
Quali furono le cause di quelle sconfitte?
In tutti e tre i casi si può ragionevolmente affermare che ci fu una evidente sottovalutazione delle capacità militari russe. Sia Carlo XII che Napoleone e Hitler ritennero di avere le forze armate più predisposte moralmente e materialmente a un duro scontro con i russi. Pensavano che i comandanti e i soldati russi fossero tatticamente impreparati nell’affrontare quelli che, al momento dell’invasione, erano considerati unanimemente gli eserciti più potenti al mondo. Così facendo sottovalutarono in modo esiziale la capacità di resistenza e sacrificio del popolo russo. Un’intera nazione sospinse e sostenne lo sforzo bellico delle sue forze armate. Questo fu l’errore più grosso commesso dagli invasori. Ve ne furono molti altri e peculiari alla singola invasione, ma quello più determinante e cumulativo fu senza dubbio l’aver preso sotto gamba il valore bellico del popolo russo.
Quali strategie difensive adottarono gli eserciti russi?
Ovviamente le tre epoche sono difficilmente paragonabili tra loro per tecnologia militare in uso e tattiche di guerra, così come sono impossibili i paragoni tra gli eserciti invasori per via delle differenti consistenze numeriche e dei diversi settori di guerra all’interno dell’enorme teatro operativo russo, che ricordiamolo va dall’Artide sino al Mar Nero. Si tratta, infatti, di un paese di 17.075.400 chilometri quadrati, grande il doppio degli Stati Uniti, attraversato da 11 fusi orari (in longitudine si estende per 9.200 km, in latitudine per 4.500), che riunisce ambienti climatici assai diversi come foreste temperate, steppe, tundre e taighe, con inverni freddissimi ed estati afose, popolato da 194 gruppi etnici che parlano 97 diversi tipi di lingue. Sostanzialmente, comunque, gli eserciti russi si basarono su di un mix di strategie difensive che includevano: barattare il tempo con lo spazio (cioè cedere territorio per ritirarsi e riorganizzarsi), fare “terra bruciata” in fatto di risorse e infrastrutture davanti all’invasore, utilizzo della popolazione e della religione come “booster” per il morale delle truppe (“una guerra santa e patriottica”) e un uso esteso e accorto delle fortificazioni campali per irrobustire gli schieramenti difensivi e ritardare l’avanzata del nemico.
Che ruolo vi ebbe il famigerato “Generale Inverno”?
In realtà non fu decisivo come tutti pensano. Certamente, un inverno russo è qualcosa che va affrontato con le dovute attrezzature e con precauzioni tecniche per quel che riguarda le armi e i mezzi a motore (ruotati o cingolati che siano). Uomini e animali devono essere protetti dai picchi di freddo che possono arrivare sino ai 40° sotto lo zero. Ma ci sono anche altri fattori nella geografia e nel clima russo che hanno inciso come e forse più del famigerato “Generale Inverno”. In Russia e Ucraina (teatri delle tre invasioni) l’estate è molto calda e polverosa; un esercito in marcia attira insetti e agenti patogeni di ogni tipo che portano catastrofiche malattie epidemiche. Inoltre in primavera e autunno vi era un altro flagello e incubo logistico in un paese in cui la rete viaria era abbastanza primitiva, si trattava della rasputitsa, il terrificante fango che nasceva a marzo dal disgelo e fino ad aprile inoltrato tutto bloccava e inghiottiva. Alla fine di settembre, con la stagione delle piogge, il fango si riformava e inghiottiva di nuovo uomini, mezzi e animali fin quando il terreno non gelava e diventava duro come il marmo (metà-fine di novembre). Da aprile a settembre c’era la stagione della guerra, dopo si poteva combattere solo con estrema difficoltà. In inverno, se le temperature lo permettevano, si poteva combattere meglio che in primavera e in autunno, quando superare laghi e fiumi era pressoché impossibile. Il “Generale Inverno” incise, ma non quanto si è comunemente portati a credere.
Cosa significarono, per ciascuno degli aggressori, quei disastri militari e quali conseguenze ebbero?
Qui la risposta è più semplice: in tutti e tre i casi i leader politici e militari che vollero a tutti i costi invadere la Russia portarono il proprio paese al collasso politico, economico e militare. Così facendo ci rimisero la vita (nel caso di Napoleone il trono, la morte avvenne poi nell’esilio della piccola isola di Sant’Elena) e il giudizio dei posteri. Carlo XII dopo la sconfitta di Poltava (1709) dovette chiedere asilo nei territori dell’impero ottomano e tornò a comandare le armate svedesi solo cinque anni più tardi. Morì mentre supervisionava le trincee di assedio della fortezza norvegese di Fredriksten, l’11 dicembre 1718, ma la sua Svezia aveva perso l’impero tenacemente costruito nel secolo precedente dopo la sconfitta contro la Russia dello zar Pietro il Grande. Napoleone si giocò l’impero che aveva creato in pochi anni non certo a Waterloo, ma a causa della terrificante disfatta nella campagna di Russia del 1812. Nelle pianure russe rimase il meglio delle armate francesi, quella Grande Armée che aveva conquistato tutta l’Europa. Dopo la tragica epopea russa, Napoleone non si riprese più, anche se diede ancora modo al suo genio militare di rifulgere in diverse battaglie, la Russia aveva deciso il suo destino. Stessa cosa per Adolf Hitler e il suo folle sogno di sottomettere il mondo alla sua Germania nazista. Dopo aver conquistato tutta Europa, Inghilterra esclusa (proprio come Napoleone), fu la disastrosa campagna di Russia (1941-1944), con milioni di morti e le infinite devastazioni materiali, a decidere le sorti della Seconda guerra mondiale e a dare la vittoria finale agli Alleati.
Quale lezione strategica è possibile trarre da queste imprese?
Carlo XII, Napoleone e Hitler presero sotto gamba la capacità di resistenza del popolo russo, la profondità strategica del paese invaso e sovrastimarono le proprie abilità militari. Tutti e tre gli invasori furono risucchiati dal “buco nero” dell’infinita grandezza dei territori russi rimettendoci così gli ambiziosi sogni di gloria militare. La smisurata grandezza “strategica” del teatro di operazioni russo finì per diluire geograficamente la forza militare degli attaccanti e i russi poterono quindi organizzare la riscossa. La strategia russa, quindi, ha sempre sopperito con lo spazio, il tempo e il clima per causare la rotta degli aggressori, in modo da vincerli in controffensiva e alla fine guadagnare nuovi territori a ovest.
Andrea Santangelo, storico militare, ha pubblicato numerosi saggi e articoli, tra cui i recenti La battaglia di El Alamein (Il Mulino, 2020) e Andare per la Linea Gotica (Il Mulino, 2021).