“Io sono altrove. Cercando Alda Merini” di Erica Donzella

Erica Donzella, Lei è autrice del libro Io sono altrove. Cercando Alda Merini edito da Villaggio Maori, il cui titolo richiama un verso di una celebre composizione della poetessa milanese, «Sono altro. / Sono altrove»: cosa significa incontrare Alda Merini?
Io sono altrove. Cercando Alda Merini, Erica DonzellaL’incontro con Alda Merini è una vertigine di sentimenti ed è un appuntamento che si rinnova ad ogni lettura dei suoi versi. Per quanto mi riguarda, ha rappresentato un’immersione a capofitto nella vita di una persona di cui si sente molto parlare, fin quando, non si ha la possibilità di conoscerla e non le si stringe la mano, guardandola negli occhi. In un certo senso, è stato anche uno scontro tra anime che scrivono. Avevo bisogno di parole per nutrire il mio desiderio di poesia, cercavo profeti e mi sono imbattuta in una sacerdotessa senza rime. Lei era “altro”, appunto. La sua poesia ha educato un mio modo di sentire il ritmo dell’abbandono e del dolore che, spesso, ne segue.

Quale inedito ritratto della poetessa dei Navigli emerge dal Suo lavoro?
Credo che in “Io sono Altrove” non ci sia un ritratto inedito. C’è un modo molto personale di intendere la Merini e di cercarla, di leggerla e di sentirla dentro di me, come qualsiasi lettore di poesia sente a proprio modo la parola poetica. Quello che volevo trovare di Alda era la donna, l’ironia, l’altruismo, la madre e l’amante. Tutte sfaccettature che vanno a comporre non la poetessa, ma la semplicità di un essere umano che avuto modo di raccontarsi e mettere a disposizione del mondo la propria esperienza. Non è forse questo lo scopo di tutta la letteratura? Comprendere ciò che sta fuori da noi e prossimo alla nostra esistenza. E in questo la Merini eccelleva a pieno titolo.

Quale femminilità emerge dalle poesie di Alda Merini?
Quella ferina di una donna erotica. Credo lo fosse in tutto, anche nel modo di descrivere il dolore. Era erotica in ogni curva della sua voce, nello sguardo ferito di chi non è mai stato davvero compreso, era erotica persino nella sua voce macchiata dalle sigarette a cui strappava il filtro. L’eroticità della Merini viveva anche nella sua dolcezza, sopravviveva agli elettroshock e continuava a creare fiori di poesia, fiori sempre carichi di essenze e corpi. Anche quando i corpi diventavano solo ombre passeggere sul suo letto.

Dovendo racchiudere l’opera di Alda Merini in poche righe, come la racconterebbe?
Un odore di incenso sempre vivo, un desiderio di pienezza perennemente da soddisfare. Quando ho iniziato a leggere i suoi versi non pensavo di trovare sollievo, anzi. Ero abbastanza consapevole del tremore provocato delle sue poesie e ne avevo bisogno come un assiderato in un deserto. Alda Merini è una voce profonda di cui ci si innamora.

Che rapporto esisteva tra Alda e la fede?
Lo stesso che esisteva tra Alda e la poesia. Un rapporto di devozione, d’amore, ma come tutti gli amori spesso afflitto dal dubbio di non essere abbastanza l’uno per l’altro. Nelle “pagine cristologiche” della Merini si riescono a sentire spesso delle domande sulla presenza-assenza di un dio lontano, invisibile, di cui la poetessa diventa profeta di parola poetica. Ed è tutta qui la fede di Alda: nell’amore incondizionato, e spesso mai ripagato, verso l’alto. Che sia un dio, un uomo in carne ed ossa, o la poesia stessa.

«Più bella della poesia è stata la mia vita» titola una delle opere di Alda Merini: in che modo Alda ha reso poesia la sua vita?
Avendo il coraggio di viverla senza avere paura di raccontarla. La vita di tutti noi è un avvenimento speciale, la vita è una storia che ha in nuce una magia in grado di poter essere definita “poesia”. Penso alla poesia di Franco Arminio che si avvicina agli elementi più semplici della natura, come gli alberi, le case, il pane, e alla poesia di Mariangela Gualtieri che vive dello stupore che riecheggia in noi quando scopriamo che c’è ancora bellezza intorno ai nostri occhi. In questo modo di sentire e afferrare la poesia nella vita, Alda Merini è stata nave-scuola per tutti noi, non solo per i poeti. Forse è per questo respiro naturale dei suoi versi che leggiamo la sua parola.

Quali ritiene le opere più significative della poetessa milanese?
Ritengo che Tu sei Pietro, La terra santa e Delirio amoroso siano le scritture più complesse e dense di Alda. Sono opere dove il lirismo poetico, che è anche mestiere e bravura, si sia ben miscelato al sentimento poetico, ovvero al pathos e alla necessità di sfamare l’urgenza emotiva della poesia.

A un decennio dalla sua scomparsa, qual è l’eredità di Alda Merini?
Ha creato una generazione – come la mia nata su finire degli anni ottanta – in grado di socchiudere ancora gli occhi e sentire il vuoto pieno tra due parole in un verso. Ha nutrito l’immaginario dell’amore, della follia, della sacralità della parola orale, senza finzione. Ha reso la poesia universale, comprensibile ai molti, orecchiabile come il testo di una canzone che ci piace, una musica della “porta accanto”. L’unica poesia che può essere definita tale.

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