“Invito alla lettura di Flaiano” di Lucilla Sergiacomo

Invito alla lettura di Flaiano, Lucilla SergiacomoInvito alla lettura di Flaiano
di Lucilla Sergiacomo
Ugo Mursia Editore

«L’analisi della personalità, della formazione culturale e dell’eclettica produzione di Flaiano, ribadisce la validità dell’aforisma con cui si autodefiniva scrittore che scriveva «per non essere incluso». La sua programmatica distanza da inquadramenti precisi all’interno del panorama letterario italiano, sia dalle correnti che dichiaravano l’irrinunciabilità a una poetica fondata sull’impegno, sia dagli indirizzi che, sposando le ragioni dell’arte pura o dell’avanguardia, concepivano la letteratura come fenomeno autonomo dal contingente, contrasta però con l’innegabile organicità di Flaiano al suo tempo. La lettura delle sue opere dimostra infatti che pochi scrittori riuscirono quanto Flaiano a essere così originalmente interpreti della complessità e della problematicità novecentesca. […]

All’atmosfera del suo tempo storico, con intuizioni talvolta sorprendentemente profetiche, Flaiano partecipa intensamente, allargando i suoi interessi al di là dei confini nazionali, instaurando confronti con altre civiltà, ma rimanendo quasi costantemente discosto da posizioni ideologiche e culturali codificate. Ne emerge – e gli studi critici lo confermano – una fisionomia intellettuale il cui tratto più caratteristico, come per primo notò Geno Pampaloni, è l’indipendenza, sia dalle regole dei generi e dalle correnti letterarie, sia dagli schieramenti ideologici intorno ai quali si è andata organizzando la maggior parte della produzione letteraria negli anni dal Quaranta al Settanta. […]

Flaiano non maturò altre posizioni ideologiche al di fuori di un liberalismo illuministico, individualistico e interiore, tramite il quale testimoniò il suo disagio intellettuale e la sua avversione al fascismo come alla politica repubblicana attuata nel dopoguerra, manifestando parimenti, in seguito, la sua estraneità alle ragioni del socialismo e del comunismo. Egualmente si sentì lontano dal centrismo dei gruppi cattolici, responsabili ai suoi occhi di una nuova e caotica dominazione, altrettanto ingiusta e più ambigua di quella realizzata dal partito fascista. […]

Flaiano, in definitiva, si mostrò sempre incapace di vedere spiragli per il futuro e troppo disilluso per credere nelle «magnifiche sorti e progressive» di qualsiasi coloritura politica; non poteva quindi non trovare nella satira il suo strumento espressivo prediletto. […]

Le critiche di Flaiano rivolte all’Italia e agli italiani vanno però oltre l’ambito delle pagine dichiaratamente satiriche, percorrendo come un filo rosso l’intera sua produzione; occupano un ruolo determinante già in molte delle opere edite in vita, tanto da poter individuare per la sua frequenza la registrazione dei mali nazionali come il tema centrale delle opere flaianee dedicate all’osservazione della realtà sociale contemporanea.

L’attenzione per il Bel Paese fa da ossessivo contrappunto ad altri temi, riaffiorando continuamente quando Flaiano si misura, attraverso i resoconti dei suoi viaggi, con realtà nazionali diverse. Continuo è il raffronto tra la civiltà italiana e quella statunitense – leitmotiv di Melampus –, numerosissime sono le note rammaricate dei taccuini in cui manifesta tutta la propria amarezza di italiano di fronte all’efficienza amministrativa, all’ordine sociale, al rispetto della natura, alla tolleranza verso gli emarginati e all’amore per l’arte e per la cultura riscontrabili dentro e fuori i confini dell’Europa. […]

Ciò che anima le numerose pagine flaianee dedicate alla satira o, più semplicemente, alla registrazione dei fenomeni e dei comportamenti testimonianti il progressivo degrado italiano, è invece il rifiuto dolente dell’ingiustizia a tutti i livelli, lo sdegno per i «mostri» che deturpano l’Italia; la devastazione derivata dalla «ricostruzione» post-bellica è fonte di irrequietezza quanto la diffusa volgarità che caratterizza la spinta edonistica al benessere e ai consumi. […]

Solo sporadicamente, e nelle ultime opere, pare aprirsi uno spiraglio che può dare senso all’esistenza, giustificare l’attaccamento a essa: questo spiraglio è l’amore, affidato alla valvola di sicurezza dell’istinto, che non conosce calcolo né interesse, ma che funziona solo pagando il duro prezzo di rinunciare alla razionalità, privilegiando invece la nostra animalità.

Ciò che in Melampus appare, pur se ambiguamente, salvezza, in Le ombre bianche e negli scritti giornalistici è sostituito invece dalla rivalutazione della ragione come unico, ironico e potente strumento per non rimanere inermi, sommersi dallo sciocchezzaio che ci vuole tutti conformi, adeguati alle leggi del «villaggio globale».

Altra via di scampo è la metamorfosi – pure tema centrale in Flaiano – intesa non come trasformismo ma come capacità di crearsi una vita di ricambio, che ugualmente verrà coinvolta in giochi e in massacri, ma ci darà, per un tempo breve, la paradossale capacità di rovesciare i nostri caratteri e di mascherare la verità. Della metamorfosi la scrittura flaianea si avvale in misura indipendente dall’ampiezza dei testi e dal variare dei soggetti e delle vicende, talvolta di vasto respiro narrativo, come ne Il gioco e il massacro, talvolta ridotti al ritmo dell’aneddoto, della breve considerazione, del pungente microsaggio di costume. […]

Certo, chi è portato a identificare come grande scrittore solo l’autore di un libro famoso, difficilmente potrà avvicinarsi e capire il valore dell’opera di Flaiano, predeterminatamente frammentaria e contrassegnata dalla varietas dei contenuti e delle forme espressive, incentrata sull’attenzione ai particolari, che poi divengono espressione di un tutto, non sostenuta affatto da una qualsiasi fiducia nell’utilità della letteratura e nella sua possibilità di cambiare il mondo. Eppure, ancora in contraddizione con il dichiarato rifiuto di una poetica impegnata e rivolta al sociale in senso educativo, le pagine flaianee sfuggono agli intenti del loro autore e risultano autenticamente coinvolte e coinvolgenti nell’analisi del nostro tempo, senza cedimenti e senza compromessi. […]

È per questi motivi di fondo, in cui è radicata la convinzione dell’inutilità della letteratura, che la matrice della scrittura flaianea è l’autocomunicazione, che si risolve nell’autobiografismo diretto dei diari […], e nel trasferimento simbolico delle esperienze interiori nelle storie surreali dell’Autobiografia del Blu di Prussia, nelle maschere dei personaggi dei racconti, delle opere teatrali e delle sceneggiature cinematografiche, che altro non sono che l’uomo Flaiano.

La scelta di scrivere, in fondo, solo per se stesso non è immediata, ma matura nel tempo. Tempo di uccidere, ma anche gli altri romanzi brevi successivi testimoniano che Flaiano, mentre progressivamente perdeva fiducia nelle capacità della letteratura di rappresentare il mondo, continuò però a scrivere storie che erano allegorie della condizione umana. […]

Il simbolico punto di arrivo di questa sfiducia nella letteratura si raggiunge ne Le ombre bianche, con la paradossale immagine del libro comprato appena il giorno prima, che a sfogliarlo si rivela composto solo da agghiaccianti pagine bianche, perché – la spiegazione è del libraio – «l’autore di quel libro non ha niente da dire e licenzia le sue opere così» (Mistificazione).»

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