matematica occupa uno spazio forse insolito – e forse sgradito? – per un libro che vuole essere divulgativo. Newton non cessa di riferirsi al metodo matematico, il metodo dell’“analisi e della sintesi”, come alla via più sicura per superare le “congetture e le probabilità che si spacciano ovunque”. Secondo il mio punto di vista, la mentalità di Newton è fortemente influenzata dal suo essere, alla radice, un matematico. Va però riconosciuto che, per praticare le tante discipline in cui si è cimentato, Newton ha acquisito competenze tecniche in ambiti diversi quali l’esegesi biblica, la pratica sperimentale alchemica, l’astronomia, la storia antica, la costruzione di strumenti scientifici. In tutte queste discipline Newton dimostra la volontà di affrontare le questioni più tecniche e ardue. È come se cercasse la verità nei dettagli più complessi, nelle domande irrisolte più ardue. Il suo è sempre un cammino in salita. La verità che Newton cerca è comunque sempre una verità che porta ad una visione religiosa. “The duty of the greatest moment” per lui è comprendere la Natura e la Storia come realtà che sono nelle mani di un Dio che interviene secondo un disegno provvidenziale. Il grande nemico di Newton è Cartesio, il determinismo della filosofia meccanica.
In che modo il grande filosofo della natura fu coinvolto nel contesto dei dibattiti religiosi e politici che ebbero luogo nella sua epoca?
La vita pubblica di Newton inizia nel 1687 quando interrompe la stesura dei Principi per opporsi con coraggio al tentativo del re Giacomo II di imporre all’Università di Cambridge di accettare un monaco benedettino, uno dei tanti tentativi dello Stuart di infiltrare cattolici in posizioni di prestigio. Newton rischia la vita nel dire no al re. La sua fortuna è che nel 1688 Guglielmo di Orange invade l’Inghilterra alla testa di un esercito di mercenari. È la Gloriosa Rivoluzione che costringe Giacomo all’esilio. Newton è eletto membro del Parlamento e pochi anni dopo lo troviamo a capo della Zecca di Londra, e cioè in una posizione di comando che lo gratifica anche economicamente. Newton ora siede a tavola, e invita a casa sua, i politici e gli ecclesiastici più potenti: il suo indirizzo politico è a favore dei Whigh e per la Low Church. L’impatto della sua presenza a Londra sulla cultura inglese, sull’economia e sulla politica del suo tempo non può essere sopravvalutato. È ricordato per aver riconiato la moneta, un intervento di politica economica di grande importanza.
Come trascorse i suoi ultimi anni lo scienziato inglese?
Come abbiamo detto, dal 1688/89 Newton è un personaggio influente della politica inglese: Presidente della Royal Society, eletto Baronetto, Mastro della Zecca (una sorta di ministro delle finanze). Dovrà incrociare i ferri con un altro grande diplomatico, Gottfried Wilhelm Leibniz, bibliotecario del Duca Hannover (che nel 1714 sale sul trono inglese come Giorgio I), consigliere aulico dell’Imperatore e consigliere dello Zar. Un pezzo da Novanta! Il problema, dal punto di vista di Newton, è che ha il difetto di perseguire una politica di pace ecumenica fra le confessioni cristiane. Far la pace con i cattolici è fumo negli occhi di Newton. Inoltre, Leibniz coniuga la metafisica con temi religiosi, come la predestinazione, riproponendo agli occhi di Newton proprio quell’inquinamento filosofico del Cristianesimo che aveva corrotto la Chiesa delle origini. Gli ultimi anni della vita di Newton sono occupati da un’aspra polemica con Leibniz che, dopo l’ascesa al trono di Giorgio I, potrebbe diventare una presenza ingombrante a corte. Così non sarà, Leibniz morirà in isolamento nel 1716. Come scienziato, Newton oltre a dirigere alcune ricerche sperimentali, per esempio sull’elettricità, pubblica opere di matematica e cure varie edizioni dei Principi e dell’Ottica. Riprende i suoi studi di “cronologia”. L’oggetto di questa disciplina consisteva nello scrivere una grandiosa storia comparata della civiltà umana attraverso un confronto della storia del popolo ebreo esposta nella Bibbia con le storie di altri popoli antichi come gli Egizi, gli Assiri, i Persiani, i Greci e i Romani. In questo modo la storia biblica veniva inserita in un affresco della storia antica del Medio Oriente. Queste ricerche devono essere collocate nella turbolenta epoca nella quale Newton viveva, un’epoca in cui si stava affermando la consapevolezza della complessa storia della creazione e trasmissione della Bibbia: stabilire il testo “originale” e confermare la veridicità dei libri storici dell’Antico Testamento era un dovere morale per uomini come Newton. La cronologia biblica doveva anche accordarsi con le conoscenze allora accettate sulla demografia, oggetto di interesse tanto per gli studiosi degli effetti delle epidemie (come la peste che aveva colpito Londra) quanto per gli assicuratori che dovevano stabilire una teoria matematica sulle aspettative di vita media. In poche parole: una disciplina ai giorni nostri scomparsa, come la cronologia, poteva essere praticata da chi possedeva conoscenze di filologia, ermeneutica biblica, archeologia, storia antica, mitologia, demografia e astronomia. Newton ormai è diventato un erudito cultore di una disciplina che richiede tanto competenze umanistiche quanto scientifiche. Newton muore nel marzo del 1727. Un funerale di stato, con tanto di sepoltura e monumento nell’Abbazia di Westminster, suggella il suo successo nella sfera pubblica. Il Settecento celebra Newton come il fondatore del metodo scientifico, come un padre nobile dell’Illuminismo. Ma Newton lascia ai suoi eredi un corpus immenso di manoscritti fra i quali si celano ricerche di alchimia, di studi biblici e di storia della Chiesa che verranno scoperte solo grazie alla vendita all’asta del 1936. La distanza fra gli interessi di Newton e quelli di uno scienziato a noi contemporaneo diverrà così evidente.
Niccolò Guicciardini, laureato in Filosofia e in Fisica, è professore ordinario di Storia della scienza presso l’Università degli Studi di Milano. Ha dedicato molti anni allo studio del pensiero di Newton. È autore di The Development of Newtonian Calculus in Britain (Cambridge University Press, 1989), di Reading the Principia: the Debate on Newton’s Mathematical Methods for Natural Philosophy from 1687 to 1736 (Cambridge University Press, 1999), di Isaac Newton on Mathematical Certainty and Method (The MIT Press, 2009) e ha curato Anachronisms in the History of Mathematics (Cambridge University Press, in stampa). È membro a vita del Clare Hall College (Cambridge). È stato visiting fellow a Clare Hall e a Peterhouse (Cambridge), presso la Biblioteca Universitaria di Basilea, e l’Osservatorio astronomico di Parigi. È stato invitato come docente al California Institute of Technology, e all’Università Paris-Diderot. Nel 2011 ha vinto il Fernando Gil International Prize for the Philosophy of Science, e nel 2018 il Francis Bacon Award in the History and Philosophy of Science and Technology.